COMPAGNIE E FONDAZIONI: storie di ordinari guadagni e amicizie

Il progetto di sgombero assistito, se ancora cosi si può chiamare, dell’ex Moi sarà coordinato e gentilmente sponsorizzato dalla Compagnia di San Paolo.
Ecco che rispuntano i soliti nomi, quelli del famoso “Sistema Torino”, costituito da banche, lobby, speculatori e palazzinari che gestiscono e governano, nei fatti, la nostra città. Questi nomi da un lato tengono per il bavero il comune più indebitato d’Italia, dall’altro si propongono come i filantropi salvatori di un welfare sempre più residuale e meno ridistributivo. Riassumiamo le critiche sulla gestione privata del welfare:
Gli enti privati devono essere produttivi e guadagnare aumentando il loro profitto attraverso l’acquisizione agevolata di territorio pubblico, sottraendo possibilità e risorse ai cittadini. Inoltre i privati si rifanno il lifting proponendo un’ immagine da vendere attraverso la propria pubblicità che poi si tramuterà in guadagni materiali. Sempre e solo per loro.
Gli enti privati non agiscono nel sociale perché filantropi, questa è l’immagine che ci trasmettono e che gli è comoda per continuare l’operato della banca di cui sono una branchia. La loro azione è finalizzata a guadagnare dall’enorme business che sta nascendo attorno alle questioni sociali, mentre è in atto la sfrenata privatizzazione del welfare. Quindi, la ridistribuzione della ricchezza non è contemplata nei loro propositi, anzi…
Oltre a non garantire la ridistribuzione della ricchezza per gli utenti dei loro servizi, non la garantiscono nemmeno per i lavoratori delle innumerevoli organizzazioni no profit che circolano e sostengono l’operato di questi enti privati di welfare, spesso volontari del sociale inconsapevoli del business alla base del loro operato.
Gli enti privati sono tutelati dalle onnipresenti regole sulla concorrenza, oltre spesso ad avere strutture organizzative complesse e ramificate sul territorio. Quindi, il mitico e spesso invocato potere democratico non può nulla nei suoi confronti.
In conclusione, bisogna disarticolare e rompere la catena di potere che negli anni delle varie giunte PD ha fondato il “Sistema Torino”, non continuare a perpetuarlo.

Respinte le richieste di domiciliari per Donato e Stefano, ma noi continuiamo a resistere

Due settimane fa a 8 attivisti/e del collettivo PrendoCasa sono state inflitte misure cautelari, tra le quali la reclusione di Donato e Stefano nel carcere delle Vallette. Misure cautelari imposte a seguito della resistenza per lo sfratto della famiglia di Said, colpita dall’infame articolo 610 (che prevede lo sfratto a sorpresa) ad opera del palazzinaro Giorgio Molino, proprietario di 2000 appartamenti che lucra sui bisogni dei più ricattabili, dispensatore di 610, e più volte indagato per sfruttamento della prostituzione.
Al riesame, accompagnato all’esterno da un presidio solidale, mentre il mega palazzinaro si è presentato al processo scortato e difeso dalla polizia per assicurarsi di essere difeso dalla magistratura per l’ennesima colpa, le richieste per trasferire Donato e Stefano dalla prigione ai domiciliari sono state respinte. Poiché i tempi delle procedure giuridiche sono lunghi, questo significa che Donato e Stefano dovranno passare ancora molto tempo in carcere.
L’esito negativo del riesame mette in chiaro qual è l’operato della procura torinese: quello di essere una macchina repressiva per colpire chi si batte per difendere i diritti e la dignità di chi deve scegliere tra mangiare o pagare l’affitto, e allo stesso tempo di proteggere gli interessi e gli affari di speculatori e palazzinari.
Di fronte a istituzioni e tribunali che si pongono come priorità quella di difendere la proprietà privata, le banche e chi alimenta le disuguaglianze sociali, l’unica strada degna che si può percorrere è quella della lotta, dell’azione e rivendicazione diretta. Un tetto sopra la testa, un’infanzia felice, la sanità e la possibilità di vivere al sicuro sono diritti che tutti devono avere, e se non sono accessibili è giusto e necessario riprenderseli. La violenza vera sta negli sfratti a sorpresa, nel Piano Casa che non permette di avere una residenza e allacci del gas sicuri a chi abita nelle occupazioni, negli sgomberi che ci sono stati in questi giorni a Milano e a Roma.
Mandiamo a Donato e Stefano tutta la nostra solidarietà, perché quel giorno sotto casa di Said, Kadija e i loro figli c’eravamo tutti e tutte: attivisti/e del collettivo PrendoCasa e del centro sociale Askatasuna, molti/e solidali del quartiere, le famiglie dello Spazio Popolare Neruda, e altre famiglie sotto sfratto che si sono unite al picchetto spontaneo che andò avanti tutto il giorno.
Assieme a Donato e Stefano quella volta c’eravamo, e continuiamo a esserci ogni giorno nei picchetti contro i numerosissimi sfratti che avvengono in questa città e in ogni momento in cui possiamo mettere i bastoni tra le ruote alle infami procedure che lasciano molto famiglie sulla strada.
Sappiamo che da dentro il carcere Donato e Stefano sono con noi, con la testa e con il cuore. Con questa consapevolezza li aspettiamo a braccia aperte, ansiosi di poter lottare di nuovo fianco a fianco.
Liber* tutt*
Stop Sfratti
Per scrivere e/o mandare telegrammi a Donato Laviola e Stefano Mangione:
Casa Circondariale Lorusso e Cutugno – Via Maria Adelaide Aglietta, 35, 10149 Torino

