Cosenza: dall’occupazione alla requisizione

La requisizione dell’ex istituto delle Canossiane segna un punto importante nel percorso del movimento di lotta per diritto all’abitare di questa città che, in questi anni, ha sfidato e ribaltato la logica clientelare da sempre sottesa al bisogno casa, mettendo al centro il protagonismo dei senza casa. Con determinazione si è riusciti a portare le istituzioni a mettere in discussione 40 anni di gestione clientelare, di speculazione e corruzione attorno al bisogno casa che hanno determinato la cementificazione selvaggia, lo spreco delle risorse e il non soddisfacimento del bisogno stesso. La valenza della “via cosentina” all’emergenza abitativa raddoppia se letta all’indomani dell’ennesima inchiesta sulla mala gestione calabrese dell’erp (che vede coinvolta l’intera ex giunta regionale) e lo scandalo che ha travolto l’ormai ex ministro Lupi assieme alla losca cricca d’affari che sta dietro alle (inutili) grandi opere.

Una giornata storica per questa città, per il diritto all’abitare in generale e per tutti quelli che quotidianamente lottano contro la protervia di uno stato che affronta i disagi sociali secondo i dettami della troika, investendo negli sgomberi e nella repressione di tutti quei movimenti che rispondono alla crisi con l’autorganizzazione e la riappropriazione dei diritti. Tra i diritti irrinunciabili e qualificanti di un sistema sociale c’è quello ad un’abitazione dignitosa che strappi la gente al ricatto dell’affitto o, peggio, al dramma della strada.

Una requisizione che inserisce un’ulteriore tassello nel percorso della lotta per la casa cosentina che dal 2010 in poi ha visto una evoluzione positiva, riuscendo a sensibilizzare le orecchie dell’amministrazione comunale. Dall’istituzione di una delega specifica per l’emergenza casa passando alla requisizione di palazzo Francini per arrivare fino ad oggi. Altri segni che il percorso del Comitato Prendocasa ha agito propositivamente – non solo per slogan- è il ripristino della destinazione d’uso ad alloggi popolari dei sette palazzi del centro storico precedentemente ed impropriamente assegnati all’unical e l’apertura di un tavolo interistituzionale (con Regione, Aterp, Comune e Comitato) che affronti il diritto alla casa non più in chiave emergenziale ma strutturale cambiando una legge regionale inadeguata e logora. Questo ciclo importante è la dimostrazione di come le misure di giustizia che proponiamo possano diventare ricette amministrative concrete per intervenire nel dramma abitativo, misure di “buon senso” contro l’arroganza della speculazione edilizia e gli effetti dell’emergenza casa.

L’ordinanza stessa porta il segno di questo confronto e per la prima volta non si parla più di nuovi metri cubi di cemento bensì di recupero e autorecupero dell’esistente, Canossiane permettendo! E già. L’ordinanza infatti è un atto forte ma temporaneo, 90 giorni nei quali l’amministrazione proverà ad acquisire l’immobile per poi sperimentare l’autorecupero dell’immobile assieme agli occupanti stessi e durante i quali le suore potrebbero fare ricorso al Tar avverso l’ordinanza. Vedremo.

Cinque anni di manifestazioni, partecipazione, denunce, sgomberi, sacrifici e lotta per arrivare ad un risultato che, anche se parziale, è storico. Una battaglia vinta grazie a tutti quelli che in questi mesi ci hanno dimostrato la solidarietà: compagni e compagne dalle molteplici appartenenze, persone senza appartenenza politica e tantissimi cattolici che cercano per altri sentieri le nostre stesse risposte. Questo composito mosaico ci mostra una Cosenza solidale e ribelle che oggi gioisce per una vittoria collettiva, patrimonio comune di chi sogna ancora pari diritti e dignità per tutt* e giustizia sociale.

da prendocasa-cosenza

Torino: housing sociale ruba i soldi all’edilizia popolare

housingVenerdì 27 Marzo alla Biennale della Democrazia come movimenti per il diritto alla casa e come occupanti di Torino siamo intervenuti alla conferenza “Chi costruisce la città?” durante la quale Compagnia di San Paolo avrebbe presentato il suo progetto di social housing. La gestione penale dell’emergenza abitativa a fronte del progressivo arricchimento dei fondi immobiliari e bancari è una questione che non deve essere taciuta: il social housing ruba i soldi alle case popolari.

Guarda il video:

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La primavera dell’autorganizzazione: 28 e 29 marzo due giornate di lotta sui territori

casa_reddito_dignitProsegue la guerra portata avanti dal governo Renzi contro i poveri, i precari, gli studenti, contro i territori. Mentre si intravedono, grazie alle lotte che vengono portate avanti, alcune tiepide (anzi tiepidissime e per ora anche scivolose) crepe nel muro della Legge Lupi sulla casa, infatti, lo spirito di questa stessa legge che difende esclusivamente la proprietà privata e la rendita ora cerca di affermarsi nei nostri territori, “cancellando” i settori sociali incompatibili con i regimi del mercato e reprimendo pesantemente chi alza la testa e occupa. L’esempio più lampante è certamente quello della famigerata legge “Saccardi” che si vuole approvare in Toscana, che vorrebbe privare chiunque occupa del diritto all’assegnazione dell’alloggio popolare, contro la quale i movimenti per il diritto all’abitare della regione hanno ingaggiato uno scontro frontale che ha visto anche, come rappresaglia, lo sgombero di due importanti occupazioni abitative. Ma di esempi siamo pieni in tutta Italia, dove gli sgomberi di occupazioni e di case popolari e gli sfratti vengono oramai eseguiti quotidianamente manu militari con enormi spiegamenti di forze e sempre più spesso senza fornire nessuna alternativa.

