Renzi inaugura il 2015 aggravando l’emergenza abitativa

stopsfrattisgombpignIl primo regalo del governo Renzi per il 2015 non si discosta molto da quelli elargiti sin dall’insediamento del premier fiorentino a Palazzo Chigi. Nel cosiddetto decreto Milleproroghe salta infatti il rinnovo del blocco degli sfratti per quelle famiglie a cui è scaduto il contratto di affitto e che sono contemporaneamente in forte disagio economico.

Le famiglie toccate dal provvedimento sono quelle che guadagnano meno di 27mila euro all’anno, con contemporanea presenza a carico di minori, portatori d’handicap, malati terminali, anziani; queste non potranno infatti più beneficiare della proroga, per un totale (secondo le prime stime) di circa 30mila famiglie che potrebbero essere potenzialmente interessate da sfratti nelle prossime settimane.

Va sottolineato tralaltro che la stessa norma da prorogare in sé era insufficiente ad affrontare il problema abitativo nella sua complessità, dato che si interessava solamente dei contratti d’affitto scaduti, senza occuparsi della questione relativa ai casi di morosità incolpevole,casi maggioritari all’interno dell’elenco delle cause di sfratti.

I 440 milioni di euro che il governo ha appena annunciato di aver stanziato in cambio dello stop alla proroga non bastano quindi minimamente a coprire l’emergenza abitativa in corso, dato che coprono un arco temporale da qui al 2020 e soprattutto che ancora non sono stati direttamente stanziati agli enti locali. Tutto questo avviene in una condizione disperata per la condizione abitativa del Paese, dato che ormai siamo vicini alle 80 mila nuove sentenze di sfratto ogni anno, di cui oltre il 90% per morosità e un numero di sfratti accumulato dagli 5 ultimi anni che è stimabile in almeno 300 mila sentenze pendenti.

A gioire è ovviamente Confedilizia, che descrive il provvedimento come un argine alla “demagogia” che si è sempre fatta sulla questione. Una demagogia fatta di volti e biografie stroncate dalla crisi che evidentemente non interessano a piccoli e grandi padroncini immobiliari, sempre più a loro agio con il governo Renzi e soprattutto con il ministro delle Infrastrutture Lupi, che dopo la vergogna del PianoCasa continua nel suo attacco frontale agli ultimi della società.

Il provvedimento è un segnale da parte del governo del fatto che si continuerà, nel 2015, sulla strada di quanto fatto negli ultimi anni. Ovvero nell’attacco alle vecchie e nuove figure della povertà del nostro paese, che hanno anche il torto di essersi ribellate aprendo un percorso di mobilitazione che di fatto ci ha accompagnato nel recente passato e sembra essere disponibile al conflitto anche in questo appena iniziato.

Già alla fine di gennaio torneranno in marcia gli occupanti di case, con la volontà di estendere il loro percorso di lotta anche ai quartieri periferici dove spesso si trovano a vivere e a portare il calore e la forza delle esperienze di riappropriazione ad uso abitativo. Il 31 gennaio è la data individuata per una grande giornata di mobilitazione delle periferie nell’ultima assemblea della rete AbitareNellaCrisi, dove si è evidenziata anche la necessità di alzare il livello del conflitto soprattutto in relazione alla concessione delle residenze nelle occupazioni (smontando così l’applicazione pratica del PianoCasa), nonché di mettere in campo le necessarie mobilitazioni per continuare ad attaccare l’utilizzo delle risorse pubbliche per grandi eventi come Expo e in futuro Olimpiadi e non per affrontare le reali esigenze della stragrande maggioranza del Paese.

da infoaut

Mobilitiamoci contro gli sfratti

stop-evictionsPer il diritto alla casa, per l’assegnazione delle case popolari lasciate vuote da ATC, contro sfratti e sgomberi, contro l’aumento delle bollette, per non vedere più famiglie costrette a vivere senza casa: MOBILITIAMOCI VENERDÌ 12 DICEMBRE “SPEZZONE SOCIALE” ORE 9 PIAZZA VITTORIO, TORINO.

Nella nostra città l’emergenza abitativa preoccupa sempre più famiglie che vivono con l’incubo dello sfratto, consapevoli che le istituzioni non faranno nulla per trovare loro delle soluzioni reali. Il Comune di Torino è impassibile di fronte ad una emergenza sociale in continua crescita: gli sfratti per morosità incolpevoli sono passati dal 2004 al 2013 da 2.056 a quasi 4mila nella sola città di Torino. A questo si aggiungono i problemi legati ad ATC nel gestire il patrimonio pubblico di case popolari: più di mille alloggi vuoti, che potrebbero essere subito destinati alle famiglie sfrattate, aumenti delle utenze da parte di ATC a inquilini che vivono un disagio economico, lavori di ordinaria manutenzione che non vengono effettuati e quindi degrado degli alloggi popolari e disagio per le famiglie che ci vivono.

Tutti questi problemi hanno dei responsabili che nel corso degli anni nulla hanno fatto per poterli risolvere: il Comune incapace di garantire il diritto alla casa, ATC di essere un ente pubblico assolutamente irresponsabile di fronte alle richieste di emergenza abitativa e infine il governo che attua dei provvedimenti che contribuiscono ad alimentare il disagio abitativo (il Piano Casa del governo Renzi è un esempio delle scellerate scelte che ricadono come dei massi sulla schiena delle gente già in difficoltà per colpa della crisi economica).