L’ex roccaforte PD rimane spaccata, immagine di un voto di classe oltre il sistema dei partiti

vallette_fotoA Torino si è riproposta una forte spaccatura nel voto referendario del 4 Dicembre. Se da una parte permangono delle fette sociali ancora legate al PD e a Renzi, queste sono relegate in una ben determinata parte della città, il centro addobbato per i grandi eventi e l’economia del turismo. Ma questa fetta di torinesi ha altro che li accomuna, ovvero la voglia di rimanere legati ad un conservatorismo che oggi ha il volto del PD, esprimendo tramite il SI i voleri di quella classe che riesce ancora a guadagnare e speculare in questo periodo di crisi continua.

Invece, il voto che più ci interessa descrivere e quello che viene dalle periferie dove ieri il NO ha vinto in maniera forte, con un distacco che superava i 20 punti percentuali, palesando un rifiuto al sistema dei partiti e delle lobby che continuano a cambiare volto ma non la quotidianità della crisi. Questa frammentazione netta si era già verificata nelle elezioni di Giugno, ed ora si ripropone, ad evidenziare che quel rifiuto non è cambiato nella sua grandezza a discapito degli enormi investimenti investiti nella campagna “Basta un SI”.

Ovviamente, le istituzioni hanno la volontà di tornare al più presto su nidi stabili e sicuri. Per questo, dopo il referendum si sentono già inneggiare spauracchi come quelli dei mercati, dello spread, e quelli più vicini a noi, ovvero le promesse di Renzi alla città di Torino (i fondi per l’alluvione e quelli per il Parco della Salute). Questo ci fa subito capire la struttura istituzionale e il suo essere satura di promesse durante le campagne elettorali, senza una visione strutturale delle politiche e della ridistribuzione della ricchezza.

La seconda considerazione che possiamo fare sui dati del voto a Torino riguarda l’affluenza: al referendum costituzionale a Torino ha votato il 71,47% degli aventi diritto; mentre a giugno al primo turno delle elezioni comunali avevano votato il 57,18 degli aventi diritto. Percentuale ancora più bassa quindici giorni dopo quando Appendino aveva battuto Fassino: 54,41% era stato il numero dei torinesi che si erano recati alle urne. Questa affluenza rivela la volontà di esprimersi, anche solo attraverso un voto, ancor più se la posta in gioco è una rottura netta ed il voto può significare la sfiducia nei confronti di un sistema di partiti ormai omogeneo che si sforza solo a perpetuare i privilegi che loro stessi possiedono.

Tuttavia, la presa di posizione netta dei torinesi stufi di vivere la crisi cerca subito di essere affossata dietro il partito che oggi governa la città, il Movimento 5 Stelle. Ma la realtà che esce dalle bocche delle persone è un’altra. Questa realtà ha il volto di una sfiducia più generale che vede nel partito di Grillo l’alternativa meno peggio, rimanendo però consapevole dei vincoli a cui la politica istituzionale si deve conformare appena varca la soglia sedendosi nelle poltrone del potere.