Allo stesso tempo il conflitto, capillare, netto, cruciale che stiamo portando avanti sul terreno della casa, è soltanto una parte di uno scontro che coinvolge per intero settori sociali precari e sfruttati ed i territori del nostro paese. Un processo globale di ristrutturazione messo in atto dal governo Renzi che vuole imporre la schiavitù totalitaria del mercato e della accumulazione capitalistica, provando ad asservire completamente le nostre vite agli interessi della grande finanza, delle banche e dei grandi potentati industriali ed economici. In questa direzione, va certamente lo Sblocca Italia attraverso il quale si regala il suolo ed i sottosuolo alle grandi multinazionali con il rischio matematico di produrre nuove devastazioni e saccheggi. Con il Jobs Act che attraverso la falsa idea di occuparsi di coloro dei quali nessuno si è mai occupato – in particolare i giovani precari – si afferma in realtà lo strapotere dell’impresa sul lavoratore assumendo la precarietà come paradigma assoluto al quale le vite di tutti e tutte noi devono piegarsi e lasciarsi sussumere. A questo scenario si sta per aggiungere il provvedimento sulla cosiddetta “Buona Scuola” attraverso la quale il governo in carica vorrebbe disegnare delle scuole – caserme con presidi che divengono dittatori assoluti in grado di disporre sia degli insegnanti che degli studenti, di selezionare, di far entrare i privati nella scuola privatizzando la scuola stessa, piegandola e rendendola definitivamente funzionale ai dettami della produttività e quindi agli interessi di pochi.

Contro questo violento attacco si dispiegano lungo tutta la penisola importanti resistenze e lotte che impediscono a questo progetto di affermarsi pienamente: i picchetti antisfratto che quotidianamente si frappongono alla barbarie della legalità, della rendita e della polizia; le barricate che nascono nei quartieri contro gli sgomberi delle case popolari insieme alle nuove occupazioni; le lotte, coraggiose, dei lavoratori della logistica e dei precari; le mobilitazioni degli studenti e di una “generazione che non si arrende” e rilancia; le lotte in difesa dei territori contro la devastazione delle grandi opere, dei grandi eventi, delle trivelle e delle cementificazioni dimostrano che è possibile organizzarsi, difendere i territori, conquistare dal basso migliori condizioni sociali, strappare tempo di vita e reddito. Da qui occorre intrecciare le lotte e la loro composizione sociale meticcia, facendo emergere, nella sperimentazione, un tessuto in grado di aprire spazi di accumulo e moltiplicazione, capace di mettere in campo nuovi e larghi processi di insubordinazione e sabotaggio, nuove pratiche di riappropriazione e di autonomia decisionale sui territori.

In questo contesto le risorse che vengono impegnate nel sistema delle grandi opere o per sostenere banche e grandi eventi, dobbiamo riconquistarle ad una redistribuzione sociale che inverta i diktat dell’austerità e del liberismo per finanziare la scuola e l’università, l’edilizia popolare, la salute ed il welfare, la manutenzione ed il risanamento del territorio. In ogni territorio e quartiere, del resto, vogliamo costruire pratiche di mutualismo e autorganizzazione, rompere le gabbie delle tassazioni e delle vessazioni, squarciare il velo della frammentazione sociale, mettere al centro di nuovi conflitti il tema cruciale del reddito. Solo così, riprendendoci le strade e i quartieri possiamo diventare anticorpo di ogni rigurgito razzista e fascista e potremo ricostruire, contro opportunismi e rassegnazione, il sogno e la realtà di uno mondo diverso.

Per queste e mille altre ragioni proponiamo a tutti e tutte, il 28 Marzo di impegnarsi nei territori ad organizzare una giornata di mobilitazione ed azione dislocata, per rilanciare dal basso la minaccia delle lotte e dell’autorganizzazione nei confronti del governo, della troika e dei potenti. Il 29 Marzo poi, a Milano, discuteremo insieme nello Spazio di Mutuo Soccorso di piazza Selinunte, sul come costruire la partecipazione dei quartieri e dei territori in lotta alla manifestazione del 1 Maggio e sull’ipotesi di uno spezzone meticcio dell’abitare e del conflitto sociale in quella giornata.

Una Sola Grande Opera: Casa e Reddito e Dignità

Abitare nella Crisi

Report dell’Assemblea di Abitare nella Crisi a Napoli

nap-300x200L’assemblea nazionale di “abitare nella crisi” che si è tenuta a Napoli domenica 1 Marzo ha visto la partecipazione di delegazioni dei movimenti per l’abitare provenienti da tante città del paese a testimoniare la pervasività e il respiro che ha assunto questa rete. Gruppi di attivisti sono venuti, oltre che da Napoli, da Roma, Cosenza, Palermo, Bologna, Pisa, Torino, Firenze, Milano, Modena, Parma. Ne è scaturita una discussione inevitabilmente ampia, ma di cui è possibile rintracciare una serie di fili comuni.