Qualcuno potrebbe obbiettare dicendo che i problemi sono “normali” quando le condizioni generali non sono delle migliori (lo stesso presidente uscente Elvi Rossi ha definito “normale” una gestione difficoltosa del patrimonio pubblico) ma qui non si tratta di piccole difficoltà di percorso a cui trovare delle soluzioni.

La situazione che abbiamo di fronte, case atc non assegnate e lasciate vuote, immobili comunali abbandonati, mancanza di case a canone agevolato, graduatorie per le liste dell’emergenza abitative infinite, famiglie in mezzo a una strada, è volutamente lasciata a sè stessa. Perché il Comune di Torino con i propri assessori non rivede i requisiti per accedere alle liste per le case popolari? Perchè il Comune non requisisce gli immobili pubblici per restituirli alla città per arginare il disagio abitativo? Perché ATC non propone soluzioni ai problemi di gestione, manutenzione, assegnazione degli alloggi vuoti e delle case popolari, magari rilanciando anche l’edilizia residenziale pubblica ormai scomparsa in città?

sfratti_14

Tutti questi interrogativi trovano una loro risposta in quelle che sono le vere politiche sociali e di sviluppo della città: si favorisce la svendita del patrimonio pubblico, le speculazioni e le privatizzazioni. È notizia di qualche giorno fa che il Comune di Torino si prepara a un’operazione di vendita del patrimonio pubblico senza precedenti: per far fronte al buco di bilancio, causato dallo spreco di denaro pubblico per le Olimpiadi del 2006 a firma Chiamparino, il sindaco Fassino è pronto a vendere una serie di palazzi storici della nostra città che frutteranno alle casse comunali 50 milioni di euro. Gli immobili pubblici verranno acquistati dalla Cassa Deposito e Prestiti formato per l’80% dal Ministero dell’Economia, da fondazioni bancarie e da alcuni azionisti fra cui, guarda caso, anche il sindaco Fassino.

Si favorisce la speculazione edilizia lasciando vuoti e abbandonati immobili per far crescere il loro valore sul mercato; si favorisce la privatizzazione, non solo dei servizi come ad esempio la sanità, ma anche per quanto riguarda la costruzione di alloggi di lusso destinati a privati facoltosi, cancellando la costruzione di case popolari ad affitto calmierato in proporzione al reddito.

Ma non è finita qui: il piano-casa, presentato dal vicesindaco Elide Tisi, prevede la messa in vendita di case popolari – riducendo così ulteriormente il numero di alloggi disponibili – e con il ricavato della vendita il Comune intende acquistare gli immobili di proprietà delle fasce anziane e più povere della popolazione, il tutto in cambio di assistenza domiciliare e medica. Detto in altre parole: mentre Saitta e Chiamparino si preparano a chiudere e declassare gli ospedali del torinese e di fronte alle conseguenze della mancanza di servizi di assistenza, la giunta di Fassino ha pensato bene di costruire un ricatto degno dei peggiori speculatori e affaristi. Se vuoi assistenza, prima ti tolgo la casa, così a quel punto risulterai abbastanza povero da rientrare nei parametri di chi ha diritto a qualche spicciolo di elemosina.
immagine_spazi_sociali_casa
Questa è la condizione in cui versa la nostra città. Dal canto nostro – famiglie, disoccupati, precari, studenti, pensionati – non possiamo accettare questi giochi di potere fatti sulla nostra pelle; l’impoverimento non è una condizione naturale dell’essere umano ma è perpetrata da un sistema di potere che pensa solo a sè stesso e alle proprie tasche. Il nostro compito è smascherare e lottare contro questo sistema corrotto e trovare delle soluzioni reali ai nostri bisogni primari.
Le occupazioni abitative, oltre a far riprendere quello che è pubblico sottraendolo alla vendita ai privati, sono una soluzione immediatamente praticabile per chi ha perso la casa. Mobilitiamoci affinché le nostre vite possano riprendersi quella dignità che oggi le istituzioni ci stanno togliendo.

Solidarietà agli abitanti del Giambellino e dei quartieri popolari di MIlano

Gli abitanti del Giambellino, quartiere popolare di Milano, ormai hanno capito molto bene quali affari si nascondono dietro gli sgomberi delle palazzine occupate dell’Aler (ente che gestisce le case popolari del capoluogo lombardo) se no non si spiegherebbero tanti sgomberi – 200 dovrebbero essere effettuati con il beneplacito del PD nella veste del sindaco Pisapia e del presidente della regione Maroni – per far uscire a colpi di manganello famiglie per poi chiudere con lastre di metallo quelle case che fino a ieri avevano dato un tetto a molti. Sembra assurda una logica di questo tipo quando in una città come Milano il disagio abitativo è fortissimo, le liste per la case popolari sono lunghissime proprio perché le abitazioni popolari ci sono ma non vengono assegnate, con scuse assurde come “non sono agibili” perché ci sono i sanitari rotti invece di intervenire affinché il patrimonio pubblico non vada perso e rovinato dall’incuria dell’istituzioni locali.

Gli abitanti del Giambellino sanno benissimo come organizzare un picchetto resistente contro chi oggi li vuole in mezzo a una strada, sanno benissimo di chi sono le responsabilità di tanta violenza, sanno molto bene che la presenza delle istituzioni, incapaci di dare risposte concrete e serie al disagio abitativo, si palesano solo attraverso plotoni di sbirri pronti a far capire quanto dure possono essere le ragioni del profitto e della tutela dei potenti di turno, pronti a fare nuovi affari sulla pelle della gente.

