Elide Tisi ha mentito? Retroscena da via Bardonecchia

tisiL’assessore alle politiche sociali Elide Tisi non ha mancato di intervenire sullo sgombero delle trenta famiglie che avevano occupato l’ex Csea di via Bardonecchia, ribattezzandolo Spazio Sociale Neruda. Ha sostenuto che, all’evidente dramma dell’emergenza abitativa (Torino, in cui sono state cacciate 4.500 famiglie dalle case dove abitavano nel solo 2014, è una sorta di capitale degli sfratti), occorre rispondere “senza atteggiamenti ideologici” e con percorsi “che restino all’interno della legalità”. Una contraddizione in termini, visto che (a netto degli scopi speculativi e di controllo sociale che ha la politica istituzionale sulla casa) se l’ordinamento non soltanto non risolve, ma produce le sofferenze sociali che causano il dramma abitativo, è evidente che l’unico possibile atteggiamento non ideologico è sposare un’attiva indifferenza rispetto al carattere legale o illegale, ossia interno o esterno all’ordinamento, di questo o quel comportamento che rappresenti una soluzione al problema abitativo, ponendosi semmai l’obiettivo dell’efficacia dei percorsi volti a dare una casa a chi non ce l’ha.

Le dichiarazioni di Elide Tisi, tuttavia, contengono qualcosa di peggio di una mera contraddizione. L’assessore (e vicesindaco nella giunta Fassino) ha infatti dichiarato al periodico on line Nuova Società di non esser stata al corrente dello sgombero fino a martedì mattina, ossia fino all’intervento manu militari della polizia. Ha aggiunto testualmente, a riprova di ciò: “Lo sgombero di via Bardonecchia non dipende da noi ma da chi è proprietario dell’immobile, che chiede di intervenire alla Prefettura”. Povera Elide: tipica politicante magicamente all’oscuro di ciò che le accade intorno, abituata dal mestiere che fa a scaricare su livelli istituzionali diversi dal suo le responsabilità dirette o indirette non soltanto dei drammi sociali che non può risolvere (perché causati dall’ordinamento che difende con la sua appartenenza istituzionale, la sua ideologia della legalità e le sue false promesse), ma anche della repressione scomposta che le istituzioni oppongono alle soluzioni che autonomamente la gente è in grado di trovare (il Neruda, e molti altri edifici occupati a Torino, lo dimostrano).

Occorre, in ogni caso, verificare se la professione di estraneità e ignoranza dell’assessore reggano all’analisi di alcune circostanze. In primo luogo non è chiaro perché, se il comune era all’oscuro dello sgombero, non soltanto la polizia municipale, ma anche una folta schiera di assistenti sociali (che risponde alla Tisi sul piano gerarchico) si trovava all’interno della struttura immediatamente dopo l’ingresso delle forze dell’ordine, sostanzialmente per accompagnare il loro operato (che ha compreso la distruzione vandalica di tutti i sanitari presenti nella struttura per impedire un’eventuale rioccupazione: complimenti…). A coordinarli è stato avvistato, fin dal primo mattino, Uberto Moreggia, responsabile (sempre per conto dell’assessorato di Tisi) del settore Famiglie e Adulti in difficoltà. Coincidenza? Tutt’altro: diversi elementi lasciano pensare che l’assessorato non soltanto fosse al corrente della preparazione dello sgombero, ma abbia attivamente collaborato con la polizia, e in particolare con l’ufficio politico della questura (Digos), anche nei giorni precedenti, nella fase dei sopralluoghi che hanno permesso di organizzare l’operazione.

Di cosa stiamo parlando? Di un episodio che abbiamo potuto ricostruire grazie ad alcune testimonianze. Due occupanti hanno dichiarato a chi scrive che il 29 giugno, verso le 23.00, alcuni utenti del dormitorio di via Marsigli, adiacente all’ex Csea, hanno avvicinato i ragazzi che presidiavano l’occupazione presso i cancelli della stessa, riferendo che “gente di merda” (leggi: agenti in borghese) era entrata nel dormitorio e stava colloquiando con alcuni operatori. Il giorno successivo, 30 giugno, due poliziotti, indicati dagli occupanti come appartenenti all’ufficio politico (Digos), sono stati avvistati dall’ex Csea mentre erano intenti ad osservare e fotografare l’edificio da una finestra situata al primo piano del dormitorio. Se ne potrebbe dedurre che la polizia abbia utilizzato una struttura di competenza comunale, che opera sotto la responsabilità dell’assessorato alle politiche sociali, per spiare l’occupazione in previsione dell’irruzione di alcuni giorni dopo, senza che la sua presenza fosse ignota agli operatori del dormitorio. Alla faccia dell’“estraneità” dell’assessorato alla dinamica dello sgombero! Come poteva l’assessore/vicesindaco ignorare che la polizia stava preparando l’operazione, quando all’interno di una realtà di sua diretta competenza si svolgevano indagini finalizzate a monitorare le caratteristiche dell’edificio e ciò che vi accadeva all’interno, in vista dello sgombero?

