Elide Tisi: sapevamo dello sgombero di via Bardonecchia

fass_tisiLa mobilitazione delle famiglie sgomberate dallo Spazio Popolare Neruda si è conclusa dopo una lunga giornata. Sin dal mattino, con un presidio davanti all’emergenza abitativa, l’iniziativa è proseguita per tutto il pomeriggio dove, grazie alla determinazione delle famiglie, si è riuscito ad ottenere un incontro con il vice-sindaco Elide Tisi. Durante questo incontro la Tisi si è posta sulla difensiva per poi dover ammettere che il Comune era a conoscenza dello sgombero, in concerto con Prefettura e Questura, dello stabile occupato di via Bardonecchia. Non solo, il Comune era anche a conoscenza della mancanza dell’acqua all’interno dello stabile, privando coscientemente di un bisogno fondamentale e assetando, per ben due settimane, intere famiglie con bambini.

Durante l’incontro la Tis cercava di salvarsi in corner, affermando che le soluzioni temporanee concesse alle famiglie sgomberate, sono appunto temporanee per poter trovare il tempo e cercare soluzioni diverse, ma non definitive.

L’ipocrisia politica della Tisi anche oggi è andata in scena: le responsabilità delle politiche fallimentari sulla casa vengono tramutate, attraverso una logica perversa della gestione dell’emergenza casa, in soluzioni necessarie (leggi temporanee) affinché si possa avere il tempo per trovarne di migliori, giocando sull’opinione pubblica attraverso gli articoli dei giornali che, nei giorni successivi allo sgombero, vendevano come ottimali.

Operazione che non riesce però con la gente comune, che oggi tocca con mano il disastro sociale creato dalle politiche fallimentari del Comune in piena sintonia con le direttive del governo Renzi che attraverso il Piano casa criminalizza chi occupa e taglia le utenze nelle occupazioni.

Solo personaggi come Stefano Bolognesi, arrivista politico di Forza Italia e consigliere di Circoscrizione del quartiere di Pozzo Strada, in modo sfrontato e ipocrita, sosteneva le menzogne del Comune, affermando nella sua pagina fb: “La Stampa del 08.07.2015 “Occupazione terminata ,L’ex Csea sgomberato all’ alba”Il Comune offre sistemazioni alle famiglie allontanate, ma è polemica”
Questa volta devo fare i complimenti al giornalista per aver raccontato i fatti in modo reale….Sostengo sempre che le bugie hanno le gambe corte,e anche in questo caso sveleremo la Verità,mi dispiace solo per chi “CREDE ANCORA CHE GLI ASINI VOLINO”….In alcuni casi certi personaggi non richiedono neanche la documentazione, ma si fanno andare bene le parole…E A PARLARE SIAMO BRAVI TUTTI….SI VUOLE ANANRCHIA O GIUSTIZIA,INFORMIAMOCI E POI SE NE RIPARLERà!

La realtà sotto il sole è ben diversa e come al solito viene manipolata dai politicanti che sulle false promesse costruiscono la propria carriera.

Guarda il video dell’incontro

Renzi inaugura il 2015 aggravando l’emergenza abitativa

stopsfrattisgombpignIl primo regalo del governo Renzi per il 2015 non si discosta molto da quelli elargiti sin dall’insediamento del premier fiorentino a Palazzo Chigi. Nel cosiddetto decreto Milleproroghe salta infatti il rinnovo del blocco degli sfratti per quelle famiglie a cui è scaduto il contratto di affitto e che sono contemporaneamente in forte disagio economico.

Le famiglie toccate dal provvedimento sono quelle che guadagnano meno di 27mila euro all’anno, con contemporanea presenza a carico di minori, portatori d’handicap, malati terminali, anziani; queste non potranno infatti più beneficiare della proroga, per un totale (secondo le prime stime) di circa 30mila famiglie che potrebbero essere potenzialmente interessate da sfratti nelle prossime settimane.

Va sottolineato tralaltro che la stessa norma da prorogare in sé era insufficiente ad affrontare il problema abitativo nella sua complessità, dato che si interessava solamente dei contratti d’affitto scaduti, senza occuparsi della questione relativa ai casi di morosità incolpevole,casi maggioritari all’interno dell’elenco delle cause di sfratti.