Innanzitutto il bilancio di una fase complicata, caratterizzata nei mesi scorsi dall’ondata repressiva degli sfratti e degli sgomberi particolarmente aggressiva in alcune città come Milano, Roma, Firenze sostenuta da autentiche campagne di stampa per delegittimare socialmente gli occupanti-casa, da teoremi giudiziari, arresti e restrizioni della libertà personale, mentre strumenti normativi come l’art. 3 e il famigerato art. 5 del “piano casa” intervenivano a incidere direttamente sull’esperienza sociale delle occupazioni e su tutti quei dispositivi di riappropriazione diretta che hanno rappresentato una pratica diffusa di resistenza e di risposta alle politiche di austerity e di precarizzazione.

Un quadro che ha visto però il dispiegarsi di una resistenza sociale significativa capace, ad esempio a Milano, di suscitare la nascita di comitati antisfratto e relazioni mutualistiche anche fuori dai quartieri storicamente più interessati dalle occupazioni e dai processi di autorganizzazione dei subalterni. Grazie al conflitto sociale si sono aperte contraddizioni nello stesso partito di governo (il Pd), come verificato dai movimenti per l’abitare di Roma, almeno in merito a quelle parti del piano casa che sono diventate immediatamente riconoscibili come una forma di “guerra ai poveri”. Crepe da allargare mantenendo alta la pressione sugli enti locali, cercando risposte concrete al disagio di norme che ledono fondamentali diritti (dalla scuola all’assistenza sanitaria) tramite una vertenzialità diffusa ed iniziative di lotta che si stanno riproducendo in parecchie città, da Napoli a Pisa, Bologna e Palermo, per inceppare l’applicazione della legge, puntare alla eliminazione definitiva di questi articoli che finora hanno retto alla prova dei ricorsi amministrativi, oltre che al ribaltamento complessivo di un provvedimento che, attraverso i soldi investiti a pioggia nella politica dei “buoni” e la truffa dell’housing sociale, sostiene i privati e il mercato cancellando l’edilizia residenziale pubblica e con essa larghi settori di popolazione che soffrono una sempre più acuta precarietà ed emergenza abitativa.

Alle misure contenute nel “piano casa” si è aggiunta la riforma del modello ISEE che nei fatti rende invisibili gli occupanti casa come altre categorie di precari e di poveri, cercando di escluderli in tal modo dall’accesso a forme di sostegno al reddito, mense scolastiche, agevolazioni e quant’altro. Dello stesso tenore molte leggi regionali sulla casa, pensate pero lo più come strumenti urbanistici, che già da anni si erano caratterizzate per la sudditanza agli interessi dei costruttori. Lalegge in corso di approvazione in Toscana fa un ulteriore passo connaturandosi tout court come una versione locale della “Legge Lupi”, con l’esclusione degli occupanti dai bandi per le case popolari e la svalutazione del ruolo delle rappresentanze degli inquilini. Su proposta del movimento della casa di Firenze si è deciso perciò di lanciare il 10 Marzo iniziative dislocate nelle città in contrapposizione a questo modello. Successivamente si è pensato di tenere un’assemblea a Firenze con delegazioni nazionali e un’iniziativa congiunta contro l’art.5. Passaggi in vista di un nuovo ciclo di mobilitazioni che abbia come controparti, oltre al governo, le regioni e individui nella battaglia contro le risorse sperperate nel sistema delle grani opere e dei grandi eventi e quindi anche dei fondi europei, un terreno di lotta per sostenere il diritto all’abitare.

Del resto, laddove non si determinano in scelte esclusivamente repressive, le politiche pubbliche per la casa hanno comunque un profilo sempre più emergenziale, escludente e precario. La governance locale, infatti, spesso preferisce moltiplicare le emergenze piuttosto che affrontarle, per garantire lauti profitti alle lobby speculative, cercando allo stesso tempo di calmierare le contraddizioni e i conflitti, come dimostra la vicenda di mafia capitale. Uscire dalle politiche emergenziali, pur valorizzando i risultati parziali delle lotte, è l’orizzonte indispensabile dei movimenti per l’abitare che non intendono in nessun modo “gestire” l’emergenza ma piuttosto moltiplicare ed estendere i conflitti. Un risultato di riferimento si può individuare per ora nella delibera approvata dalla Regione Lazio in conseguenza dell’imponente ciclo di occupazioni abitative determinato a Roma con le giornate degli “tsunami”. Si tratta di un passaggio importante, perché stanzia quasi duecento milioni per il diritto alla casa per la sola città di Roma, punta all’allargamento del patrimonio ERP senza consumo di suolo, tramite l’autorecupero del patrimonio pubblico e la riconversione di quello privato, procede al riconoscimento/censimento del diritto degli occupanti casa. Evidenti le contraddizioni con la logica del piano casa, ma forti anche le resistenze istituzionali e burocratiche ad attuarla.