Quindi, questo non è un salto in braccio al partito che comunque forse avrà la meglio nelle prossime elezioni, ma un salto in un vuoto fatto di maggiori speranze rispetto al quotidiano, una reazione di pancia ad un malessere reale. Reazione che ora ha bisogno di essere ascoltata e incanalata per riuscire a creare un forte e compatto Popolo del NO capace di ottenere le rivendicazioni che sul territorio porta avanti, dal diritto alla casa, allo studio, al lavoro ecc…

In questa direzione va letta la mobilitazione che ha portato in piazza 50mila persone a Roma il 27 Novembre, tutte accomunate da un rifiuto al piano politico portato avanti da Renzi. Questo tipo di politiche rimane comunque orizzontale al sistema dei partiti, Renzi e il PD ne è solo il volto ed il promotore in questa specifica fase. Dunque, la posta in gioco ora, dopo il referendum, è quella di rompere definitivamente con questo modus operandi europeo fatto di perpetuamento dello status quo a discapito di chi la crisi la paga realmente, dovendo scegliere se mangiare o pagare l’affitto.

Nella stessa direzione, l’appuntamento di Lunedì 5 Dicembre in piazza Palazzo di Città vuole essere un momento in cui, oltre a festeggiare il risultato referendario per nulla scontato, vista la onnipresente campagna del Si, ricomporre un insieme di persone che ritengono il voto insufficiente e che ora vogliono rivendicare insieme i diritti che si vedono giornalmente negati dalle istituzioni a partire dal ritiro delle riforme approvate dal PD: Jobs Act, Piano Casa e Buona Scuola.

Il vero cambiamento: il 4 dicembre C’è chi dice No! Renzi a casa, manifestazione il 27/11 a Roma

cechidicenoIl territorio dove viviamo e cresciamo i nostri figli è l’ambito che più ci interessa, ma le situazioni che lì si manifestano sono spesso dirette emanazioni di un piano politico nazionale che all’oggi è rappresentato da Renzi e il suo partito , il PD. Quindi, quali sono le politiche riformiste di questo governo? Indebolimento delle tutele sul lavoro, ad opera del Jobs Act; investimenti in grandi opere inutili, tra le quali addirittura il famoso ponte di Messina; aumento del costo della sanità, sempre più per pochi; sempre meno risorse alle scuole, quindi tetti che crollano. Non ultimo, la svendita dell’edilizia pubblica, stabilita dall’art.3 del Piano Casa.

Le politiche nazionali parlano chiaro, perseguono una direzione che è quella che ogni giorno si traduce in abbassamento della qualità della vita per fasce sempre più ampie di popolazione, mentre la ricchezza è trattenuta nelle mani di pochi. Tuttavia al governo Renzi serve concentrare maggiormente il potere nelle proprie mani e avere maggiore facilità di manovra per promuovere le politiche di austerità che le leggi del mercato e dell’economia globale vorrebbero imporci.

Vogliono cambiare la costituzione per staccarsi ulteriormente dai cittadini, rendendo i “professionisti” della politica (o della corruzione?) sempre più autonomi e sempre meno espressione della volontà popolare. A questo proposito siamo chiamati a votare al referendum del 4 dicembre: la scelta è tra un Sì che porta con sé la conferma alle politiche promulgate dal governo Renzi in questi anni e l’assenso a quelle che potrà varare in futuro, o un No di rifiuto a questa strumentale modifica della costituzione e a questo sistema di governance che ci vuole sempre più poveri, soli, precari, flessibili e silenziosi di fronte alle scelte della politica istituzionale. Ma quello che possiamo fare non è poco: votare NO sarà il primo passo, ma non basta. Bisogna fare in modo che questo voto sia solo l’inizio di una lotta contro il governo Renzi, una lotta capace di far arrivare la propria voce fin dentro ai palazzi dove i politici stanno bene attaccati alle loro poltrone. Sulle nostre vite vogliamo essere noi a decidere. Per questo, senza alcun partito che ci rappresenti e sotto un governo nemmeno eletto che ci fa pagare la crisi, c’è chi dice NO andando a votare ma anche scendendo nelle strade di Roma il 27 Novembre, per una grande manifestazione nazionale.

In quella data orecchie abituate a essere sorde di fronte alla voce di chi in questo Paese ci vive e ha deciso che così non si può più andare avanti saranno obbligate ad ascoltarci.