I 440 milioni di euro che il governo ha appena annunciato di aver stanziato in cambio dello stop alla proroga non bastano quindi minimamente a coprire l’emergenza abitativa in corso, dato che coprono un arco temporale da qui al 2020 e soprattutto che ancora non sono stati direttamente stanziati agli enti locali. Tutto questo avviene in una condizione disperata per la condizione abitativa del Paese, dato che ormai siamo vicini alle 80 mila nuove sentenze di sfratto ogni anno, di cui oltre il 90% per morosità e un numero di sfratti accumulato dagli 5 ultimi anni che è stimabile in almeno 300 mila sentenze pendenti.

A gioire è ovviamente Confedilizia, che descrive il provvedimento come un argine alla “demagogia” che si è sempre fatta sulla questione. Una demagogia fatta di volti e biografie stroncate dalla crisi che evidentemente non interessano a piccoli e grandi padroncini immobiliari, sempre più a loro agio con il governo Renzi e soprattutto con il ministro delle Infrastrutture Lupi, che dopo la vergogna del PianoCasa continua nel suo attacco frontale agli ultimi della società.

Il provvedimento è un segnale da parte del governo del fatto che si continuerà, nel 2015, sulla strada di quanto fatto negli ultimi anni. Ovvero nell’attacco alle vecchie e nuove figure della povertà del nostro paese, che hanno anche il torto di essersi ribellate aprendo un percorso di mobilitazione che di fatto ci ha accompagnato nel recente passato e sembra essere disponibile al conflitto anche in questo appena iniziato.

Già alla fine di gennaio torneranno in marcia gli occupanti di case, con la volontà di estendere il loro percorso di lotta anche ai quartieri periferici dove spesso si trovano a vivere e a portare il calore e la forza delle esperienze di riappropriazione ad uso abitativo. Il 31 gennaio è la data individuata per una grande giornata di mobilitazione delle periferie nell’ultima assemblea della rete AbitareNellaCrisi, dove si è evidenziata anche la necessità di alzare il livello del conflitto soprattutto in relazione alla concessione delle residenze nelle occupazioni (smontando così l’applicazione pratica del PianoCasa), nonché di mettere in campo le necessarie mobilitazioni per continuare ad attaccare l’utilizzo delle risorse pubbliche per grandi eventi come Expo e in futuro Olimpiadi e non per affrontare le reali esigenze della stragrande maggioranza del Paese.

da infoaut

Torino. Sfrattati e senza casa occupano uffici dell’emergenza abitativa

05Mentre si discute in senato l’applicazione del decreto Lupi sulla casa, in molte città continuano le mobilitazioni per il diritto all’abitare. Il movimento per il diritto all’abitare romano è tornato in piazza ieri contro il “nuovo piano casa” del governo Renzi e contro tutti i decreti che amplificano i processi di impoverimento e precarietà.

Questa mattina a Torino occupanti, sfrattati e senza casa, in continuità con le mobilitazioni per il diritto alla casa e contro le politiche di austerity, hanno occupato gli uffici dell’Assessorato alla casa e dell’Emergenza abitativa. Dopo vari colloqui con i responsabili delle istituzioni le famiglie sono riuscite ad ottenere un tavolo politico presso il comune sull’emergenza abitativa che si terrà venerdì 16 maggio alle ore 10.

 

Centinaia di sfrattati e senza casa dei vari sportelli casa cittadini hanno occupato questa mattina gli uffici dell’Assessorato alla casa e dell’Emergenza abitativa di Torino in via Corte d’Appello, tornando a porre al centro dell’attenzione il problema casa che a Torino ha raggiunto cifre senza precedenti.

Da un anno a questa parte la pratica dello sfratto a sorpresa (autorizzato dall’art. 610) risulta essere pratica d’ufficio come risposta a chi resiste allo sfratto. La questione abitativa a Torino viene pertanto affrontata su una mera questione di ordine pubblico mentre le istituzioni cittadine continuano a non dare risposte soddisfacenti delegando il tutto al tribunale di Torino.

