Appello Coordinamento Asti-EST

LETTERA APERTA al
VESCOVO, al SINDACO, e al
PREFETTO, alle ASSOCIAZIONI
SINDACALI degli inquilini, ai
segretari CGIL-CISL-UIL, alle
ASSOCIAZIONI della piccola
proprietà immobiliare, ai
CONSIGLIERI del COMUNE e
della PROVINCIA, ai semplici
CITTADINI che hanno a cuore la
vita civile della città.

 Sono nove mesi, esattamente da luglio del
2009, che ci prodighiamo – volontari di nove
associazioni e famiglie in emergenza abitativa – per tutelare un diritto riconosciuto
da tutte le Carte, il diritto all’abitare. Nove mesi di azioni consapevoli, di proposte, di
analisi, in cerca di interlocutori istituzionali. Nove mesi di investimenti in relazioni e in denaro
per costruire un approccio trasparente e socialmente sostenibile a questo gravissimo
problema. Un problema che abbiamo sintetizzato più volte con cifre inoppugnabili, rilievi
statistici che hanno il solo difetto di lasciare sotto traccia la vita reale, delle persone in carne
ed ossa che si sentono minacciate nello spazio degli affetti e della condivisione. Una arida
procedura di sfratto può minare la coesione di una famiglia.

Ripetiamo queste cifre: una quarantina di emergenze abitative, famiglie già
sfrattate o minacciate di sfratto, 600 famiglie in attesa di una casa popolare, in
condizioni abitative spesso insostenibili. Ridotta al lumicino – due decine all’anno – la
disponibilità di alloggi a canone sociale, vale a dire alla portata di redditi falcidiati dalla crisi,
nulli, modesti, intermittenti. Un buco nero di indisponibilità che solo nei primi mesi del
2012, comincerà ad essere colmato dai primi alloggi popolari di nuova costruzione (108
alloggi già cantierati).

Con queste cifre, e considerando che il bisogno abitativo insoddisfatto tende a crescere,
una gestione dell’emergenza che riduca almeno il danno sociale di situazioni familiari già
difficili, è impossibile. Dunque è necessario disporre al più presto di nuovi
alloggi.

Sono nove mesi che segnaliamo pubblicamente, con cifre, cartelli indicatori e proposte,
l’esistenza in questa città di un patrimonio inutilizzato di edilizia residenziale
pubblica e privata nonché di un patrimonio dismesso di edilizia originariamente destinata
a Servizi. E’ il lascito dell’incuria ma soprattutto di una sfrenata attività immobiliare
speculativa nonché dell’idea, sarebbe meglio dire dell’ideologia, che tutto debba per forza
essere trasformato in merce o in valore di scambio da realizzare sul mercato.

Nove mesi di azioni in difesa del diritto all’abitare che hanno avuto l’eco dei giornali e il
disinteresse per non dire l’ostilità degli Enti. Un comportamento in cui si è distinto
l’assessorato ai Servizi Sociali, con risposte irricevibili e una visione del problema filantropica
e xenofoba.

In questa situazione, dopo decine e decine di sfratti contrastati, di rinvii pagati dalle
associazioni, di contratti di locazione favoriti dalle stesse associazioni, la scelta di
occupare l’edificio di edilizia residenziale di via Allende, è stata
praticamente obbligata dall’incalzare di altri sfratti. Quell’edificio simboleggia più
di altri l’incuria e l’abbandono nonché il prevalere dell’ideologia mercantile sui bisogni delle
famiglie. Ma la scelta è stata anche moralmente obbligata, perché non si poteva
opporre un problema di astratta legalità ad un problema di giustizia, di tutela della coesione
delle famiglie, e indirettamente di salvaguardia del legame sociale della comunità cittadina.

Ci viene detto che la nostra azione può compromettere la realizzazione di un “accordo di
programma” , di cui ci sarebbero già le premesse, tra Ministero della Difesa (il proprietario
dell’edificio di via Allende), il Comune, e l’atc per un utilizzo temporaneo dell’edificio che
abbiamo “occupato”. Noi invece siamo convinti del contrario e ci proponiamo come il
quarto dei protagonisti di questo accordo, avendone tutti i titoli, anche quelli formali
(molte delle nostre associazioni sono delle Onlus). Certo, non abbiamo chiesto il permesso a
nessuno, salvo quello della nostra coscienza e del nostro modo di costruire relazioni
consapevoli, per varcare quella soglia, ma se la questione della legalità non viene
agitata in modo strumentale e dunque con una totale mancanza di rispetto per ciò che
siamo e ciò che facciamo, è un ostacolo facilmente superabile. E’ sufficiente che il Ministero
anticipi al Comune la cessione in uso dello stabile e che il Comune concordi con noi e le
famiglie le modalità di inserimento di questi sei alloggi nella procedura delle assegnazioni di
alloggi a canone sociale.

D’altra parte perfezionare un accordo di programma richiede un tempo di almeno tre mesi
(ad essere ottimisti), dunque assumiamo questo tempo per perfezionare l’accordo
con il Comune e facciamo in modo che quel che abbiamo fatto e stiamo facendo
(costruire socialità direbbe un sociologo interessato alla cosa) non vada disperso in scenari di
tutela dell’ordine pubblico. Scenari che noi non vogliamo nemmeno evocare.

Allora è bene che si sappia cosa stiamo facendo nello stabile “occupato”
(senza dimenticare che era vuoto e abbandonato da 3 anni). Abbiamo già reso l’ambiente
pulito e in ordine e stiamo procedendo a spese nostre al ripristino di infissi e di parti
dell’impianto idrico che abbiamo trovato danneggiati da atti di vandalismo. Stiamo
organizzando la vita in comune di sei famiglie, i momenti di discussione e di
dialogo necessari per condividere le difficoltà e il senso di ciò che facciamo, la
sistemazione degli ambienti circostanti in modo che il cortile e la parte a prato e alberi siano
frequentabili, soprattutto dai bambini, che sono tredici e molti in età scolare, facciamo
tutto quello che è necessario per evitare che il quartiere o la città ci
vedano come un fortino assediato o una zona franca. Una cosa è certa, il nostro
comportamento non è ispirato dalla morale, purtroppo corrente, “ognuno per sé e dio per
tutti” ma dalla morale opposta, della responsabilità di se e degli altri, della condivisione, della
solidarietà e dalla idea che ci sono beni, come questo stabile di proprietà pubblica, da
sottrarre al mercato.

Concludendo: ci aspettiamo delle conferme, degli atti
di solidarietà (ci servono condivisione e soldi, il Banco
Alimentare ha già fatto la sua parte) e una vera
interlocuzione con gli Enti pubblici. Intanto
sarebbe bene che questi ultimi dessero prova di voler aprire
un dialogo, attivando le utenze dello stabile (luce, gas,
acqua).

 

Asti, nella parte occidentale del pianeta, aprile 2010, le
famiglie sfrattate, il Coordinamento delle associazioni per il
diritto alla casa.