Il proprietario dell’ex Csea è Cassa Depositi e Prestiti, ed è del tutto verosimile che sia stato questo ente a chiedere formalmente lo sgombero al prefetto. Questo non significa però in alcun modo che Elide Tisi fosse all’oscuro dell’operazione e della sua preparazione, né che avesse negato il suo assenso alle procedure necessarie, tenuto conto di tutte le circostanze appena elencate. Si affaccia, allora, una domanda: perché la Tisi, intervistata da Giulia Zanotti per Nuova Società, ha lasciato intendere di non saperne nulla? I casi sono due: o nel suo assessorato vige il caos, e quindi tanto i dirigenti degli uffici quanto gli operatori agiscono a sua totale insaputa su materie così delicate, oppure il vicesindaco ha voluto scaricare ogni responsabilità su attori apparentemente esterni, come la proprietà dell’edificio e la prefettura, per uscire “pulita” da una vicenda in cui decine di famiglie con bambini in condizioni di povertà, che avevano risolto insieme il problema abitativo, sono state sbattute nuovamente in una situazione di precarietà da un’istituzione da lei diretta e formalmente deputata a trovare una soluzione per le persone a basso reddito che finiscono in mezzo a una strada.

Ai contemporanei la sentenza tutt’altro che ardua, ma urgente come tutte quelle che permettono di distinguere i bugiardi dalle persone che, quando si alzano, non hanno motivo di vergognarsi guardandosi allo specchio.

da Quiete o tempesta

Mors tua vita mea

Stefano Bolognesi, consigliere di Circoscrizione del quartiere Pozzo Strada, nella sua pagina fb si dice soddisfatto dello sgombero dello Spazio Popolare Neruda e continua la sua litania su quante famiglie erano presenti nell’occupazione, quante hanno diritto ad avere una casa ecc ecc.

Sulla legalità e sul diritto abbiamo già detto che oggi non si può fare politica sulla pelle della gente: la verità sotto gli occhi di tutti è che la politica oggi non è in grado di dare soluzioni reali e definitive a chi finisce in mezzo a una strada. La politica oggi non è in grado di garantire il diritto alla casa.

Cosa bisogna fare per sottrarsi dalla strada? Perché l’occupazione di stabili pubblici, svenduti per fare cassa senza che i guadagni siano stati redistribuiti sul territorio, dovrebbe essere un atto illegale?

Legalità si trasforma in legittimità per le famiglie senza casa che, pur avendo fatto i percorsi dell’emergenza abitativa, le lunghe code in via Corte d’Appello, ricevono una risposta negativa alla domanda: “Avete una casa per la mia famiglia?”

Con l’aumentare della povertà, oggi parlare di legalità dalla propria poltrona in ufficio o dal divano della propria casa è facile. Meno facile è vivere situazioni di disagio, vivere in macchina o gestire una quotidianità con l’incubo dello sfratto. Diciamo queste cose non “per far colpo” su chi leggerà questo post ma riportiamo la realtà così come la conosciamo.

L’opportunismo politico del consigliere è vergognoso. L’abbiamo visto quando si presentò all’occupazione con la sua camicia bella nuova e stirata mentre le famiglie spostavano cumuli di immondizia lasciati lì dalle istituzioni per cui il consigliere lavora e che fino al nostro arrivo non aveva mosso un dito per migliorare quel posto o per denunciarne la speculazione in atto. Né prima e né dopo lo scandalo delle tangenti al CSEA.

Noi, al contrario del consigliere, con la gente del quartiere di Pozzo Strada ci confrontavamo. In tanti sono passati a portarci sostegno e solidarietà…molti, fra cui due panettieri del quartiere, portavano l’invenduto alle famiglie, come gesto di solidarietà e aiuto verso il prossimo. Nella raccolta firme per il riallaccio dell’acqua, abbiamo ricevuto più di 500 adesioni. Molti giovani ci avevano chiesto se era possibile riutilizzare spazi per il quartiere per una biblioteca (ad oggi chiusa), stanze con internet gratuito, una ludoteca e altri laboratori. Perché in quel luogo occupato, lontano dagli intrallazzi della politica ci si sentiva a proprio agio.

La verità taciuta nella vicenda dello sgombero del Neruda è che quel rapporto che si andava a creare con la gente di Pozzo Strada risultava scomodo ai politicanti “appassionati del loro lavoro” che fanno “politica per passione” come Bolognesi. Dava fastidio quel legame di solidarietà instaurato con le famiglie, dava fastidio quando le persone, gli ex insegnanti CSEA ci riportavamo il loro giudizio favorevole all’occupazione e il tentativo da parte degli occupanti di restituire uno stabile di proprietà pubblica al quartiere.

Oggi Bolognesi continua la sua crociata contro le occupazioni ma continua a ritenersi solidale con le famiglie: fa finta di preoccuparsi se queste famiglie hanno ottenuto una soluzione…peccato che le soluzioni sono temporanee, precarie e che fra qualche mese il problema della casa si ripresenterà.

Ovviamente il Bolognesi questo tipo di soluzioni tampone le conosce bene.

Quindi, in conclusione, quando la smetterà di nascondersi dietro quel buonismo da politicante di professione che cerca solo consensi per il suo partito?

Noi, a differenza del Bolognesi che elargisce consigli e avvertimenti, siamo più umili e diciamo solo di non credere alle panzane di questi loschi personaggi ma di toccare con mano le situazioni.

La gente del quartiere Pozzo Strada lo faceva e si sporcava le mani con noi, il Bolognesi costruisce le sue “verità” a tavolino a suon di interpellanze per giustificare uno stipendio che molte famiglie si sognano.