Questa mattina, i moltissimi sfrattati e sfrattate così come molte famiglie di senza casa, si sono quindi recati direttamente dall’assessore welfare e politiche sociali nonchè presidente della Commissione per l’emergenza abitativa Elide Tisi, per chiedere una soluzione degna partendo dalla cancellazione dell’art.610, oltre ad una moratoria sugli sfratti, l’apertura di un tavolo politico sull’emergenza abitativa, censimento attuale delle case vuote ATC, la requisizione degli immobili sfitti e l’abolizione dell’articolo 5 del Decreto Lupi sulla casa. Mentre l’occupazione è ancora in corso, con decine e decine di famiglie dentro gli uffici, è iniziato da qualche ora il colloquio con l’assessore al welfare e un rappresentante della prefettura per stabilire l’apertura di un tavolo politico sull’emergenza casa. Da segnalare inoltre l’atteggiamento ignobile della digos che spintona i giornalisti presenti sul luogo per evitare che facciano foto.

Qui sotto il comunicato dell’iniziativa

PRETENDIAMO SOLUZIONI, NON FALSE PROMESSE!

L’assenza di politiche sulla casa e  il silenzio delle istituzioni locali sul fenomeno dilagante dell’emergenza abitativa, costringe molte famiglie a opporsi allo sgombero coatto tramite la pratica dei picchetti anti-sfratto. Le famiglie organizzandosi, resistono contro l’arroganza delle istituzioni che, invece di trovare soluzioni reali all’emergenza casa, delega alla questura il vuoto politico-sociale che ha lasciato chi dovrebbe invece garantire il diritto all’abitare.

Forze dell’ordine ed  istituzioni, allarmate da questo crescendo di resistenza e solidarietà, decidono di affrontare il problema casa non sotto il profilo sociale e politico, ma sotto quello dell’ordine pubblico, studiando sempre nuove strategie per combattere il fenomeno dei picchetti. La strategia messa in campo consiste nell’applicazione dell’art. 610 c.p.c, conosciuto come sfratto a sorpresa. Questa disposizione consiste nel permette all’ufficiale giudiziario di presentarsi senza preavviso per eseguire lo sfratto aggiungendo precarietà alla precarietà di quanti sono già gravati dal peso di uno sfratto, potendo l’ufficiale giudiziario presentarsi ad eseguirlo in qualunque data, in qualunque momento.

I 4mila sfratti che ogni anno si registrano nella nostra città non possono essere valutati come questione di ordine pubblico, la dignità delle persone non può essere subordinata a punitive strategie politiche. Il comune deve trovare una soluzione all’emergenza abitativa, non colpire chi alza la testa, chi si ribella, chi resiste.
Molte famiglie sono costrette a trovare autonomamente una soluzione al disagio abitativo attraverso l’occupazione di edifici vuoti. Pratica che viene attaccata sia dalle istituzioni locali, sia dal governo Renzi che tramite il “nuovo piano casa” inserisce nel decreto legge l’articolo 5 che mira a colpire, negando la residenza e l’utilizzo delle utenze basilari, le famiglie occupanti.
Chi ha già vissuto la brutalità di uno sfratto, chi lo sta per vivere, gli occupanti di case o semplicemente chi ritiene inaccettabile  che le persone vengano messe in mezzo alla strada sono qui oggi per denunciare pubblicamente questa situazione, pretendendo che le istituzioni si pronuncino prendendosi le proprie responsabilità.

Rivendichiamo e pretendiamo il diritto alla casa e alla dignità per tutti. Pretendiamo soluzioni reali e non promesse buone solo in campagna elettorale. Non ce ne andremo da qui fino a che le istituzioni e i responsabili non si siano pronunciati sui seguenti punti:

Moratoria degli sfratti e sospensione dell’articolo 610; apertura di un tavolo politico sull’emergenza abitativa; censimento attuale delle case vuote ATC; requisizione degli immobili sfitti; abolizione dell’articolo 5 del Decreto Lupi sulla casa.

Occupanti, sfrattati e senza casa

Contro il welfare del debito

stop sfrattiUn contributo politico su emergenza abitativa e servizi sociali.

Dopo anni di lotta per la casa, si fa sempre più necessaria una critica politica alla gestione dell’emergenza abitativa. Quello che emerge dai comportamenti di rifiuto che si avviano a diventare vere e proprie ribellioni, è la mancanza di strumenti adeguati e la cronica assenza di risposte che l’istituzione della Società della Salute applica nei confronti di tutti quelli che si trovano – nei fatti – a rischio di non avere più un tetto sulla testa. Parliamo nel solo nostro comune di più di un migliaio di sfratti esecutivi, e di un numero in spaventosa crescita dei nuclei familiari che si dividono o cercano “soluzioni” di fortuna (camper e roulotte, ospitalità da parenti, sovraffollamento di piccoli garage, mobilità tra un dormitorio e l’altro della regione). Chi ha o sta per avere lo sfratto; chi è al primo o al decimo acceso e si trova a confrontarsi direttamente con ufficiali giudiziari, poliziotti energumeni e avvocati di padroni di casa; chi è in mezzo alla strada o ospite da qualche familiare, subisce sempre la stessa umiliazione ed il sentimento di impotenza di non trovare dalle istituzioni nessuna strada che sia di dignità e di emancipazione.