Il percorso di “abitare nella crisi” colloca l’esperienza della lotta per la casa nella cornice più generale delle battaglie per il diritto al reddito, al territorio e alla città, ribaltando il piano della guerra ai poveri e ai migranti su cui specula la destra per dare piuttosto il proprio contributo contro i processi di polverizzazione e assorbimento del conflitto sociale in Italia. Lo testimonia ancora una volta il sostegno significativo alle grandi manifestazioni che a Milano e Roma si sono contrapposte alle kermesse del fascio-leghismo. Ma pure la scelta, dopo la tappa di Cosenza, di tenere anche quest’assemblea in una città del sud, si lega all’attenzione e alla relazione con il ciclo di lotte sviluppatosi soprattutto nel meridione contro l’approvazione dello “Sbloccaitalia”. Una convergenza che non riguarda soltanto quei punti della legge che agevolano la speculazione immobiliare, ma più in generale quell’ aspetto speculare alla dismissione del patrimonio pubblico che è il sequestro del territorio e delle sue risorse per cicli di sfruttamento e di devastazione ambientale il cui controllo è totalmente sottratto alla sovranità delle comunità locali. Autorecupero, riutilizzo e difesa del patrimonio pubblico, difesa del territorio e della salute, resistenza all’esproprio di democrazia e controllo popolare sull’uso delle risorse sono nessi da interconnettere nel contrastare gli assi strategici dello sblocca-italia e più in generale di devastazione dei territori e delle vite.

Perciò l’assemblea di abitare nella crisi ha deciso di rilanciare il proprio impegno in questa direzione, con assemblee territoriali e una giornata di iniziative dislocate contro sbloccaitalia, job act, legge lupi, riforma della “buona scuola” il 28 marzo, proponendo nel contempo al più ampio circuito di esperienze territoriali che si contrappongono a questi provvedimenti di verificarsi sulla costruzione di una nuova assemblea nazionale, possibilmente in Aprile, per dar vita a momenti di lotta unitari che attraversino il paese. Una mobilitazione, quella del 28 Marzo, che sappia interconnettere lotte e figure sociali diverse, allargando lo spazio della partecipazione e del conflitto per contrastare e rovesciare le sempre più feroci politiche di austerità, precarizzazione, saccheggio delle nostre vite messe in atto dal governo Renzi e dalla Troika.

L’agenda di questi mesi, passando per l’appuntamento europeo del 18 Marzo a Francoforte, ha un riferimento fondamentale nel semestre dell’Expo che si inaugura il primo maggio a Milano. Proprio l’intervento delle realtà milanesi ha chiarito una volta di più la volontà di organizzare per il 1° Maggio un largo spezzone delle lotte sociali e delle lotte per il diritto all’abitare, immaginando questo appuntamento come il prologo di un semestre di lotta, una sorta di Alter Expo che attraverso iniziative condivise di conflitto e di riappropriazione traduca socialmente i temi dello scontro con “l’evento” delle multinazionali: l’opposizione ai processi di gentrificazione e di precarizzazione di cui l’Expo è un modello, la difesa del diritto alla salute, al suolo ecc.

Il 29 marzo a Milano si terrà una giornata di confronto sulle strategie e gli appuntamenti per realizzare quest’obiettivo.

La proposta infine di un campeggio dei movimenti per l’abitare a Palermo questa estate.

da Abitare nella Crisi

Vecchi e nuovi mostri

grattacUn paio di giorni fa mentre il Palazzo del Lavoro prendeva fuoco, il piano superiore del liceo artistico Cottini (via don Grioli, davanti alla Fiat) viene chiuso perchè rischia di crollare sulle teste degli studenti. Poco lontano la guardia di finanza compie un blitz nell’ancora incompiuto grattacielo della regione arrestando sei persone. Questa serie di avvenimenti ci ha fatto pensare ad alcune cose:

 

Negli anni ’60 la città di Torino ospitò Italia ’61, la celebrazione dei cent’anni di unità nazionale. In quell’occasione vengono costruiti il Palavela, la monorotaia e il Palazzo del lavoro che, salvo qualche sporadica utilità (il Palavela “ristrutturato” e riutilizzato per le olimpiadi 2006) ora sono in stato di totale abbandono o quasi.

 

Il Palazzo del lavoro in particolare sfoggia tutta la sua tristezza: una volta considerato all’avanguardia per la sua tecnologia, oggi non è altro che uno scheletro depredato (se non altro è servito a qualcuno!), inutilizzato da anni ed ora anche bruciato! E l’unica proposta di riconversione d’uso è stata quella di fare un centro commerciale, a due passi dall’8 gallery…

A pochi metri il grattacielo della regione Piemonte, progettato dal noto architetto Fuksas (la cui parcella ammonta già a 22 milioni di euro), si erge in un’area già utilizzata dall’ex Fiat Avio. Originariamente era destinato ad ospitare la Giunta, il Consiglio e gli uffici dell’amministrazione regionale del Piemonte, ma il Consiglio ha già deliberato di non volersi insediare nel grattacielo. In poche parole la Regione ha voluto questo mostro di 205 metri, ha svenduto il suo patrimonio immobiliare (mantenendo comunque decine di uffici sparsi per la città IN AFFITTO) per poi non farci quasi nulla dentro. Sarà mica perchè non è una zona abbastanza “IN”?