Gli abitanti del Giambellino oggi hanno capito che è possibile organizzarsi per resistere, riconoscersi fra simili e aiutarsi collettivamente e se per quanto forza messa in campo non riusciranno a fermare centinaia di agenti in tenuta antisommossa equipaggiati a puntino per la mattanza sociale, oggi la gente dei quartieri popolari di Milano, sapranno che resistere a chi ci affama è possibile.

Solidarietà agli abitanti dei quartieri sotto sgombero.

Contro l’uso dell’art. 610, lo “sfratto a sorpresa”

stop_610I picchetti antisfratto nascono a Torino ormai 4 anni fa, nei primi mesi del 2010. Da allora centinaia sono le famiglie che si sono rivolte agli sportelli casa sorti in città e molteplici sono le occupazioni abitative che si sono susseguite nella metropoli. Sempre più famiglie e singoli decidono di resistere, di organizzarsi, di alzare la testa e di non accettare di essere sbattuti in mezzo ad una strada senza ricevere alcun aiuto da parte delle istituzioni.

La crisi ha messo in ginocchio migliaia di famiglie: 4000 sono gli sfratti eseguiti lo scorso anno nella nostra città nella più totale indifferenza di Comune e Regione.

La risposta delle istituzioni cittadine sulla questione dell’abitare è stata la progressiva abolizione di tutti gli strumenti destinati alle famiglie che affrontano questa situazione emergenziale.

Ottenere una casa popolate mediante emergenza abitativa è ormai un miraggio. I cavilli burocratici studiati dal comune fanno sì che nessuna famiglia possa soddisfare contemporaneamente tutti i requisiti: è di fatto sempre troppo povera o troppo ricca o comunque inadeguata.

Negli ultimi mesi, per sottrarsi alle proteste sempre più frequenti di coloro che vivono sulla propria pelle il problema abitativo, il comune ha eliminato gli sportelli dedicati alle famiglie e sulle scale degli uffici di via corte d’appello sono comparsi solerti vigili per impedire agli utenti di rivolgersi direttamente ai responsabili del servizio. Sembra quindi chiara la volontà delle istituzioni cittadine di sottrarsi al confronto con coloro che hanno perso o stanno perdendo la casa.

Lo stesso atteggiamento si riscontra nella gestione degli sfratti. Le istituzioni ormai incapaci di proporre soluzioni reali alle famiglie che vivono il disagio abitativo delegano e legittimano la questura a trattare il problema politico e sociale dell’abitare come un mero problema di ordine pubblico.

Per evitare il clamore mediatico derivato dallo sgombero di nuclei familiari con bambini piccoli o con storie che possano suscitare attenzione da parte dell’opinione pubblica, comune e questura hanno elaborato ormai da tempo un nuovo strumento: l’articolo 610.

Ciò rappresenta una conferma in più della non volontà del comune di confrontarsi con l’emergenza che sta colpendo la nostra città. Strategia che prevede la chiusura degli spazi di dialogo con le famiglie e demanda la gestione degli sfratti alla questura e rende chiara la volontà di non assumersi la responsabilità politica di quanto sta accadendo.

Assistiamo all’applicazione di nuovi strumenti destinati da una parte a colpire quelle famiglie che attivano percorsi di resistenza, siano essi picchetti antisfratto o riappropriazioni di edifici pubblici abbandonati ormai al degrado. Nell’ultimo anno si è vista la negazione della residenza a coloro che hanno scelto il percorso dell’occupazione e l’applicazione del 610 alle famiglie che hanno organizzato picchetti.

L’articolo in questione permette all’ufficiale giudiziario di presentarsi senza preavviso per eseguire lo sfratto. Questa disposizione mira ad aggiungere precarietà alla precarietà di quanti sono già gravati dal peso di uno sfratto, potendo l’ufficiale giudiziario presentarsi ad eseguirlo in qualunque data, in qualunque momento.

Il 610 permette soprattutto al comune di non prendersi le proprie responsabilità neanche di fronte all’esecuzione materiale dello sfratto. Si evita infatti in tal modo il clamore mediatico derivato dagli sgomberi coatti, mascherandosi dietro un articolo infame e trincerandosi dietro questura e tribunali.

Siamo invece convinti che la situazione attuale sia frutto delle politiche attuate dalle istituzioni cittadine, prime fra tutte le decisioni inerenti l’utilizzo delle risorse pubbliche. Si sponsorizzano progetti inutili e devastanti come le grandi opere; si svende patrimonio pubblico senza una reale redistribuzione degli introiti sul territorio; si sperperano soldi per costruire il grattacielo della Regione, che non verrà utilizzato, mentre si distrugge sistematicamente il welfare.

Emblematici sono i casi di Hassan e Ahmed, che hanno sperimentato prima la lotta sul posto di lavoro contro lo sfruttamento al quale erano soggetti e dopo quella per l’affermazione del diritto ad una casa. Il primo denunciando il datore di lavoro che non lo ha mai regolarizzato, il secondo al CAAT contro le condizioni disumane di lavoro.

Il 5 e 6 novembre di fronte ai picchetti per la resistenza al loro sfratto gli ufficiali giudiziari in accordo con proprietà e questura hanno dato l’infame 610 ed il comune ha così trasformato una responsabilità istituzionale in un cavillo giuridico.