Il dato di fatto è che la Società della salute, ed in generale “i servizi sociali”, negli anni hanno assorbito tutta una serie di funzioni che erano prima di “competenza” della “politica”. Questa Società della Salute, rappresenta il processo di privatizzazione del sociale: un consorzio tra enti locali, comuni, ed azienda sanitaria con decine di cooperative cui sono stati esternalizzati tutti i servizi sociali: dalle Residenze Sanitarie Assistite per anziani, fino all’ambito socio educativo. Questo processo di “esternalizzazione” ha rapidamente travolto l’ambito del “diritto alla casa”. In questi anni la “politica” istituzionale, nella funzione dell’Assessorato alla casa, si è occupata esclusivamente degli interessi dei consorzi di costruttori immobiliari e dei grandi proprietari di case, mentre la gestione dell’emergenza abitativa è ricaduta interamente sui servizi sociali. La casa ed i servizi sociali hanno smesso di essere dei “diritti”. Coloro che non riescono ad ottenerli, perchè impossibilitati a “comprare la merce – casa”, sono trattati non come persone che hanno bisogno di un aiuto fondato sulla solidarietà sociale, o sull’idea che le istituzioni debbano “garantire” determinate “soglie” di dignità e diritti per tutti. Nel neoliberismo il “sociale” è esattamente una merce come le altre. La gestione di questi problemi è quindi tesa all’ “essere assistiti” nel comprendere le “regole del gioco”, che non sono quelle dei “diritti sociali”, bensì del “Mercato”! Sfratti, mancate o interminabili attese nelle assegnazioni di case popolari, “giudizi e valutazione” per attribuire o meno lo “status d’emergenza”, sono gestiti esclusivamente dagli operatori dei servizi sociali, oltre che da Giudici, Ufficiali Giudiziari, e Poliziotti.

In pochissimi anni i Fondi destinati al “sociale” sono stati tagliati dell’86%. In assenza di una redistribuzione sociale (ed anzi in presenza di una vera e propria “rapina”, dato che i fondi che vengono tagliati a noi non spariscono nel nulla ma vanno ad ingrassare banchieri, dirigenti e politici di alto grado) la politica dei servizi sociali è quella della gestione della scarsità di risorse, con il risultato di una vera e propria “guerra tra poveri per delle briciole” stimolata ed indotta da una filosofia dell’aiuto basata sull’individualizzazione del rapporto tra Assistente ed Assistito. Una relazione essenzialmente di potere, fondata sulla paura di poter accedere alle poche speranze, tenute costantemente in vita da norme e procedure di “autoattivazione”, che spingono l'”utente” a guadagnarsi la “fiducia” delle istituzioni, a “meritarsi” l’aiuto. Tra ricerca di colloqui, corsi di formazione, appuntamenti, curriculum e giro delle agenzie interinali, ricerca della casa in affitto tra le immobiliari, la vita dell’ utente che vuole farcela è quella di chi “non può stare fermo”. L’importante è che questa spinta non sia rivolta mai per soddisfare direttamente le proprie esigenze, tanto meno in una dimensione collettiva! L’individualizzazione e la personalizzazione dell’assistenza è il requisito fondamentale che regge questo tipo di assoggettamento. D’altra parte la premessa di fondo è la rassegnazione a non pretendere – né poco né troppo. Rispetto, dignità, emancipazione ed autonomia sono concetti che vengono cinicamente sacrificati sull’altare della “mancanza delle risorse” e della “crisi”. I rapporti tra gli Utenti e gli Assistenti sono quindi fondati sul binomio paura\comando. Paura di essere giudicati negativamente, Comando di poter valutare e decidere se e cosa garantire: se dare un contributo, un buono pasto, se inserirci nella lista d’emergenza.