Pagina Facebook: C’èChiDiceNo

Cosa significa essere sfrattati dal palazzinaro Giorgio Molino

molino_infameIl 14 ottobre, quasi un mese fa, è stato eseguito lo sfratto a sorpresa di Said nel quartiere Vanchiglia. La violenza è stata inaudita, come già raccontato l’appartamento è stato distrutto alla famiglia sono stati sequestrati gran parte dei mobili e diversa roba, caricata sui furgoni degli “uomini” di Molino e portata in direzione “chissà dove”, senza alcuna possibilità di fare un inventario delle cose, né foto.
Dopo la prepotenza mafiosa con cui lo sfratto è stato eseguito, la violenza da parte del famoso “ras delle soffitte” continua.
I casi di persone sfrattate da Molino che hanno perso per sempre gran parte delle proprie cose sono tanti, ci sono diverse testimonianze anche da parte di alcuni occupanti dello Spazio Popolare Neruda; e nel caso qualcuno cerchi di recuperarle si trova davanti a ricatti, mobili spaccati, e parecchia roba persa. Qui di seguito riportiamo la testimonianza di uno dei membri del collettivo PrendoCasa che ha accompagnato Said nell’impresa del recupero mobili.
“L’appuntamento è il pomeriggio appena dopo pranzo, chi scrive oltre che membro del collettivo PrendoCasa è amico di Said, quindi tanti gli interrogativi e la speranza di ritrovare tutta la sua roba quanto più integra possibile dopo lo sfratto violento di qualche giorno prima.
Zero ufficiale giudiziario, zero possibilità di fare un inventario e delle foto alla propria roba, zero possibilità di sapere dove andassero. E da qui ripartiamo, perché se a detta degli “uomini” di Molino la roba di Said è stata portata presso un loro deposito (e domandiamoci quanta roba ha di altra gente per possedere uno o più depositi), non ci viene dato alcun indirizzo dove andare a recuperarla ma più un generico “vediamoci su Corso Principe Oddone nei pressi di una delle sedi delle agenzie di Molino”.
Arriviamo, telefoniamo all’incaricato che esce da solo e con un copione apparentemente già scritto (o forse è solo ripetizione di scene troppe volte vissute) saluta confessandosi addolorato per quanto avvenuto, “uno sfratto violento, è vero che non pagava da tanti mesi, però è vero anche che ha tre bambini piccoli, ma sappiate che sono dalla vostra parte”. Col vomito che sale gli diciamo di tagliare con i finti convenevoli e di voler prendere la roba per andarcene alla svelta. E qui si scopre subito il motivo della “lisciata di pelo” di poco fa. “Ho un modulo che vi chiederei di firmarmi in cui c’è scritto che il signore ha recuperato tutta la sua roba ed esonera la proprietà da tutte le responsabilità, senza il quale non vi possiamo dare la roba“. Qui il vomito si trasforma in rabbia perchè non solo la violenza, i danni ma anche i ricatti.
Se Said rivuole la sua roba deve firmare un modulo che esonera Molino da ogni responsabilità altrimenti il furgone con la sua roba non arriverà mai. Dopo minuti di tira e molla tra la nostra incazzatura e la sua faccia pulita riusciamo a convincerlo che quantomeno dovremmo vedere la roba per dire che c’è tutta.
Allora arriva il furgone che sempre in mezzo alla strada si accosta a noi e sul quale è caricata la roba di Said. Al primo colpo d’occhio per lui è chiaro che manca qualcosa: alcuni giochi dei bimbi, due biciclette, per non parlare di tutti i mobili spaccati. Gli operai sul furgone sono alcuni degli stessi che hanno eseguito lo sfratto e dicono di non avere più niente, allora noi chiediamo perchè siamo in mezzo alla strada e non al loro deposito a verificare cosa effettivamente c’è e anche questo ci viene negato. Ed allora nuovamente incazzatura, battibecchi, minacce di azioni legali (tanto che gli frega, è tutto pagato ed anche tutti pagati tanto da poter dormire sonni tranquilli).
Decidiamo di sentire il nostro avvocato che, fortunatamente, riesce a mettersi in contatto con suo corrispettivo e dopo più di un’ora in strada riusciamo a strappare la possibilità di scrivere un nuovo documento in cui si affermava unicamente che recuperavamo la roba che avremmo elencato, recuperare mobili sfondati non sapevamo che farne. Era un nostro diritto riprenderci ciò che ci apparteneva, ed anche questo per poterlo mantenere abbiamo dovuto strapparglielo dalle mani.
Ed allora via: furgoni in strada, mobili in terra che fanno avanti ed indietro tra le macchine che lente scorrono tra noi scriviamo la lista di ciò che si è salvato dai barbari, ovvero più o meno la metà di ciò che il furgone conteneva.
Tra un mobile e l’altro proviamo a strappare due chiacchiere tra lavoratori:
Perché fate questo lavoro?
Perché Molino ci paga!
Ma vi rendete conto di fare robe bruttissime? Se foste voi al posto di said?
Eh lo sappiamo, ma siamo dalla vostra parte! Credetemi!
No, non credo. Noi non buttiamo la gente in mezzo la strada per 50 euro la giornata.
 … silenzio…
Quanti ne eseguite al mese?
In media sui 7, ma di questi a sorpresa di meno perchè la gente se ne va prima.
Certo, se gli sfondate tutto, non gli ridate la roba ed eseguite tutto illegalmente senza ufficiale giudiziario ed avvocato…
Eh ma è un 610! Sfratto a sorpresa! Mica può avere tutti questi diritti…
Inutile continuare. Tanto, sono già “dalla nostra parte”. Finiamo di caricare la roba ed andiamo via. Non meritano nemmeno la nostra stretta di mano di saluto.”