Ad oggi le due famiglie, nonostante le domande di casa popolare ed emergenza abitativa, l’essersi rivolti a lo.ca.re e all’ assistenza sociale non hanno ottenuto nessuna risposta.

Crediamo non sia più tollerabile la totale assenza delle istituzioni incapaci di proporre politiche socio abitative in grado di dare soluzioni reali, l’assoluta mancanza di presa di responsabilità in merito alla situazione attuale e l’applicazione di norme inaccettabili come l’art.610.

L’utilizzo dell’art. 610 non può essere infatti un ulteriore strumento in mano alle istituzioni incapaci di intervenire con soluzioni reali all’emergenza abitativa. A partire dalla situazione di Hassan e Ahmed pretendiamo che il comune trovi soluzioni concrete e prenda posizione sul dilagare dell’utilizzo dell’art. 610 applicando la moratoria per gli sfratti!

Nel frattempo per rispondere ai bisogni reali delle famiglie riteniamo l’occupazione abitativa l’unico e immediato strumento per garantire il diritto all’abitare, nonché una legittimazione politica dello strumento della riappropriazione.

Torino, sfratto rinviato ma continua l’infame pratica dell’art. 610

hassan_viacapuaPer questa mattina a Torino era programmato lo sfratto di una famiglia residente in via Capua. Assam, la moglie e i due figli vivono in un appartamento di proprietà di un noto palazzinaro (che possiede l’intero edificio, assieme ad altri…), il quale, non appena la famiglia non è più stata in grado di pagare l’affitto a causa della perdita del lavoro di Assam, non ha esitato ad avviare la procedura di sfratto.

Quello di oggi era il terzo accesso e Assam e la sua famiglia, ancora in attesa di una risposta dall’emergenza abitativa, avevano deciso di resistere e opporsi alla prospettiva di finire in mezzo alla strada assieme ai due figli, di cui una – una bambina di 4 anni – in condizioni di salute precaria.

Fin dalle prime ore dell’alba alcune decine di solidali si sono riuniti in via Capua per resistere attivamente assieme alla famiglia. In tarda mattinata è arrivato infine l’Ufficiale giudiziario, scortato dall’avvocato e da alcuni agenti della Questura, che ha comunicato la decisione da parte del proprietario di casa di rinviare lo sfratto. La decisione, però, è stata ufficializzata tramite la procedura dell’articolo 610, l’infame pratica che permette di eseguire sfratti a sorpresa e che sempre più spesso Questura e Comune stanno applicando per tentare di ostacolare le forme di resistenza. In pratica, questo significa condannare la famiglia a vivere in un limbo di incertezza col rischio di ritrovarsi da un giorno all’altro buttata fuori di casa.

Emblematiche le dichiarazioni dell’Ufficiale giudiziario, che non ha voluto sentire ragioni e ha rifiutato qualsiasi confronto con la famiglia e i solidali, sostenendo che la questione non fosse un problema suo e che il suo lavoro terminasse con la comunicazione della procedura di rinvio a sorpresa. In una città con un’emergenza abitativa altissima e istituzioni rivelatesi da tempo incapaci di fornire qualsiasi tipo di risposta, continua il rimpallo delle responsabilità e l’applicazione di pratiche infami come quella del 610.

Domani mattina dalle 8 nuovo appuntamento di resistenza a uno sfratto in lungo Dora Siena 18!

da infoaut

Appuntamenti resistenti

Torino_Due gli appuntamenti di resistenza agli sfratti di questa settimana, il primo il 5 e il secondo il 6 di novembre. Due date nelle quali le famiglie sotto sfratto si contrapporranno alla Questura, se questa deciderà di intervenire con la forza, che ormai ha il mandato del Comune di Torino sulla gestione degli sfratti in città. Una questione politica, visto i numerosi sfratti per morosità nella nostra città, ma che le istituzioni continuano a  delegare alle forze dell’ordine trattando il diritto all’abitare come una mera questione di ordine pubblico. Le responsabilità delle istituzioni locali e del Governo Renzi, sono quelle di non garantire il diritto alla casa ma anzi passano all’attacco, con il piano casa, contro le occupazioni abitative nelle quali molte famiglie trovano riparo dopo gli sgomberi coatti. Notizia di qualche giorno fa è che il ministro Lupi incoraggiava le prefetture a staccare le utenze basilari, luce e acqua, alle occupazioni abitative. Una presa di posizione arrogante pur sapendo che il Governo nulla sta facendo per risolvere l’emergenza abitativa nel paese. Le resistenze agli sfratti, le occupazioni di stabili lasciati vuoti insieme alle mobilitazioni sulla casa sono gli unici strumenti che abbiamo per rispondere alle politiche degli sgomberi, al business della speculazione edilizia, alla mala gestione delle case popolari che continuano a rimanere chiuse e non assegnate, a un intero sistema politico che attraverso il rigore e l’austerità porta molte  famiglie e singoli al limite della sopravvivenza. L’emergenza casa è solo un anello della catena di impoverimento che le istituzioni stanno attuando contro di noi: la disoccupazione, la ristrutturazione del mondo del lavoro sempre più precario e sfruttato grazie al Jobs Act, gli aumenti delle tasse, i tagli dei servizi primari, lo spreco di denaro pubblico (che viene dirottato nelle grandi opere invece di essere investito in politiche sociali per far fronte ai bisogni e necessità di tutti e tutte), sono consequenziali alla perdita della propria casa (e quando non ci sono le istituzioni e/o i palazzinari a sgomberarci ci pensano le banche attraverso i pignoramenti).  A tutto questo noi dobbiamo opporci con forza affinché le nostre vite riconquistino quella dignità che le istituzioni ci stanno togliendo.