Gli strumenti di welfare quindi quali sono? Da diritti sociali sono diventati veri e propri “crediti” che devono essere prima “guadagnati”, e poi spesi per acquistare delle merci (case – alimentazione – bollette etc..). Sembra di essere in banca, dove per convincere a farti fare un prestito devi mostrare delle “credenziali” e devi essere disposto a ripagarlo in ogni modo, pena la persecuzione! Se non hai queste credenziali sei escluso! Se le hai, e ti viene concesso il “Prestito sociale” devi essere in grado di restituirlo. Altrimenti sei un “imbroglione, un furbetto, un impostore!”.

In questo contesto il lavoro dell’assistenza sociale, al di là delle sue “professionalità”, si riduce alla ripetizione di procedure che avviliscono e mortificano chi si trova già in grave difficoltà.

– Ai colloqui gli Assistenti Sociali per chi è disoccupato ripetono incessantemente “vai al centro per l’impiego- agenzie interinali – porta i curriculum!” Anche il lavoro al nero o sottopagato è “consigliato”, piuttosto che la disoccupazione. E’ nocivo per la propria reputazione far notare che “il lavoro non c’è”: il giudizio su di noi sarebbe “non hai fatto abbastanza, sei un fannullone”.
– Per chi dalla disoccupazione passa alla “morosità”, ovvero al non pagare più l’affitto, e si trova sotto sfratto, la soluzione è: “cercati un’altra casa in affitto”. Laddove il fenomeno dell'”autoriduzione” si è necessariamente diffuso con l’acuirsi della mancanza di reddito, le agenzie immobiliari ed i proprietari di casa concedono in affitto le case solo al prezzo di caparre esorbitanti, contratte con finanziarie, oppure con la garanzia di “contratti di lavoro a tempo indeterminato” con buste paghe dai 900 euro in su, sulle quali eventualmente rifarsi trattenendo parte degli stipendi.
– Altra “soluzione” prospettata è quella di “fatti ospitare da amici”, oppure “non hai genitori o parenti”. Ogni pudore, intimità, fiducia è violata, s’indaga nei rapporti sociali e nelle relazioni per cercare di scovare possibilità che “ammortizzino” il disagio. Il peso ed il carico dello “stato sociale” viene privatizzato, e ricade quasi interamente sulla propria scaltrezza nel reperire soluzioni individuali.
– Se in aggiunta a queste condizioni si aggiunge quella di essere immigrato da un altro paese – ovviamente residente sul territorio da anni – il lavoro dell’assistente sociale consiste nella esplicita formula razzista del “torna al tuo paese”, o “emigra al nord”. Un razzismo sociale, espresso senza livore, ma in maniera fredda e distaccata, che racconta al meglio dove sia finita la retorica multiculturale ed il valore dell’integrazione nella società dell’austerità.

Tornando alla questione abitativa, al moltiplicarsi delle esecuzioni degli sfratti non segue nessun provvedimento degno di esser chiamato d’emergenza, tanto meno di progettualità alternativa a quella vigente. Bensì le Istituzioni sociali e politiche nel suo complesso ripropongono pari pari le stesse ricette che hanno condotto a questa situazione. Sempre meno famiglie riescono a pagare affitti da rapina: l’esplosione sociale è solo rimandata e governata scaricando verso il basso tensioni e frustrazioni, introducendo sentimenti di colpa e infondendo paura di ritorsioni e di pene più grandi nel caso qualcuno osi ribellarsi.

Il welfare e lo stato sociale sono diventati degli strumenti che cercano di contenere il disagio per non farlo “esplodere” in rabbia o ribellione. Inoltre tutti i provvedimenti di “assistenza” in realtà non riguardano i nostri bisogni, bensì – a vario titolo – i “proprietari, gli imprenditori, i privati”. Ad esempio, se veniamo “giudicati” da un’apposita commissione in “emergenza abitativa”, le risposte che vengono prospettate tendono a risolvere “la crisi” degli imprenditori immobiliari e dei padroni di casa, piuttosto che quello dei nuclei familiari. Le alternative, a seconda del “grado” di disperazione, possono essere:

