Solidarietà agli abitanti del Giambellino e dei quartieri popolari di MIlano

Gli abitanti del Giambellino, quartiere popolare di Milano, ormai hanno capito molto bene quali affari si nascondono dietro gli sgomberi delle palazzine occupate dell’Aler (ente che gestisce le case popolari del capoluogo lombardo) se no non si spiegherebbero tanti sgomberi – 200 dovrebbero essere effettuati con il beneplacito del PD nella veste del sindaco Pisapia e del presidente della regione Maroni – per far uscire a colpi di manganello famiglie per poi chiudere con lastre di metallo quelle case che fino a ieri avevano dato un tetto a molti. Sembra assurda una logica di questo tipo quando in una città come Milano il disagio abitativo è fortissimo, le liste per la case popolari sono lunghissime proprio perché le abitazioni popolari ci sono ma non vengono assegnate, con scuse assurde come “non sono agibili” perché ci sono i sanitari rotti invece di intervenire affinché il patrimonio pubblico non vada perso e rovinato dall’incuria dell’istituzioni locali.

Gli abitanti del Giambellino sanno benissimo come organizzare un picchetto resistente contro chi oggi li vuole in mezzo a una strada, sanno benissimo di chi sono le responsabilità di tanta violenza, sanno molto bene che la presenza delle istituzioni, incapaci di dare risposte concrete e serie al disagio abitativo, si palesano solo attraverso plotoni di sbirri pronti a far capire quanto dure possono essere le ragioni del profitto e della tutela dei potenti di turno, pronti a fare nuovi affari sulla pelle della gente.

Gli abitanti del Giambellino oggi hanno capito che è possibile organizzarsi per resistere, riconoscersi fra simili e aiutarsi collettivamente e se per quanto forza messa in campo non riusciranno a fermare centinaia di agenti in tenuta antisommossa equipaggiati a puntino per la mattanza sociale, oggi la gente dei quartieri popolari di Milano, sapranno che resistere a chi ci affama è possibile.

Solidarietà agli abitanti dei quartieri sotto sgombero.

Contro l’uso dell’art. 610, lo “sfratto a sorpresa”

stop_610I picchetti antisfratto nascono a Torino ormai 4 anni fa, nei primi mesi del 2010. Da allora centinaia sono le famiglie che si sono rivolte agli sportelli casa sorti in città e molteplici sono le occupazioni abitative che si sono susseguite nella metropoli. Sempre più famiglie e singoli decidono di resistere, di organizzarsi, di alzare la testa e di non accettare di essere sbattuti in mezzo ad una strada senza ricevere alcun aiuto da parte delle istituzioni.

La crisi ha messo in ginocchio migliaia di famiglie: 4000 sono gli sfratti eseguiti lo scorso anno nella nostra città nella più totale indifferenza di Comune e Regione.

La risposta delle istituzioni cittadine sulla questione dell’abitare è stata la progressiva abolizione di tutti gli strumenti destinati alle famiglie che affrontano questa situazione emergenziale.

Ottenere una casa popolate mediante emergenza abitativa è ormai un miraggio. I cavilli burocratici studiati dal comune fanno sì che nessuna famiglia possa soddisfare contemporaneamente tutti i requisiti: è di fatto sempre troppo povera o troppo ricca o comunque inadeguata.

Negli ultimi mesi, per sottrarsi alle proteste sempre più frequenti di coloro che vivono sulla propria pelle il problema abitativo, il comune ha eliminato gli sportelli dedicati alle famiglie e sulle scale degli uffici di via corte d’appello sono comparsi solerti vigili per impedire agli utenti di rivolgersi direttamente ai responsabili del servizio. Sembra quindi chiara la volontà delle istituzioni cittadine di sottrarsi al confronto con coloro che hanno perso o stanno perdendo la casa.

Lo stesso atteggiamento si riscontra nella gestione degli sfratti. Le istituzioni ormai incapaci di proporre soluzioni reali alle famiglie che vivono il disagio abitativo delegano e legittimano la questura a trattare il problema politico e sociale dell’abitare come un mero problema di ordine pubblico.

Per evitare il clamore mediatico derivato dallo sgombero di nuclei familiari con bambini piccoli o con storie che possano suscitare attenzione da parte dell’opinione pubblica, comune e questura hanno elaborato ormai da tempo un nuovo strumento: l’articolo 610.