Qui sotto le storie delle famiglie che resisteranno agli sgomberi del 5 e 6 novembre. Per tutti l’appuntamento è alle le ore 8 del mattino sotto le abitazioni delle famiglie

 

Lyazil vive in quest’appartamento insieme alla moglie e ai 2 figli. Lyazil ha sempre regolarmente pagato l’affitto fino a quando l’unico sostentamento dovuto al suo lavoro e’ venuto a mancare. Lyazil ha lavorato per tanti anni in nero in una fabbrica alle porte di Torino, e quando ha richiesto al suo datore di lavoro la regolarizzazione ha ottenuto in cambio il licenziamento in tronco!. La causa di lavoro portata avanti e vinta ha permesso a Lyazil di continuare a pagare l’affitto fino a quando i soldi ricevuti dal datore di lavoro sono finiti e Lyazil e’ diventato moroso incolpevole.
Il proprietario di casa, che come spesso avviene possiede numerosi appartamenti in Torino, ha celermente provveduto a inviare lo sfratto per morosità’.
Proprietario di casa che affittava l’appartamento in cui Lyazil vive in condizioni che superavano l’agibilita’ e, proprio per le condizioni di degrado in cui sono stati costretti a vivere, la figlia piu’ piccola di Lyazil ha avuto dei seri problemi di salute tanto da doversi recare piu’ volte all’ospedale per sottoporsi a delle cure mediche piuttosto serie!!
Anche Lyazil, come tutte le famiglie che si trovano sotto sfratto, ha provato a seguire le vie istituzionali rivolgendosi all’emergenza abitativa che, come ormai prassi consolidata, ha respinto la sua domanda. Lyazil ha provato anche a fare ricorso e a tutt’oggi e’ ancora in attesa di una risposta dall’emergenza abitativa.

MERCOLEDÌ 5  NOVEMBRE, VIA CAPUA 30 Torino

 

 

Da sette anni Ahmed vive con sua moglie e le tre figlie, di nove, sei e tre anni nell’appartamento di Lungo Dora Siena 18.
La storia di Ahmed, è come quella di tanti, fatta di sacrifici sul lavoro in cui si viene sfruttati e dell’aumento costante del costo della vita aggravato dalle spese mediche sostenute per la bambina più grande invalida.
La storia di Ahmed, è però soprattutto una storia di lotta e dignità: sul lavoro dove è stato tra i promotori delle battaglie per la regolarizzazione dei contratti – per la casa contro istituzioni che non sono in grado di dare nessuna risposta e palazzinari pronti a qualsiasi cosa per entrare nel business dell’affitto agli studenti – e contro il sistema dell’assistenza sociale che ad oggi non ha fornito nessun aiuto per la figlia invalida.
Per sette anni Ahmed, con lo stipendio di facchino al CAAT (Centro Agroalimentare di Torino) ha infatti sempre pagato puntualmente affitto e spese condominiali.
Nel 2012 è stato tra i promotori della lotta al CAAT contro le condizioni di lavoro inumane imposte dalle cooperative del centro di smistamento: turni di 14 ore, paga spesso inferiore ai 3 euro/ora, nessun diritto alla mutua ed alla retribuzione delle ferie. Per questo lo stesso anno, nonostante le nottate di lavoro, non gli sono stati versati molti stipendi e non è riuscito a pagare la rata esorbitante, di 1.700 euro di riscaldamento, richiesto dalla proprietaria.
Ahmed ha subito cercato di trovare un accordo con la proprietaria, proponendo di saldare il debito a rate e continuando a pagare puntualmente l’affitto.
La proprietaria ha invece deciso di cogliere la palla al balzo per sfrattare la famiglia di Ahmed, in modo da destinare l’appartamento, come gli altri di sua proprietà al ben più lucroso business di affitto agli studenti.
Ahmedha provato a seguire le vie istituzionali rivolgendosi all’emergenza abitativa che, come ormai prassi consolidata, ha respinto la sua domanda.
Ahmed ha diritto con le sue tre figlie ad una casa popolare, è cinquantasettesimo in graduatoria ed ha 17 punti, ma il Comune ha risposto che fino a gennaio non se ne parla
Il 6 Novembre, Ahmed resisterà allo sfratto rivendicando il diritto ad una vita dignitosa per se e le sue figlie.
Con determinazione non piegherà la testa di fronte ad un Comune, che ha cancellato il diritto all’abitare trasformando con le sue politiche Torino nella capitale degli sfratti.
Perché la situazione attuale è frutto delle politiche scellerate di Comune e Regione che sottraggono costantemente le risorse al welfare per destinarle alla costruzione di una città vetrina inesistente ed a progetti di devasto ambientale come il TAV.
Assistiamo al progressivo disfacimento dei palazzi costruiti per le Olimpiadi 2006, ad oggi abbandonati o gestiti da palazzinari senza scrupoli ed allo smantellamento dell’edilizia popolare.
Le case ATC vengono affittate a prezzi di mercato con LOCARE, le risorse per la casa vengono investite per promuovere contributi per i costruttori in una città che ha più di 30.000 alloggi vuoti.
Per tutti questi motivi Ahmed ha deciso di continuare a lottare con determinazione e non uscirà di casa fino a che il Comune di Torino non gli assegni la casa popolare o gli garantisca una soluzione alternativa adatta alla sua famiglia.