Intervista ad Albino, cardiopatico in attesa di sfratto

albino_intervAlbino: 69 anni, cardiopatico, inoccupato, invalido al 75%, in attesa dell’esecuzione dello sfratto. Questo può essere un riassunto verosimile di ciò che appare nel suo modulo di richiesta di contributo economico ai servizi sociali, in quello di richiesta presso gli uffici dell’emergenza abitativa, in quello di richiesta di assegnazione della casa popolare presso ATC. Moduli strutturati e compilati con modalità diverse ma che portano tutti al medesimo esito: NO. Noi però non ci fermiamo al “no” formale, esito programmato e insito nei cavilli burocratici che rendono sempre più arduo accedere all’esercizio dei propri diritti e abbiamo voluto capire con Albino le cause di questo abbandono vergognoso da parte delle Istituzioni.

Albino, come tanti, ha perso il lavoro a causa della crisi economica: lui e sua moglie hanno tentato di sopravvivvere integrando la misera pensione di invalidità di lui con lavori precari di Cinzia, 54 anni. Quando anche questi sono venuti a mancare non sono più riusciti a pagare l’ affitto: la proprietaria di casa ha deciso di procedere allo sfratto.
Eravamo con Albino quando il 21 luglio, in modo abbastanza inusuale per un secondo accesso( fatto che ci ha lasciato non poco perplessi e incuriositi da questo intervento zelante dell’ufficiale giudiziario) gli è stato dato il famoso articolo 610. Non stupisce che sia stato necessario l’intervento di un’ambulanza per soccorrere Albino dopo aver capito la crudeltà che si cela dietro l’esecuzione di questo articolo che, lo ricordiamo, viene applicato quasi esclusivamente a Torino. Lo sfratto a sorpresa ad una persona cardipatica? Questa è stata la risposta che le Istituzioni hanno riservato ad Albino.

L’unica proposta arrivata dai Servizi sociali è stata la casa di riposo per lui con assorbimento completo della pensione di invalidità e il dormitorio pubblico per la moglie e il figlio. Albino ha giustamente rifiutato una soluzione che, oltre a dividere il nucleo familiare, avrebbe portato soprattutto la moglie a dover sopravvivere senza alcun aiuto economico.
Albino e Cinzia vivono ormai segregati in casa, sobbalzano ad ogni rumore, aspettano con terrore che le forze dell’ordine vadano a sbatterli in mezzo alla strada…da due settimane questi due signori di 69 e 54 anni vivono anche senza gas perchè a causa delle morosità accumulate ne è stata interrotta l’erogazione….davanti a questa ennesima brutalità istituzionale, viene da chiedere a Lor Signori, seduti alle scrivanie di ATC e dell’emergenza abitativa, quale senso possa avere che a una persona, che è stata residente a Torino per 30 anni e che si è poi trasferita per otto in provincia per poi fare ritorno definitivamente a Torino, venga negato il diritto all’emergenza abitativa perchè non può contare ad oggi su tre anni di residenza continuativa. I trent’anni precedenti non contano nulla?