Ciò rappresenta una conferma in più della non volontà del comune di confrontarsi con l’emergenza che sta colpendo la nostra città. Strategia che prevede la chiusura degli spazi di dialogo con le famiglie e demanda la gestione degli sfratti alla questura e rende chiara la volontà di non assumersi la responsabilità politica di quanto sta accadendo.

Assistiamo all’applicazione di nuovi strumenti destinati da una parte a colpire quelle famiglie che attivano percorsi di resistenza, siano essi picchetti antisfratto o riappropriazioni di edifici pubblici abbandonati ormai al degrado. Nell’ultimo anno si è vista la negazione della residenza a coloro che hanno scelto il percorso dell’occupazione e l’applicazione del 610 alle famiglie che hanno organizzato picchetti.

L’articolo in questione permette all’ufficiale giudiziario di presentarsi senza preavviso per eseguire lo sfratto. Questa disposizione mira ad aggiungere precarietà alla precarietà di quanti sono già gravati dal peso di uno sfratto, potendo l’ufficiale giudiziario presentarsi ad eseguirlo in qualunque data, in qualunque momento.

Il 610 permette soprattutto al comune di non prendersi le proprie responsabilità neanche di fronte all’esecuzione materiale dello sfratto. Si evita infatti in tal modo il clamore mediatico derivato dagli sgomberi coatti, mascherandosi dietro un articolo infame e trincerandosi dietro questura e tribunali.

Siamo invece convinti che la situazione attuale sia frutto delle politiche attuate dalle istituzioni cittadine, prime fra tutte le decisioni inerenti l’utilizzo delle risorse pubbliche. Si sponsorizzano progetti inutili e devastanti come le grandi opere; si svende patrimonio pubblico senza una reale redistribuzione degli introiti sul territorio; si sperperano soldi per costruire il grattacielo della Regione, che non verrà utilizzato, mentre si distrugge sistematicamente il welfare.

Emblematici sono i casi di Hassan e Ahmed, che hanno sperimentato prima la lotta sul posto di lavoro contro lo sfruttamento al quale erano soggetti e dopo quella per l’affermazione del diritto ad una casa. Il primo denunciando il datore di lavoro che non lo ha mai regolarizzato, il secondo al CAAT contro le condizioni disumane di lavoro.

Il 5 e 6 novembre di fronte ai picchetti per la resistenza al loro sfratto gli ufficiali giudiziari in accordo con proprietà e questura hanno dato l’infame 610 ed il comune ha così trasformato una responsabilità istituzionale in un cavillo giuridico.

Ad oggi le due famiglie, nonostante le domande di casa popolare ed emergenza abitativa, l’essersi rivolti a lo.ca.re e all’ assistenza sociale non hanno ottenuto nessuna risposta.

Crediamo non sia più tollerabile la totale assenza delle istituzioni incapaci di proporre politiche socio abitative in grado di dare soluzioni reali, l’assoluta mancanza di presa di responsabilità in merito alla situazione attuale e l’applicazione di norme inaccettabili come l’art.610.

L’utilizzo dell’art. 610 non può essere infatti un ulteriore strumento in mano alle istituzioni incapaci di intervenire con soluzioni reali all’emergenza abitativa. A partire dalla situazione di Hassan e Ahmed pretendiamo che il comune trovi soluzioni concrete e prenda posizione sul dilagare dell’utilizzo dell’art. 610 applicando la moratoria per gli sfratti!

Nel frattempo per rispondere ai bisogni reali delle famiglie riteniamo l’occupazione abitativa l’unico e immediato strumento per garantire il diritto all’abitare, nonché una legittimazione politica dello strumento della riappropriazione.

Torino, sfratto rinviato ma continua l’infame pratica dell’art. 610

hassan_viacapuaPer questa mattina a Torino era programmato lo sfratto di una famiglia residente in via Capua. Assam, la moglie e i due figli vivono in un appartamento di proprietà di un noto palazzinaro (che possiede l’intero edificio, assieme ad altri…), il quale, non appena la famiglia non è più stata in grado di pagare l’affitto a causa della perdita del lavoro di Assam, non ha esitato ad avviare la procedura di sfratto.

Quello di oggi era il terzo accesso e Assam e la sua famiglia, ancora in attesa di una risposta dall’emergenza abitativa, avevano deciso di resistere e opporsi alla prospettiva di finire in mezzo alla strada assieme ai due figli, di cui una – una bambina di 4 anni – in condizioni di salute precaria.