GIOVEDÌ 6 NOVEMBRE, LUNGO DORA SIENA 18 Torino

 

Sotto il segno del Mattone

porta-nuovaI danni di uno “sviluppo” tutto centrato sul rapporto tra speculazione immobiliare e disponibilità al credito (solo per i costruttori).

 

Alberto Ziparo (Professore Associato in Pianificazione Urbanistica all’Università degli Studi di Firenze) ha condotto per conto dell’Istat un dettagliato rapporto sull’entità del patrimonio immobiliare inutilizzato nel nostro paese. Ne emerge un quadro sorprendente e distopico al tempo, dove all’abbondanza di alloggi vuoti e inutilizzati corrisponde una politica urbanistica e del territorio che spinge a una forsennata corsa alla costruzione di nuovi immobili, con la complicità di banche che, mentre tiranneggiano su prestiti e investimenti in altri settori, elargiscono senza posa nuovo credito agli immobiliaristi.

 

I dati che mergono, in sintesi, sono questi:

• Raddoppio del consumo di suolo negli ultimi 20 anni (percentuale della cementificazione del territorio in termini assoluti) 
 
• 7 milioni di abitazioni vuote (una su quattro)

• Aumento del processo di svuotamento delle case del 350% negli ultimi 10 anni

Uno scandalo conclamato a fronte di un bisogno-casa che, complice l’approfondirsi della crisi, interessa sempre più famiglie, migranti, giovani precari e studenti. I dati Istat sull’abnorme quantità di case inutilizzate raccontano di un inarrestabile declino e di un modello sbagliato. Lo stesso del decreto Sblocca Italia, che in realtà sblocca solo le speculazioni finanziarie e la cementificazione selvaggia, licenzierà un’infinità di nuove autorizzazioni finalizzate alla costruzione di nuove case, nuiovi centri commerciali e “nuove infrastrutture” in un territorio già pesantemente compromesso sul profilo idrico-orografico. Alluvioni, disatri ambientali, corruzione sitematica e infiltrazione mafiosa nella realizzazione di grandi opere inutili si tengono insieme in un sistema profondamente anti-sociale, che promuove la follia egoistica di una società-di-proprietari a scapito dell’investimento in servizi collettivi e tutela dei beni comuni.

Lo scorso anno, un movimento variegato e composito ha provato  a mettere insieme il bisogno sociale diffuso di casa con la questione dello sperpero delle risorse e del denaro pubblico. La risposta del “governo del fare” è stato un Piano Casa diretto esplicitamente contro quella parte di poveri che ha  alzato la testa iniziando a riprendersi quello che dovrebbe essere garantito come diritto costituzionale (e umano).

Oltre la repressione dei movimenti e la sordità conclamata di una classe dirigente tutta votata al far circolare denaro dalle casse pubbliche alle segreterie dei partiti e dei grandi costruttori, c’è un altro aspetto che deve essere evidenziato e che ci racconta di un meccanismo perverso che istituisce un ciclo economico basato sulla formula banche-cemento-banche in cui il capitale immobilizzato nelle costruzioni (spesso vuote) viene utilizzato per ottenere nuovo credito per l’edificazione di ulteriori abitazioni che magari resteranno anch’esse invendute ma serviranno da garanzia per l’elargizione di nuovo credito, mentre il paese si impoverisce,  gli investimenti latitano, il debito pubblico aumenta… Un circolo vizioso perfettamente illustrato dallo stesso Zipparo in un articolo pubblicato oggi su Il Manifesto (Il Belpaese affoga in un mare di case, p.2):

«Ci siamo chie­sti a lungo per­ché nel nostro paese si con­ti­nuasse a costruire, a dispetto del declino demo­gra­fico (la quota di immi­gra­zione appare tut­tora rela­tiva) e socioeconomico. La spie­ga­zione è stata for­nita dagli stu­diosi di mar­ke­ting immo­bi­liare: da tempo non si costrui­sce più per la domanda sociale (che infatti — nono­stante tutto il patri­mo­nio vuoto citato — resta in parte ine­vasa): la ren­dita fon­dia­ria, poi immo­bi­liare si è tra­sfor­mata sem­pre più in finan­zia­ria. I «nuovi vani» dove­vano costi­tuire le «basi con­crete» per «costru­zioni vir­tuali» di fondi d’investimento o rispar­mio gestito. A parte la quota di edi­fi­cato — «lavan­de­ria», ovvero fina­liz­zata al rici­clag­gio di capi­tale ille­gale, facil­mente intrec­ciata al primo».

 

Su questi temi abbiamo condotto (dai microfoni di Radio Blackout) un’intervista con Luca Martinelli, giornalista del periodico AltraEconomia

Il piano-casa del Comune di Torino? Speculare sui bisogni e svendere tutto

Fassino-1-maggio-2012-contestatoFinita la pausa estiva, il Comune di Torino torna letteralmente a “fare i conti” con uno dei maggiori problemi che grava sull’amministrazione locale da qualche anno a questa parte, in particolare dal post-olimpiadi del 2006: la voragine di bilancio di una città indebitata fino al collo.