 

Il progetto iniziale prevedeva una spesa di 208 milioni di euro, ma i costi aumentarono fino a 262 milioni di euro.
Già nel 2012 ci fu un primo blitz della Guardia di finanza per turbativa d’asta e corruzione, in cui era implicata la CoopSette, cooperativa che aveva vinto la gara d’appalto, già in accertato stato di dissesto finanziario e che aveva già perso la gara d’appalto della metropolitana per fallimento.
L’ipotesi della magistratura è che l’associazione di imprese guidata da Coopsette si sia aggiudicata l’intero appalto per la costruzione del grattacielo con l’accordo di affidare parte dei lavori, almeno 5 milioni, all’impresa di Ezio Enrietti (ex presidente della regione negli anni ’80) attraverso la mediazione della moglie che era in Regione. Il 13 febbraio 2015, un altro blitz e nuovi documenti sono stati sequestrati dalla guardia di finanza.

 

La cosa che più ci fa rabbia è che personaggi come Enrietti mangiano indisturbati sulle nostre spalle da più di trent’anni, si riciclano da politici a impresari speculando sui nostri spazi, con i nostri soldi e vedono le periferie come miniere d’oro per i loro affari. Insomma il solito “magna magna” dai soliti “magna magna”, i soliti potenti che si ingrossano le tasche su dei territori a discapito delle persone che vi abitano.

 

Ormai il grattacielo è quasi finito e ospiterà un giardino pensile al 43° piano e gli uffici della Regione nei restanti 42. Ma siamo sicuri che per gli uffici della regione (contando che il Consiglio Regionale si è rifiutato di spostarsi) ci siano bisogno dei quarantadue piani di un grattacielo? E per il resto del progetto in cui intorno all’edificio verrà sviluppata un’area da adibire a verde pubblico e a residenza civile, non è che assisteremo ad un nuovo flop come quello del villaggio olimpico che si trova a pochi passi da lì?

 

Abbiamo solo la certezza che questo mastodonte ci è costato un sacco di soldi, un sacco di disagi, che è stato costruito su appalti corrotti, che probabilmente non servirà a nulla (e di conseguenza verrà lasciato all’abbandono come il Palazzo del Lavoro) e che queste sono bene o male le caratteristiche ricollegabili a tutti i progetti di riqualificazione o di riconversione che hanno imposto ai nostri quartieri.

 

Un tale sfruttamento di un territorio a fini speculativi, senza un progetto a lungo termine basato sui bisogni dei cittadini di quel luogo, senza un progetto politico e sociale genera quel tanto proclamato “degrado” contro cui combatte la destra, come la Lega, che invece di risalire alla radice delle responsabilità (di cui loro stessi fanno parte), si schiera contro quelle persone che per disperazione, per mancanza di alternativa o anche per opportunismo, nell’abbandono delle istituzioni, si ritagliano uno spazio di autonomia avulsa dalle leggi e le regole prestabilite.
Quello che noi vorremmo come Comitato di quartiere, oltre a stimolare un ragionamento su questo tema, è di portare delle proposte che partono dagli abitanti, su cosa e come fare per migliorare la vita di tutti, non dei soliti faccendieri che annusano l’affare della speculazione nelle periferie in quanto “terra di nessuno”, cercando di convincerci dell’utilità pubblica di un grattacielo regionale e di tutte le grandi opere che vorrebbero costruire sul territorio. Ma l’utilità di queste opere è direttamente proporzionale all’ammontare di denaro pubblico RUBATO al popolo.

 

Vorremmo far capire a questi personaggi che si credono i padroni del mondo che Mirafiori è NOSTRA, è il nostro quartiere, e se non lo ami e non lo rispetti, il quartiere non ti rispetterà!

 

A Firenze è guerra alle occupazioni: doppio sgombero. Corteo!

firenze_sgomberoPer spianare la strada all’approvazione della nuova legge regionale sulla casa parte la campagna di sgomberi. Mentre ancora si resiste in via Baracca si organizza la risposta dei movimenti. Alle 18 corteo da Piazza Medaglie d’oro.

 

Aggiornamento ore 19.00 Cariche della polizia per allontanare il corteo dalla sede del PD. I reponsabili politici degli sgomberi di stamani e della nuova legge regionale sulla casa ancora una volta trincerati dietro scudi e manganelli. Nessuna tregua per voi!

Aggiornamento ore 18.30 Parte il corteo che si snoda per le vie di Novoli

Aggiornamento ore 13.20: infame provocazione poliziesca. Una camionetta di celere carica a tutta velocità il presidio di 150 persone che da piazza Puccini aveva raggiunto via Baracca dopo lo sgombero.  stasera tutti in piazza!