Fin dalle prime ore dell’alba alcune decine di solidali si sono riuniti in via Capua per resistere attivamente assieme alla famiglia. In tarda mattinata è arrivato infine l’Ufficiale giudiziario, scortato dall’avvocato e da alcuni agenti della Questura, che ha comunicato la decisione da parte del proprietario di casa di rinviare lo sfratto. La decisione, però, è stata ufficializzata tramite la procedura dell’articolo 610, l’infame pratica che permette di eseguire sfratti a sorpresa e che sempre più spesso Questura e Comune stanno applicando per tentare di ostacolare le forme di resistenza. In pratica, questo significa condannare la famiglia a vivere in un limbo di incertezza col rischio di ritrovarsi da un giorno all’altro buttata fuori di casa.

Emblematiche le dichiarazioni dell’Ufficiale giudiziario, che non ha voluto sentire ragioni e ha rifiutato qualsiasi confronto con la famiglia e i solidali, sostenendo che la questione non fosse un problema suo e che il suo lavoro terminasse con la comunicazione della procedura di rinvio a sorpresa. In una città con un’emergenza abitativa altissima e istituzioni rivelatesi da tempo incapaci di fornire qualsiasi tipo di risposta, continua il rimpallo delle responsabilità e l’applicazione di pratiche infami come quella del 610.

Domani mattina dalle 8 nuovo appuntamento di resistenza a uno sfratto in lungo Dora Siena 18!

da infoaut

Appuntamenti resistenti

Torino_Due gli appuntamenti di resistenza agli sfratti di questa settimana, il primo il 5 e il secondo il 6 di novembre. Due date nelle quali le famiglie sotto sfratto si contrapporranno alla Questura, se questa deciderà di intervenire con la forza, che ormai ha il mandato del Comune di Torino sulla gestione degli sfratti in città. Una questione politica, visto i numerosi sfratti per morosità nella nostra città, ma che le istituzioni continuano a  delegare alle forze dell’ordine trattando il diritto all’abitare come una mera questione di ordine pubblico. Le responsabilità delle istituzioni locali e del Governo Renzi, sono quelle di non garantire il diritto alla casa ma anzi passano all’attacco, con il piano casa, contro le occupazioni abitative nelle quali molte famiglie trovano riparo dopo gli sgomberi coatti. Notizia di qualche giorno fa è che il ministro Lupi incoraggiava le prefetture a staccare le utenze basilari, luce e acqua, alle occupazioni abitative. Una presa di posizione arrogante pur sapendo che il Governo nulla sta facendo per risolvere l’emergenza abitativa nel paese. Le resistenze agli sfratti, le occupazioni di stabili lasciati vuoti insieme alle mobilitazioni sulla casa sono gli unici strumenti che abbiamo per rispondere alle politiche degli sgomberi, al business della speculazione edilizia, alla mala gestione delle case popolari che continuano a rimanere chiuse e non assegnate, a un intero sistema politico che attraverso il rigore e l’austerità porta molte  famiglie e singoli al limite della sopravvivenza. L’emergenza casa è solo un anello della catena di impoverimento che le istituzioni stanno attuando contro di noi: la disoccupazione, la ristrutturazione del mondo del lavoro sempre più precario e sfruttato grazie al Jobs Act, gli aumenti delle tasse, i tagli dei servizi primari, lo spreco di denaro pubblico (che viene dirottato nelle grandi opere invece di essere investito in politiche sociali per far fronte ai bisogni e necessità di tutti e tutte), sono consequenziali alla perdita della propria casa (e quando non ci sono le istituzioni e/o i palazzinari a sgomberarci ci pensano le banche attraverso i pignoramenti).  A tutto questo noi dobbiamo opporci con forza affinché le nostre vite riconquistino quella dignità che le istituzioni ci stanno togliendo.

Qui sotto le storie delle famiglie che resisteranno agli sgomberi del 5 e 6 novembre. Per tutti l’appuntamento è alle le ore 8 del mattino sotto le abitazioni delle famiglie

 