– l’inserimento in strutture residenziali private (tra l’altro l’unico convenzionato è a Stagno, nella Provincia di Livorno, neanche collegato con la città da mezzi di trasporto pubblici!) – pagate dall’assistenza sociale coi soldi pubblici – per un periodo di pochi giorni o settimane;
– la concessione di prestiti “una tantum”;
– il pagamento di parte della “morosità” accumulata nei confronti dei proprietari di casa;
un contributo straordinario all’affitto al massimo della somma di 200 euro mensili per tre mesi rinnovabili al massimo di altri tre mesi, in abitazioni reperite autonomamente (che non vengono mai affittate da Agenzie né da Privati a chi non possiede “almeno” un contratto di lavoro a tempo indeterminato);
– l’inserimento nelle liste dell’agenzia casa, ovvero in abitazioni di proprietà private, prese in affitto dal Comune e subaffittati a canoni leggermente inferiori di quelli di mercato a nuclei in precarietà abitativi.
– buoni pasto erogati mensilmente con cui “pagare” generi alimentari presso i supermercati Coop.

Tutti questi provvedimenti sono accomunati dal fornire risposte temporanee, insoddisfacenti nella misura in cui soddisfano l’esigenza di “incasso” da parte dei Proprietari di case o di residence ed in breve periodo ripristinano una situazione di precarietà e grave disagio abitativo.

Ma chi è che protesta? Sono chiamati dalla sociologia istituzionale “i nuovi poveri”, quella composizione della precarietà che è impoverita ulteriormente in questa crisi e che non vuole che la propria condizione sprofondi nel baratro delle politiche di austerità. Se “non ci sono soldi io comunque devo mangiare, devo mandare mio figlio a scuola, devo vivere in una casa con dignità!” L’assistenzialismo non funziona perchè è stato tarato sulla cosiddetta “alta marginalità” con cui ha affinato un modus operandi sociale che si basa sulla “patologizzazione” della povertà. Se sei povero, sei malato e devi essere curato. Una terapia sociale che però è incapace di offrire alternative alle stesse ricette che sono causa del “male”! La povertà è considerata una malattia: questo neoliberismo fuori tempo massimo assimila chi non ha casa e chi non ha lavoro a chi ha bisogno di un’assistenza, che si configura come una vera e propria “cura” di una “disabilità”, in quanto “incapace di investire su se stesso”.
Adesso che l’impoverimento è un fenomeno sociale che cresce progressivamente ed investe fette sociali considerate “normali”, gli strumenti di “assistenza” scoppiano. Questi dispositivi di controllo sono basati sull’inasprirsi di meccanismi di disciplinamento e condizionano l’accesso al reddito vincolandolo alla disponibilità di un ulteriore auto-sfruttamento ed indebitamento materiale e morale. Aumenta così l’esclusione sociale.
Negli ultimi mesi si stanno intensificando le richieste di assistenza da parte di chi lavora precariamente, di chi è in cassa integrazione, di chi ha lavorato per una vita e si trova disoccupato a 50 anni. E’ una composizione che male accetta e che non digerisce passivamente l’austerità, e che rimane incredula e poi si arrabbia di fronte all’inutilità delle risposte messe in campo dalla “Stato”. E’ una composizione che si sente “tradita” rispetto ai sacrifici che ha versato nel lavoro e nella stretta adesione ai valori di questo sistema. Ora che ha bisogno, ed è costretta a chiedere, trova solo porte chiuse in faccia.
Nel mentre queste Istituzioni del Welfare del privato affogano dalla mancanza di risorse e dall’aumento vertiginoso della “domanda” di accesso al reddito, si fa strada il senso comune tra i proletari dell'”inutilità” di questi carrozzoni come la Società della Salute. “Se non ci date risposte, cosa ci state a fare? Chiudiamoli questi palazzi!” gridano i nuovi poveri non più timorosi di perdere qualche briciola. “Se le risorse qui non ci sono, o non ci vengono date, noi sappiamo dove andare a trovarle: la casa, il reddito, la salute devono essere accessibili per tutti!”. Inizia ad emergere la separazione dei propri interessi, rispetto e contro a quelli delle istituzioni sociali.

La scommessa di un progetto antagonista all’altezza di questa crisi è quella che punta ad arricchire e potenziare quei processi di organizzazione di questi interessi e bisogni “di parte”, per renderli autonomi da leggi, comportamenti e strumenti che risultano sempre più “estranei” e nemici del proprio benessere.

Contributo del Progetto Prendocasa di Pisa, verso la “settimana per il reddito garantito”

Fonte infoaut.org