Sono più importanti i conti, gli anni, i mesi, i cavilli costruiti ad hoc per poter dire no, per poter negare il diritto, per poter schiacciare la dignità di chi, fiducioso, si era rivolto alle Istituzioni per avere un sostegno in un momento di difficoltà.
Noi continuiamo ad essere insieme ad Albino e alla sua famiglia che ogni mattina si chiedono se sarà il giorno in cui le Istituzioni e le forze dell’ordine li sbatteranno in mezzo alla strada.

Davanti alla latitanza delle istituzioni Albino sta imparando che quello che ci viene tolto, noi ce lo riprendiamo! La lotta è l’unica strada possibile: casa, reddito, dignità per tutti!

Video intervista ad Albino, cardiopatico in attesa di sfratto

Il muro popolare vince!

foto articoloCome promesso, venerdì 16 settembre ci siamo ritrovati in molti davanti al portone della casa di Lashad in Via don Bosco, determinati ad impedire lo sfratto dell’ennesima famiglia vittima della crisi economica, delle speculazioni degli avidi palazzinari e della sordità delle Istituzioni.

Lashad e sua moglie hanno vissuto per vent’anni in un alloggio in affitto dove, grazie al lavoro di lui nell’edilizia, sono riusciti a costruire una famiglia con tre bambini: una di dieci anni, con una disabilità mentale, uno di sette e una di due. A causa della crisi economica, Lashad, come molti, ha perso la sua unica fonte di reddito e per evitare di accumulare troppe morosità ha chiesto alla proprietaria di casa di poter rateizzare il debito.

La proprietaria di casa (proprietaria, tra l’altro, della maggior parte degli alloggi e degli esercizi commerciali del condominio) si è mostrata sorda davanti alle sue richieste e da “brava palazzinara” non ha esitato a richiedere lo sfratto di Lashad e della sua famiglia.

Lashad ha cercato immediatamente l’aiuto delle istituzioni e altrettanto immediatamente ne ha sperimentato la totale latitanza ed inadeguatezza: le porte dell’emergenza abitative gli sono state sbattute in faccia a causa dei soliti cavilli burocratici, costruiti e pensati ad hoc per diminuire sempre di più il numero delle persone che possono accedere a tale diritto.

I servizi sociali, dopo aver visionato la richiesta per la casa popolare con un punteggio di 15 punti assegnato da più di un anno, non hanno trovato altro da offrire a Lashad che due settimane di prova al Sermig. A giugno vicino a via Don Bosco Lashad si è imbattuto in uno dei nostri muri popolari a difesa di un suo conoscente: è cosi che abbiamo iniziato insieme un percorso che già a luglio ci aveva portato al suo fianco per impedire lo sfratto, rinviato al 16 settembre, tra le grida offensive della proprietaria di casa, la mortificazione della bimba di Lashad che ha dovuto subire la visita di un medico legale dell’Asl che verificasse le sue condizioni di salute, e la presenza delle Forze dell’ordine sempre più massiccia, si sa, quando c’è da andare a braccetto con gli interessi di qualche avido palazzinaro.

Nella prima metà di settembre Lashad si è recato più volte ai servizi sociali cercando un aiuto, ma la risposta è sempre stata unica: due settimane di prova al Sermig. Prendere o lasciare.

Così nei giorni precedenti lo sfratto abbiamo tentato di diffondere il più possibile la storia di Lashad mettendo in risalto la vacuità istituzionale che circonda tutte le vicende simili alla sua. Così, come per magia, a metà della mattinata di resistenza allo sfratto, Lashad e la sua famiglia ricevono una telefonata da parte della stessa assistente sociale che, non più tardi del giorno prima, “non sapeva proprio cosa farci” che tira fuori per loro dal cappello una sistemazione abitativa gratuita fino all’assegnazione della casa popolare.

Ma grazie: grazie per aver sbattuto la porta in faccia per un anno a questa famiglia, grazie per esservi nascosti per mesi dietro a mille cavilli burocratici e alle menzogne. Quante famiglie in difficoltà si sentono dire “non sappiamo cosa farci”, “non possiamo fare altro”??

Nel caso in cui, però, ci si organizzi per essere in tanti pronti a resistere e stufi di farsi prendere in giro da Lor Signori, le cose iniziano a cambiare e le soluzioni sbocciano improvvisamente.