Stando alle notizie degli ultimi giorni sembra proprio che Fassino&Co. abbiano in mente grandi piani per affrontare il problema. E la ricetta con cui svilupperanno le politiche dei prossimi mesi non sarà che un acuirsi di quella già sperimentata in questi anni di amministrazione targata Pd: svendita del patrimonio pubblico, speculazioni e privatizzazioni.

D’altronde gli effetti sono ben visibili già oggi: da un lato tagli selvaggi a servizi, formazione e cultura, vendita delle aziende municipalizzate, un’emergenza abitativa sempre più alta, mentre dall’altra si moltiplicano inutili colate di cemento buone solo a ingrossare le tasche di banchieri e palazzinari. E’ il caso, ad esempio, dei due grattacieli in costruzione: quello quasi ultimato di Intesa San Paolo e quello destinato a ospitare la Regione Piemonte. Entrambi, a quanto pare, sono sovra-dimensionati e destinati a rimanere vuoti, e c’è già chi pensa a venderne delle parti, magari per farne qualche appartamento di lusso..

In questo quadro, l’idea del Comune per provare a tappare qualche buco di bilancio è presto detta: nel consiglio comunale di questa settimana, l’assessore di riferimento, Gianguido Passoni, ha proposto di mettere sul mercato otto edifici storici della città, con un incasso atteso di 50 milioni di euro. E per quanto riguarda i compratori sembra ci sia già chi è pronto a farsi avanti per acquistare il patrimonio cittadino: la Cassa depositi e prestiti. Insomma, il modello già sperimentato per la Cavallerizza Reale (per ora sventato solo grazie all’occupazione e all’iniziativa di chi – da qualche mese a questa parte – si sta opponendo a queste politiche scellerate) sembra ora estendersi al resto del centro storico..

Ma non è finita qua: sul versante della questione abitativa le proposte del Comune di Torino sono se possibile ancora più sconcertanti. Il piano-casa presentato dal vicesindaco Elide Tisi si articola infatti in due direzioni principali: da un lato la messa in vendita di case popolari, in una città in cui le liste di attesa per l’assegnazione di una di queste sono diventate da tempo un limbo di attesa senza fine e gli appartamenti vuoti si contano a migliaia. Ma il peggio deve ancora venire: con il ricavato della vendita di alloggi popolari il Comune intende acquistare gli immobili di proprietà delle fasce anziane e più povere della popolazione, il tutto in cambio di assistenza domiciliare e medica. Detto in altre parole: messo di fronte alle conseguenze della mancanza di servizi di assistenza, in particolare per gli anziani (situazione che non è “capitata” ma è l’effetto di anni di prosciugamento dei fondi per il welfare cittadino approvati dal Comune stesso), la giunta di Fassino ha pensato bene di costruire un ricatto degno dei peggiori speculatori e affaristi. Se vuoi assistenza, prima ti tolgo la casa, così a quel punto risulterai abbastanza povero da rientrare nei parametri di chi ha diritto a qualche spicciolo di elemosina.

Insomma, di fronte a politiche sempre più predatorie e senza scrupoli non può che tornare alla mente lo slogan che riecheggiò per tutto il corteo del 1 maggio di un paio di anni fa, quando il sindaco sfilò tra due cordoni di polizia sommerso dai fischi di studenti, precari, disoccupati, lavoratori delle cooperative, insegnanti: “Fassino, vergogna di Torino…”.

da infoaut

Comunicato per lo sgombero di Corso Traiano 128: la lotta per il diritto alla casa non si ferma!