Lyazil vive in quest’appartamento insieme alla moglie e ai 2 figli. Lyazil ha sempre regolarmente pagato l’affitto fino a quando l’unico sostentamento dovuto al suo lavoro e’ venuto a mancare. Lyazil ha lavorato per tanti anni in nero in una fabbrica alle porte di Torino, e quando ha richiesto al suo datore di lavoro la regolarizzazione ha ottenuto in cambio il licenziamento in tronco!. La causa di lavoro portata avanti e vinta ha permesso a Lyazil di continuare a pagare l’affitto fino a quando i soldi ricevuti dal datore di lavoro sono finiti e Lyazil e’ diventato moroso incolpevole.
Il proprietario di casa, che come spesso avviene possiede numerosi appartamenti in Torino, ha celermente provveduto a inviare lo sfratto per morosità’.
Proprietario di casa che affittava l’appartamento in cui Lyazil vive in condizioni che superavano l’agibilita’ e, proprio per le condizioni di degrado in cui sono stati costretti a vivere, la figlia piu’ piccola di Lyazil ha avuto dei seri problemi di salute tanto da doversi recare piu’ volte all’ospedale per sottoporsi a delle cure mediche piuttosto serie!!
Anche Lyazil, come tutte le famiglie che si trovano sotto sfratto, ha provato a seguire le vie istituzionali rivolgendosi all’emergenza abitativa che, come ormai prassi consolidata, ha respinto la sua domanda. Lyazil ha provato anche a fare ricorso e a tutt’oggi e’ ancora in attesa di una risposta dall’emergenza abitativa.

MERCOLEDÌ 5  NOVEMBRE, VIA CAPUA 30 Torino

 

 

Da sette anni Ahmed vive con sua moglie e le tre figlie, di nove, sei e tre anni nell’appartamento di Lungo Dora Siena 18.
La storia di Ahmed, è come quella di tanti, fatta di sacrifici sul lavoro in cui si viene sfruttati e dell’aumento costante del costo della vita aggravato dalle spese mediche sostenute per la bambina più grande invalida.
La storia di Ahmed, è però soprattutto una storia di lotta e dignità: sul lavoro dove è stato tra i promotori delle battaglie per la regolarizzazione dei contratti – per la casa contro istituzioni che non sono in grado di dare nessuna risposta e palazzinari pronti a qualsiasi cosa per entrare nel business dell’affitto agli studenti – e contro il sistema dell’assistenza sociale che ad oggi non ha fornito nessun aiuto per la figlia invalida.
Per sette anni Ahmed, con lo stipendio di facchino al CAAT (Centro Agroalimentare di Torino) ha infatti sempre pagato puntualmente affitto e spese condominiali.
Nel 2012 è stato tra i promotori della lotta al CAAT contro le condizioni di lavoro inumane imposte dalle cooperative del centro di smistamento: turni di 14 ore, paga spesso inferiore ai 3 euro/ora, nessun diritto alla mutua ed alla retribuzione delle ferie. Per questo lo stesso anno, nonostante le nottate di lavoro, non gli sono stati versati molti stipendi e non è riuscito a pagare la rata esorbitante, di 1.700 euro di riscaldamento, richiesto dalla proprietaria.
Ahmed ha subito cercato di trovare un accordo con la proprietaria, proponendo di saldare il debito a rate e continuando a pagare puntualmente l’affitto.
La proprietaria ha invece deciso di cogliere la palla al balzo per sfrattare la famiglia di Ahmed, in modo da destinare l’appartamento, come gli altri di sua proprietà al ben più lucroso business di affitto agli studenti.
Ahmedha provato a seguire le vie istituzionali rivolgendosi all’emergenza abitativa che, come ormai prassi consolidata, ha respinto la sua domanda.
Ahmed ha diritto con le sue tre figlie ad una casa popolare, è cinquantasettesimo in graduatoria ed ha 17 punti, ma il Comune ha risposto che fino a gennaio non se ne parla
Il 6 Novembre, Ahmed resisterà allo sfratto rivendicando il diritto ad una vita dignitosa per se e le sue figlie.
Con determinazione non piegherà la testa di fronte ad un Comune, che ha cancellato il diritto all’abitare trasformando con le sue politiche Torino nella capitale degli sfratti.
Perché la situazione attuale è frutto delle politiche scellerate di Comune e Regione che sottraggono costantemente le risorse al welfare per destinarle alla costruzione di una città vetrina inesistente ed a progetti di devasto ambientale come il TAV.
Assistiamo al progressivo disfacimento dei palazzi costruiti per le Olimpiadi 2006, ad oggi abbandonati o gestiti da palazzinari senza scrupoli ed allo smantellamento dell’edilizia popolare.
Le case ATC vengono affittate a prezzi di mercato con LOCARE, le risorse per la casa vengono investite per promuovere contributi per i costruttori in una città che ha più di 30.000 alloggi vuoti.
Per tutti questi motivi Ahmed ha deciso di continuare a lottare con determinazione e non uscirà di casa fino a che il Comune di Torino non gli assegni la casa popolare o gli garantisca una soluzione alternativa adatta alla sua famiglia.

GIOVEDÌ 6 NOVEMBRE, LUNGO DORA SIENA 18 Torino