La storia di Lashad è l’ennesima dimostrazione che se si esce dalla solitudine in cui le istituzioni ci confinano e ci si auto-organizza le risposte non tardano ad arrivare: la lotta dal basso è l’unica strada possibile! Casa, reddito, dignità per tutti!

Torino, contro l’arroganza dei palazzinari: resistenza!

Lashad e sua moglie hanno tre figli: uno di due anni, uno di otto e la più grande di dieci, nata con una disabilità mentale. Dopo venti anni di lavoro e vita a Torino, Lashad perde il lavoro e inizia a faticare a pagare regolarmente l’affitto.

Chiede più volte alla proprietaria di poter rateizzare le morosità accumulate. La risposta di colei che vanta la proprietà della maggior parte degli alloggi ed esercizi commerciali dell’intero stabile in cui vive Lashad? SFRATTO.

Da brava palazzinara speculatrice non ci ha pensato due volte.

La risposta delle istituzioni?

Lashad e i suoi bambini non hanno diritto all’emergenza abitativa per i soliti cavillosi pretesti burocratici e attendono da quasi un anno la casa popolare avendo 15 punti.

E i servizi sociali?

Due settimane “di prova” al Sermig oppure una soluzione in un “albergo” a carico quasi interamente di Lashad.

Venerdì 16 settembre saremo al fianco di Lashad e della sua famiglia per impedire che vengano sbattuti in mezzo ad una strada nel silenzio incurante delle Istituzioni.

L’appuntamento per chi vuole impedire con noi questa ennesima brutalità è venerdì 16 dalle ore 8.00 in Via Don Bosco 31.

BASTA GENTE SENZA CASA; BASTA CASE SENZA GENTE

 

Torino, sospensione degli sgomberi per le famiglie della Falchera

Oggi le famiglie del Comitato Figli di Miccichè della Falchera si sono presentate all’appuntamento a cui sono stati costretti a partecipare Mazzù, presidente di Atc, un assessore alle politiche abitative della giunta regionale e un funzionario del comune, visto che ancora gli assessori cinque stelle non si sono ancora insediati.

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L’umore era alto fin dal principio poiché davanti all’Atc si sono ritrovate a portare la loro solidarietà tutte le realtà che da anni si occupano del diritto all’abitare, formando un blocco compatto contro il disagio abitativo, le speculazioni edilizie e la cecità istituzionale sempre più intenta a relazionarsi solo con banche e imprese. Il presidio partecipato ha reso palese le condizioni che accomunano periferie e zone più limitrofe al centro: un disagio abitativo che non lascia altra scelta che riprendersi le case pubbliche lasciate in disuso, insieme ad un impoverimento diffuso che spinge verso la creazione di coesioni anti-istituzionali, capaci di auto-organizzarsi e lottare per i propri diritti.

Il presidio si è trovato davanti la solita sfilata di celerini e digos, con la conseguente pressione psicologica, specie nei confronti dei bambini che la settimana precedente avevano dovuto assistere ai violenti sgomberi eseguiti dalle stesse divise. Il Comitato ha denunciato la militarizzazione delle loro iniziative, mentre una delegazione ha partecipato al tavolo con i rappresentanti delle istituzioni su detti. La determinazione degli occupanti di Falchera ha strappato a Mazzù un comunicato di Atc, Regione e Comune nel quale si dichiara: “di non sgomberare i 9 alloggi ancora occupati fino ad un nuovo incontro delle famiglie con il nuovo assessore di competenza del Comune di Torino. Nel frattempo, i funzionari e i servizi sociali della città daranno corso agli approfondimenti necessari a valutare le situazioni di ogni nucleo occupante per individuare possibili soluzioni abitative alternative.”

Durante il tavolo di negoziazione l’Atc ha continuato con la sua politica subdola che vuole scatenare una logica di guerra tra poveri. Infatti, insieme a una famiglia di assegnatari, alcuni funzionari dell’Atc si sono presentati alla porta di un occupante, rimasto a casa a causa della necessità di badare alla madre anziana. Come è stato fatto nei precedenti tentativi di criminalizzare le occupazioni tramite l’assegnazione delle case, alcuni solidali del quartiere hanno spiegato la situazione abitativa così da ricevere la solidarietà della stessa famiglia assegnataria. Ancora una volta, quindi, le istituzioni si vedono sconfitte dalle affinità che si creano tra occupanti e assegnatari. Infatti, questi ultimi hanno atteso per anni una soluzione che è arrivata solo ora e, per questa ragione, sanno molto bene cosa significhi doversi arrangiare per avere un tetto sopra la testa.