 

Attacco diretto alle lotte per l’abitare. Nelle prime ore della mattina la polizia si è presentata in forze alla nuova occupazione di via Benedetto Marcello, angolo via Toselli. A sgombero eseguito, mentre si raggruppava il presidio accorso in solidarietà, giungevano voci di un ingente schieramento di polizia nei pressi di via Baracca. Verso le 10 circa 12 camionette hanno chiuso la strada in entrambe le direzioni procedendo allo sgombero dello stabile al civico 18, occupato da quest’estate e che ospitava anche lo spazio sociale di lotta.
Nel corso dello sgombero gli occupanti hanno provato a forzare il blocco di polizia provocando una carica. Non si registrano feriti. Mentre scriviamo alcuni occupanti resistono ancora dentro la palazzina. Nel frattempo un presidio del Movimento di lotta per la casa si è ricomposto in piazza Puccini, nei pressi di via Baracca, lanciando per questa sera alle 18 un corteo di risposta agli sgomberi con partenza in piazza Medaglie d’Oro a Novoli.

Un primo bilancio parla di circa 150 occupanti sgomberati. I fatti di oggi rappresentano un’offensiva politica della Questura di Firenze, tesa a mettere in difficoltà la progettualità delle lotte moltiplicando le emergenze. Giusto lunedì sera a Firenze si era tenuta un’importante assemblea che rilanciava la contestazione alla nuova legge regionale sulla casa voluta dalla renziana Stefania Saccardi. Con la convocazione di un corteo per il giorno della prevista approvazione si è promesso di contrastare in tutti i modi l’applicazione delle nuove misure di massacro del diritto all’abitare: restrizione criteri di accesso alla casa popolare, aumento dei canoni minimi di locazione, mobilità coatta, esclusione degli occupanti dai bandi ERP. Il corteo di stasera in risposta agli sgomberi sarà un primo momento in cui dimostrare la capacità di reazione delle lotte a questi vigliacchi attacchi. Ci vediamo nelle strade!

#Artomresiste: lo sfratto di Rosi e Massimo è sospeso

mirafioriLo sfratto di Rosy e Massimo è stato sospeso. Atc dopo il presidio di questa mattina ha concesso un incontro per il prossimo martedì. Siamo riusciti a portare a casa un risultato momentaneo, ma la questione non è chiusa. 
Alcuni abitanti del quartiere sono venuti a portare solidarietà, e durante la mattinata molti altri problemi sono emersi da parte di chi vive le case popolari: l’abbandono totale, la mancanza di lavori basilari ad impianti elettrici, tubature dell’acqua e pavimenti degli appartamenti.
L’emergenza casa in questi ultimi anni ha raggiunto un livello altissimo a Torino, soprattutto nelle periferie. Ovviamente l’avere problemi a pagare l’affitto è la conseguenza di una diffusa diminuzione del reddito delle famiglie. In un quartiere come il nostro dove c’è un’enorme mancanza di possibilità di lavoro questo problema sta emergendo con prepotenza.
Nel caso di Massimo e Rosy siamo davanti ad un’ingiustizia e ad una grande contraddizione del sistema di funzionamento dell’ Agenzia Territoriale per la Casa (Atc). Una premessa, banale e scontata, ma di cui spesso quest’agenzia si dimentica, è che la stragrande maggioranza di chi abita in una casa popolare è una famiglia a reddito basso, bassissimo o in alcuni casi inesistente. Nè Rosy nè Massimo lavorano, la prima principalmente per problemi di salute (sta aspettando infatti che le confermino l’invalidità) il secondo perchè in Italia, se hai 50 anni, sei troppo vecchio per lavorare ma troppo giovane per andare in pensione.
L’alloggio in cui vivono è intestato alla sorella di Massimo, ma lei non vive più lì. Atc allora ha fatto un procedimento di decadimento verso di lei, cioè chiedendole di pagare i suoi arretrati e le spese di questo procedimento perchè non li ha avvertiti che se ne sarebbe andata. In più da quando hanno scoperto che lei non abita più lì, ma c’erano Massimo e Rosy, il canone d’affitto è triplicato e loro non sono più riusciti a pagarlo. Nel complesso Atc chiede 9000 euro, di cui solo 2000 sono effettivamente la morosità INCOLPEVOLE della coppia. Perchè? Perchè Massimo e Rosy devono pagare le conseguenze di questo procedimento?
Ogni persona di buon senso, che non ragiona con la logica del profitto, capirebbe che persone come Rosi e Massimo avrebbero sicuramente i requisiti per una casa popolare, con un affitto e un piano di rientro alla loro portata riuscirebbero anche a recuperare la morosità.
Ma Atc sembra essere sorda e cieca davanti a questa possibilità o a qualsiasi alternativa pensando unicamente a rientrare nelle spese, infischiandosi completamente di buttare per strada una donna malata e il suo compagno, non interessandosi della dignità e della legittimità ad avere un tetto sopra la testa.
Come Comitato di quartiere noi condanniamo questo tipo di politiche abitative ingiuste e ci schiereremo sempre a fianco di chiunque voglia combattere contro di esse. Con la sospensione di questo sfratto abbiamo dimostrato che essere solidali, organizzarsi tra gente che vive gli stessi problemi porta a risultati importanti. Se ad oggi non è solo la questione degli sfratti a premere agli abitanti delle palazzine di Via Artom, ma anche la situazione pessima in cui versano le strutture allora anche in questo senso sarà importante confrontarci e provare ad organizzarci per trovare una soluzione.
Invitiamo quindi tutti coloro che hanno problemi con la casa a segnalarcelo sulla nostra pagina facebook “Comitato di Quartiere Mirafiori” o via mail comitatoquartiere_mirafiori@yahoo.it .
Un ultimo pensiero, perdonateci la polemica, va a chi pensa di risolvere i problemi del quartiere facendo fiaccolate contro il degrado, non accorgendosi che combattere contro i “mulini a vento” non risolverà, per esempio, il dramma di vivere uno sfratto sulla propria pelle o di non riuscire più a comprare alcuni beni, non risolverà il fatto che in quartiere devi fare chilometri per raggiungere uno sportello postale o un presidio sanitario o di dover aspettare un autobus 40 minuti.
Nei prossimi giorni seguiranno informazioni sull’evoluzione della vicenda.

