I picchetti antisfratto nascono a Torino ormai 4 anni fa, nei primi mesi del 2010. Da allora centinaia sono le famiglie che si sono rivolte agli sportelli casa sorti in città e molteplici sono le occupazioni abitative che si sono susseguite nella metropoli. Sempre più famiglie e singoli decidono di resistere, di organizzarsi, di alzare la testa e di non accettare di essere sbattuti in mezzo ad una strada senza ricevere alcun aiuto da parte delle istituzioni.
La crisi ha messo in ginocchio migliaia di famiglie: 4000 sono gli sfratti eseguiti lo scorso anno nella nostra città nella più totale indifferenza di Comune e Regione.
La risposta delle istituzioni cittadine sulla questione dell’abitare è stata la progressiva abolizione di tutti gli strumenti destinati alle famiglie che affrontano questa situazione emergenziale.
Ottenere una casa popolate mediante emergenza abitativa è ormai un miraggio. I cavilli burocratici studiati dal comune fanno sì che nessuna famiglia possa soddisfare contemporaneamente tutti i requisiti: è di fatto sempre troppo povera o troppo ricca o comunque inadeguata.
Negli ultimi mesi, per sottrarsi alle proteste sempre più frequenti di coloro che vivono sulla propria pelle il problema abitativo, il comune ha eliminato gli sportelli dedicati alle famiglie e sulle scale degli uffici di via corte d’appello sono comparsi solerti vigili per impedire agli utenti di rivolgersi direttamente ai responsabili del servizio. Sembra quindi chiara la volontà delle istituzioni cittadine di sottrarsi al confronto con coloro che hanno perso o stanno perdendo la casa.
Lo stesso atteggiamento si riscontra nella gestione degli sfratti. Le istituzioni ormai incapaci di proporre soluzioni reali alle famiglie che vivono il disagio abitativo delegano e legittimano la questura a trattare il problema politico e sociale dell’abitare come un mero problema di ordine pubblico.
Per evitare il clamore mediatico derivato dallo sgombero di nuclei familiari con bambini piccoli o con storie che possano suscitare attenzione da parte dell’opinione pubblica, comune e questura hanno elaborato ormai da tempo un nuovo strumento: l’articolo 610.
Ciò rappresenta una conferma in più della non volontà del comune di confrontarsi con l’emergenza che sta colpendo la nostra città. Strategia che prevede la chiusura degli spazi di dialogo con le famiglie e demanda la gestione degli sfratti alla questura e rende chiara la volontà di non assumersi la responsabilità politica di quanto sta accadendo.
Assistiamo all’applicazione di nuovi strumenti destinati da una parte a colpire quelle famiglie che attivano percorsi di resistenza, siano essi picchetti antisfratto o riappropriazioni di edifici pubblici abbandonati ormai al degrado. Nell’ultimo anno si è vista la negazione della residenza a coloro che hanno scelto il percorso dell’occupazione e l’applicazione del 610 alle famiglie che hanno organizzato picchetti.
L’articolo in questione permette all’ufficiale giudiziario di presentarsi senza preavviso per eseguire lo sfratto. Questa disposizione mira ad aggiungere precarietà alla precarietà di quanti sono già gravati dal peso di uno sfratto, potendo l’ufficiale giudiziario presentarsi ad eseguirlo in qualunque data, in qualunque momento.
Il 610 permette soprattutto al comune di non prendersi le proprie responsabilità neanche di fronte all’esecuzione materiale dello sfratto. Si evita infatti in tal modo il clamore mediatico derivato dagli sgomberi coatti, mascherandosi dietro un articolo infame e trincerandosi dietro questura e tribunali.
Siamo invece convinti che la situazione attuale sia frutto delle politiche attuate dalle istituzioni cittadine, prime fra tutte le decisioni inerenti l’utilizzo delle risorse pubbliche. Si sponsorizzano progetti inutili e devastanti come le grandi opere; si svende patrimonio pubblico senza una reale redistribuzione degli introiti sul territorio; si sperperano soldi per costruire il grattacielo della Regione, che non verrà utilizzato, mentre si distrugge sistematicamente il welfare.
Emblematici sono i casi di Hassan e Ahmed, che hanno sperimentato prima la lotta sul posto di lavoro contro lo sfruttamento al quale erano soggetti e dopo quella per l’affermazione del diritto ad una casa. Il primo denunciando il datore di lavoro che non lo ha mai regolarizzato, il secondo al CAAT contro le condizioni disumane di lavoro.
Il 5 e 6 novembre di fronte ai picchetti per la resistenza al loro sfratto gli ufficiali giudiziari in accordo con proprietà e questura hanno dato l’infame 610 ed il comune ha così trasformato una responsabilità istituzionale in un cavillo giuridico.
Ad oggi le due famiglie, nonostante le domande di casa popolare ed emergenza abitativa, l’essersi rivolti a lo.ca.re e all’ assistenza sociale non hanno ottenuto nessuna risposta.
Crediamo non sia più tollerabile la totale assenza delle istituzioni incapaci di proporre politiche socio abitative in grado di dare soluzioni reali, l’assoluta mancanza di presa di responsabilità in merito alla situazione attuale e l’applicazione di norme inaccettabili come l’art.610.
L’utilizzo dell’art. 610 non può essere infatti un ulteriore strumento in mano alle istituzioni incapaci di intervenire con soluzioni reali all’emergenza abitativa. A partire dalla situazione di Hassan e Ahmed pretendiamo che il comune trovi soluzioni concrete e prenda posizione sul dilagare dell’utilizzo dell’art. 610 applicando la moratoria per gli sfratti!
Nel frattempo per rispondere ai bisogni reali delle famiglie riteniamo l’occupazione abitativa l’unico e immediato strumento per garantire il diritto all’abitare, nonché una legittimazione politica dello strumento della riappropriazione.