La giornata di oggi si inserisce in un percorso di lotta più ampio che i componenti del Comitato sono decisi ad intraprendere, uniti e forti della solidarietà del quartiere e delle altre realtà cittadine che giorno per giorno lottano per il diritto all’abitare. Questa vittoria parziale ci conferma quanto già da tempo gli stessi membri del Comitato Figli di Miccichè sanno: occupare le case popolari, oltre a dare un tetto sopra la testa ai propri figli, costringe le istituzioni ad uscire dallo loro immobilità, riuscendo a metterle in difficoltà sul piano politico e di gestione del bene pubblico.

Torino 28 maggio: casa, reddito dignità per tutti!

CjjcSefWYAAKgDpA Torino il corteo che ha sfilato per la città nella giornata lanciata dalla rete nazionale “Abitare nella crisi”, ha visto un migliaio di persone percorrere le vie del centro cittadino, passando per Porta Palazzo e giungere sotto il Comune.
Dieci anni di governo PD hanno stretto un cappio al collo dei torinesi a causa di precise scelte politiche che hanno favorito i grandi speculazioni, privatizzazioni e banche, provocando tagli alla sanità pubblica e a tutti i servizi utili per i cittadini, sfratti e pignoramenti e un generale impoverimento.
Dietro lo striscone “Basta ricatti: casa, reddito, dignità per tutti!”, si sono raccolti occupanti di case e sfrattati, i rifugiati e migranti dell’ex Moi, i lavoratori di Venaria in lotta, sindacati di base e tutte quelle realtà che si spendono in città per le lotte sociali che nelle scorse settimane si sono ritrovate per la costruzione  di questa importante giornata ad appena una settimana dalle elezioni amministrative.
Il corteo passando per le vie più centrali del centro cittadino, ha trovato come naturale obiettivo alcuni luoghi simbolo della crisi e delle sue conseguenze. Le banche San Paolo, Unicredit e la fondazione CRT sono state simbolicamente chiuse con dei lucchetti, mentre è stato segnalata l’ex sede dell’italgas di più di 11mila metri quadri vuota dal 2007 e svenduta come molto del patrimonio pubblico cittadino.
Arrivati poi davanti alla Prefettura alcuni ragazzi rifugiati dell’ Ex Moi hanno preso parola contro il ricatto del permesso di soggiorno, contro il business della finta accoglenza e contro le frontiere.
Porta Palazzo è stata la tappa successiva: qui alcuni occupanti dello Spazio Neruda hanno sostenuto interventi contro sfratti, pignoramenti e l’ipocrisia di un ente come l’emergenza abitativa resa praticamente inaccessibile dai cavilli burocratici indispensabili per ottenerla. “Casa per tutti, Sfratti per nessuno!”: questo lo slogan che ci ha accompagnato verso la conclusione del corteo.
Prima di giungere al Comune il corteo si è fermato a salutare Jacopo, studente universitario e militante no tav, costretto da mesi agli arresti domiciliari per il suo impegno nella lotta contro questa opera inutile. Qui le mamme in piazza per la libertà di dissenso hanno letto il loro appello per la liberazione di quasi trenta giovani sottoposti a misura cautelare.
Giunti in Piazza Palazzo di Città, dove uno spropositato schieramento di polizia in anti sommossa era posto a difesa del palazzo come l’ennesimo sfoggio di potere ostentato ormai da tempo come unica risposta a chi chiede ciò che gli spetta di diritto, si sono tenuti alcuni interventi contro l’atroce articolo 610, cosidetto sfratto a sorpresa, che costringe le persone che ne sono sottoposte a vivere segregate in casa nell’agonia dell’attesa di essere sbattute coi loro bimbi in mezzo alla strada.
Casa, lavoro, dignità per tutti: l’assemblea conclusiva in cui si è raccolto il corteo si è ripromessa di continuare a fare rete nei prossimi mesi in vista di altri importanti appuntamenti. Si è rilanciato il presidio che si terrà domani lunedi 30 maggio alle ore 17.30 in piazza Solferino per accogliere come si merita Renzi che verrà a Torino per sostenere la candidatura elettorale di Fassino.
Domani (lunedì) quindi di nuovo in piazza: Renzi a Torino non sei gradito!