Renzi inaugura il 2015 aggravando l’emergenza abitativa

stopsfrattisgombpignIl primo regalo del governo Renzi per il 2015 non si discosta molto da quelli elargiti sin dall’insediamento del premier fiorentino a Palazzo Chigi. Nel cosiddetto decreto Milleproroghe salta infatti il rinnovo del blocco degli sfratti per quelle famiglie a cui è scaduto il contratto di affitto e che sono contemporaneamente in forte disagio economico.

Le famiglie toccate dal provvedimento sono quelle che guadagnano meno di 27mila euro all’anno, con contemporanea presenza a carico di minori, portatori d’handicap, malati terminali, anziani; queste non potranno infatti più beneficiare della proroga, per un totale (secondo le prime stime) di circa 30mila famiglie che potrebbero essere potenzialmente interessate da sfratti nelle prossime settimane.

Va sottolineato tralaltro che la stessa norma da prorogare in sé era insufficiente ad affrontare il problema abitativo nella sua complessità, dato che si interessava solamente dei contratti d’affitto scaduti, senza occuparsi della questione relativa ai casi di morosità incolpevole,casi maggioritari all’interno dell’elenco delle cause di sfratti.

I 440 milioni di euro che il governo ha appena annunciato di aver stanziato in cambio dello stop alla proroga non bastano quindi minimamente a coprire l’emergenza abitativa in corso, dato che coprono un arco temporale da qui al 2020 e soprattutto che ancora non sono stati direttamente stanziati agli enti locali. Tutto questo avviene in una condizione disperata per la condizione abitativa del Paese, dato che ormai siamo vicini alle 80 mila nuove sentenze di sfratto ogni anno, di cui oltre il 90% per morosità e un numero di sfratti accumulato dagli 5 ultimi anni che è stimabile in almeno 300 mila sentenze pendenti.

A gioire è ovviamente Confedilizia, che descrive il provvedimento come un argine alla “demagogia” che si è sempre fatta sulla questione. Una demagogia fatta di volti e biografie stroncate dalla crisi che evidentemente non interessano a piccoli e grandi padroncini immobiliari, sempre più a loro agio con il governo Renzi e soprattutto con il ministro delle Infrastrutture Lupi, che dopo la vergogna del PianoCasa continua nel suo attacco frontale agli ultimi della società.

Il provvedimento è un segnale da parte del governo del fatto che si continuerà, nel 2015, sulla strada di quanto fatto negli ultimi anni. Ovvero nell’attacco alle vecchie e nuove figure della povertà del nostro paese, che hanno anche il torto di essersi ribellate aprendo un percorso di mobilitazione che di fatto ci ha accompagnato nel recente passato e sembra essere disponibile al conflitto anche in questo appena iniziato.

Già alla fine di gennaio torneranno in marcia gli occupanti di case, con la volontà di estendere il loro percorso di lotta anche ai quartieri periferici dove spesso si trovano a vivere e a portare il calore e la forza delle esperienze di riappropriazione ad uso abitativo. Il 31 gennaio è la data individuata per una grande giornata di mobilitazione delle periferie nell’ultima assemblea della rete AbitareNellaCrisi, dove si è evidenziata anche la necessità di alzare il livello del conflitto soprattutto in relazione alla concessione delle residenze nelle occupazioni (smontando così l’applicazione pratica del PianoCasa), nonché di mettere in campo le necessarie mobilitazioni per continuare ad attaccare l’utilizzo delle risorse pubbliche per grandi eventi come Expo e in futuro Olimpiadi e non per affrontare le reali esigenze della stragrande maggioranza del Paese.

da infoaut

Mobilitiamoci contro gli sfratti

stop-evictionsPer il diritto alla casa, per l’assegnazione delle case popolari lasciate vuote da ATC, contro sfratti e sgomberi, contro l’aumento delle bollette, per non vedere più famiglie costrette a vivere senza casa: MOBILITIAMOCI VENERDÌ 12 DICEMBRE “SPEZZONE SOCIALE” ORE 9 PIAZZA VITTORIO, TORINO.