prendo_casaDopo 11 mesi di occupazione, la palazzina di Corso Traiano 128 è stata sgomberata. Tredici famiglie, di cui undici bambini e due donne incinte hanno perso la casa. Per lo sgombero della palazzina la questura di Torino si è fatta sporgere l’atto di “sgombero coatto”, giustificato dal sequestro giudiziario dell’immobile, dal pm Padalino, un nome tristemente noto per chi su tutto il territorio si batte per i propri diritti.
La proprietà privata non aveva richiesto lo sgombero, ma la questura e la magistratura hanno provveduto a trovare il cavillo giudiziario pur di far “rispettare la legalità”, non pensando minimamente alle conseguenze reali: hanno messo in mezzo a una strada delle persone che ora non hanno nessuna altra soluzione abitativa. Il cosiddetto “rispetto della legalità” si scontra così con un diritto fondamentale come quello all’abitare, che a Torino, città ferita da migliaia di sfratti, con molte famiglie senza casa e un contesto di continuo impoverimento delle classi sociali meno agiate, ha palesato l’insufficienza delle politiche locali sulla casa.
Il continuo rifugiarsi sotto la bandiera della “legalità” stride di fronte alla necessità e ai bisogni di migliaia di persone (a Torino nel 2013 sono stati compiuti 4000 sfratti) che oggi non hanno un posto dove poter vivere. Se parlare di “legalità” significa trattare come problema di ordine pubblico un problema di bisogni reali, agire con la forza contro le persone che cercano di tutelare i propri bisogni, i propri diritti, ma soprattutto la propria dignità, allora questo significa che le istituzioni locali, responsabili dell’emergenza abitativa in città, non si preoccupano, o proprio non capiscono la situazione che hanno di fronte.
Il Comune e la Regione, in linea con tutti i governi che si sono succeduti, hanno privilegiato politiche di svendita del patrimonio pubblico, di privatizzazione dei servizi sociali essenziali, di speculazione immobiliare (vedi il grattacielo della Regione Piemonte in costruzione proprio a pochi passi dalla palazzina sgomberata), invece di investire sull’edilizia popolare o su una moratoria degli sfratti.
L’unica proposta che il Comune ha dato ad alcune famiglie (non a tutte), è stata quella di trasferirsi in una pensione per anziani in provincia di Alessandria, non pensando alle iscrizioni alle scuole per l’infanzia e le elementari del quartiere (una spesa non indifferente per delle famiglie a reddito quasi nullo) o quei pochi lavoretti, unica fonte di sostentamento, che dovrebbero essere disdetti in caso di un trasferimento così lontano. Ma non solo per questo le famiglie non hanno accettato la proposta: queste persone non sono un problema da spostare altrove e poi dimenticarsene il prima possibile, sono persone reali e in quanto tali necessitano di una soluzione reale.
Se è questa la legalità a cui dobbiamo sottostare, allora continueremo ad opporre una illegalità costruita sui bisogni reali delle persone, sui loro desideri, sulla loro voglia di cambiamento, per una vita e un futuro capaci di portare miglioramenti effettivi e non effimeri. Quelli che oggi vengono additati come atti illegali, diventano per sempre più persone atti legittimi per opporsi alle politiche di impoverimento, precarietà e sfruttamento.
Lo sgombero della palazzina di Corso Traiano 128, gli arresti di inizio giugno, i continui attacchi ai Movimenti per il diritto alla casa di tutta Italia che da Alessandria a Palermo lottano per un futuro migliore, mettono in luce le direttive di questa classe politica che cerca di mettere in difficoltà le istanze di lotta di chi oggi non si sente più rappresentato da loro e trova nuove speranze all’interno dei percorsi dei movimenti i quali praticano una contrapposizione politica e sociale al sistema vigente.
Corso Traiano 128 non è stata la prima occupazione abitativa e sicuramente non sarà l’ultima. Le tredici famiglie sgomberate, quelle sotto sfratto e senza casa non si faranno mai abbattere da questi attacchi. La loro dignità è più forte di uno sgombero, più forte dell’abbandono che hanno subito dalle istituzioni o del tentativo di oscurare la loro situazione.
Ci faremo sentire molto presto, sempre più forte, da chi ha deciso che non vuole ascoltarci.
LA DIGNITA’ NON SI SGOMBERA!

 

Torino, Corso Traiano sotto sgombero. Decine di famiglie in mezzo alla strada

corteo_casa_sgombero_traianoAggiornamento ore 19:00: Le famiglie sgomberate stamani, insieme a un gruppo di solidali, ha percorso in corteo le vie centrali della città per denunciare la criminale gestione dell’emergenza abitativa da parte del Comune e della    Prefettura. Se da una parte questi due enti ordinano gli sgomberi senza se e senza ma, dall’altra parte però non sono così lesti nel fornire una soluzione per gli ex-occupanti che da stamattina sono rimasti senza un tetto, dimostrando una totale indifferenza e disinteresse nei confronti di chi si trova in condizioni di assoluta difficoltà. Attualmente il corteo è giunto davanti alla sede RAI per evidenziare anche le responsabilità che assumono i media in questo contesto.

Aggiornamento ore 13.30: Dopo lo sgombero di questa mattina, gli occupanti di corso Traiano, buttati in mezzo alla strada questa mattina, insieme ai solidali, hanno deciso di recarsi sotto il Comune. L’appuntamento è per le 15 di questo pomeriggio in via palazzo di città.

____________

All’alba di questa mattina reparti mobili della polizia e dei carabinieri, per un totale di oltre cento agenti, hanno fatto irruzione all’interno dello stabile di Corso Traiano a Torino, occupato a luglio dello scorso anno all’interno della campagna #Riprendiamoci la città. L’edificio -che si trova in zona Mirafiori- dava casa a 13 famiglie, molte delle quali con bambini piccoli (oltre ad una donna incinta), che da questo momento torneranno a non avere una casa in cui vivere, segno di una risposta da parte dell’amministrazione comunale che piuttosto di risolvere l’emergenza abitativa, decide di adempire in toto al piano casa di Renzi e alla sua battaglia contro le occupazioni. In questo momento l’area limitrofa alla palazzina è completamente circondata dalle forze dell’ordine che non permettono ai e alle solidali accorse di avvicinarsi all’edificio.

polizia_sgombero_traianoNonostante la proprietà della palazzina sia di un’azienda della grande distribuzione rimasta abbandonata ormai da alcuni anni, il ruolo del Comune riguardo allo sgombero non è esente da responsabilità nell’aver buttato quest’oggi in strada decine di famiglie. Segno emblematico di come le istituzioni comunali reagiscono all’emergenza abitativa e al problema sfratti nella città di Torino.

Un atteggiamento già palese dopo le ultime mobilitazioni che vi sono state all’assessorato alla casa, negli uffici dell’emergenza abitativa e sotto la prefettura, dove sfrattati e occupanti si sono accampati dopo che il prefetto ha rifiutato di fornire risposte rispetto all’emergenza abitativa e sfratti, dimostrando quest’oggi di voler continuare a parlare un linguaggio che conosce solo sgomberi e assoluto disinteresse per chi si trova senza casa e in condizioni sociali sempre più precarie.