Nella nostra città l’emergenza abitativa preoccupa sempre più famiglie che vivono con l’incubo dello sfratto, consapevoli che le istituzioni non faranno nulla per trovare loro delle soluzioni reali. Il Comune di Torino è impassibile di fronte ad una emergenza sociale in continua crescita: gli sfratti per morosità incolpevoli sono passati dal 2004 al 2013 da 2.056 a quasi 4mila nella sola città di Torino. A questo si aggiungono i problemi legati ad ATC nel gestire il patrimonio pubblico di case popolari: più di mille alloggi vuoti, che potrebbero essere subito destinati alle famiglie sfrattate, aumenti delle utenze da parte di ATC a inquilini che vivono un disagio economico, lavori di ordinaria manutenzione che non vengono effettuati e quindi degrado degli alloggi popolari e disagio per le famiglie che ci vivono.

Tutti questi problemi hanno dei responsabili che nel corso degli anni nulla hanno fatto per poterli risolvere: il Comune incapace di garantire il diritto alla casa, ATC di essere un ente pubblico assolutamente irresponsabile di fronte alle richieste di emergenza abitativa e infine il governo che attua dei provvedimenti che contribuiscono ad alimentare il disagio abitativo (il Piano Casa del governo Renzi è un esempio delle scellerate scelte che ricadono come dei massi sulla schiena delle gente già in difficoltà per colpa della crisi economica).

Qualcuno potrebbe obbiettare dicendo che i problemi sono “normali” quando le condizioni generali non sono delle migliori (lo stesso presidente uscente Elvi Rossi ha definito “normale” una gestione difficoltosa del patrimonio pubblico) ma qui non si tratta di piccole difficoltà di percorso a cui trovare delle soluzioni.

La situazione che abbiamo di fronte, case atc non assegnate e lasciate vuote, immobili comunali abbandonati, mancanza di case a canone agevolato, graduatorie per le liste dell’emergenza abitative infinite, famiglie in mezzo a una strada, è volutamente lasciata a sè stessa. Perché il Comune di Torino con i propri assessori non rivede i requisiti per accedere alle liste per le case popolari? Perchè il Comune non requisisce gli immobili pubblici per restituirli alla città per arginare il disagio abitativo? Perché ATC non propone soluzioni ai problemi di gestione, manutenzione, assegnazione degli alloggi vuoti e delle case popolari, magari rilanciando anche l’edilizia residenziale pubblica ormai scomparsa in città?

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Tutti questi interrogativi trovano una loro risposta in quelle che sono le vere politiche sociali e di sviluppo della città: si favorisce la svendita del patrimonio pubblico, le speculazioni e le privatizzazioni. È notizia di qualche giorno fa che il Comune di Torino si prepara a un’operazione di vendita del patrimonio pubblico senza precedenti: per far fronte al buco di bilancio, causato dallo spreco di denaro pubblico per le Olimpiadi del 2006 a firma Chiamparino, il sindaco Fassino è pronto a vendere una serie di palazzi storici della nostra città che frutteranno alle casse comunali 50 milioni di euro. Gli immobili pubblici verranno acquistati dalla Cassa Deposito e Prestiti formato per l’80% dal Ministero dell’Economia, da fondazioni bancarie e da alcuni azionisti fra cui, guarda caso, anche il sindaco Fassino.

Si favorisce la speculazione edilizia lasciando vuoti e abbandonati immobili per far crescere il loro valore sul mercato; si favorisce la privatizzazione, non solo dei servizi come ad esempio la sanità, ma anche per quanto riguarda la costruzione di alloggi di lusso destinati a privati facoltosi, cancellando la costruzione di case popolari ad affitto calmierato in proporzione al reddito.

Ma non è finita qui: il piano-casa, presentato dal vicesindaco Elide Tisi, prevede la messa in vendita di case popolari – riducendo così ulteriormente il numero di alloggi disponibili – e con il ricavato della vendita il Comune intende acquistare gli immobili di proprietà delle fasce anziane e più povere della popolazione, il tutto in cambio di assistenza domiciliare e medica. Detto in altre parole: mentre Saitta e Chiamparino si preparano a chiudere e declassare gli ospedali del torinese e di fronte alle conseguenze della mancanza di servizi di assistenza, la giunta di Fassino ha pensato bene di costruire un ricatto degno dei peggiori speculatori e affaristi. Se vuoi assistenza, prima ti tolgo la casa, così a quel punto risulterai abbastanza povero da rientrare nei parametri di chi ha diritto a qualche spicciolo di elemosina.
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Questa è la condizione in cui versa la nostra città. Dal canto nostro – famiglie, disoccupati, precari, studenti, pensionati – non possiamo accettare questi giochi di potere fatti sulla nostra pelle; l’impoverimento non è una condizione naturale dell’essere umano ma è perpetrata da un sistema di potere che pensa solo a sè stesso e alle proprie tasche. Il nostro compito è smascherare e lottare contro questo sistema corrotto e trovare delle soluzioni reali ai nostri bisogni primari.
Le occupazioni abitative, oltre a far riprendere quello che è pubblico sottraendolo alla vendita ai privati, sono una soluzione immediatamente praticabile per chi ha perso la casa. Mobilitiamoci affinché le nostre vite possano riprendersi quella dignità che oggi le istituzioni ci stanno togliendo.