Un altro mese di rinvio per Angela e famiglia

20130416_121137La resistenza allo sfratto di Angela che ieri ha conquistato il rinvio di un mese ha portato alla luce una serie di questioni assai fastidiose. Questioni che parlano di accordi di palazzinari con le amministrazioni comunali, di speculazione a affari d’oro per grandi proprietari di imm0obili a scapito delle molte famiglie che vengono sfrattate attraverso l’uso della forza dalla questura torinese ( in questo senso il comune di torino continua a ridurre il diritto all’abitare ad una mera questione di ordine pubblico) . Il palazzinaro in questione, impresario dell’immobiliare ‘Pianel’ e proprietario di una delle tre torri costruite in occasione delle olimpiade del 2006 poi rivendute, appunto , ad imprese immobiliari.

Nonstante fosse il terzo martedì del mese nella capitale degli sfratti post-olimpica, si è ottenuto  un rinvio ottenuto in via orvieto 8.

In un palazzo-torre di 22 piani abita dal 2006 Angela con i 2 figli, è in cassa integrazione dalla fabbrica per cui lavora e non è più riuscita a far fronte all’affitto anche per colpa del proprietario che tramite spese inventate di volta in volta raddoppia l’affitto e scarica sugli inquilini anche il costo dell’IMU.

In una città che continua a svendere per far cassa e coprire un enorme debito pubblico ancora non si vede soddisfatto un diritto fondamentale: quello di un tetto; infatti l’unico aiuto offerto dal comune è stata una casa-albego con però un affitto che assorbiva quasi tutto il suo stipendio mensile e visto anche il rifiuto di una casa popolare per via del suo pur misero reddtto Angela ha deciso di non disperarsi ma di alzare la testa e resistere allo sfratto.

Di buona mattina si mette lo striscione e si volantina mentre si aspetta l’ufficiale giudiziario

Alle 12:20 arriva l’ufficiale giudiziario accompagnato dalla digos che con il solito atteggiamento arrogante e presuntuoso e i consueti modi beceri ha tentato di dialogare con l’inquilina dell’appartamento sotto sfratto; atteggiamento sintomatico di chi vede nella resistenza sempre più ampia ai numerosi casi di sfratto un problema che incomincia a dare fastidio.

Grazie a chi fa resistenza e alla determinazione dell’inquilina si ottiene una proroga al 16 maggio, giorno in cui torneremo insieme a loro a resistere affinchè si raggiunga una soluzione abitativa.

La casa è un diritto, resistiamo agli sfratti!

13-03-2013-17

LA CASA E’ UN DIRITTO, RESISTIAMO AGLI SFRATTI!

Oggi 16 aprile, un ennesimo sfratto sta per colpire Torino: è il caso di Angela, dal 2006 residente al diciannovesimo piano di questa torre di 22 piani in via Orvieto 8.

 

Angela è in cassa integrazione dalla fabbrica per cui lavora, ha due figli e ad un certo punto non è più riuscita a pagare l’affitto, anche perché il suo era un affitto particolare: infatti dai 350 euro che pagava con il contratto con Locare è passata a pagarne più di 600 perché il proprietario di casa, impresario dell’immobiliare ‘Pianel’, si è via via inventato spese condominiali da far pesare sui condomini, gli stessi sui quali ha anche tentato di far ricadere l’Imu, come profeticamente aveva annunciato in un’intervista su “Repubblica” dell’anno scorso in cui aveva dichiarato che una parte dell’IMU poteva farla ricadere sugli inquilini! Presto fatto molti abitanti delle 3 torri, tra cui Angela, si sono visti addebitare costi non giustificati che probabilmente rientrano nel conteggio dell’IMU che l’arzillo palazzinaro ha cercato con furbizia di far pagare ai condomini!

 

Alla prima richiesta di sfratto Angela si è rivolta al comune,tentando anche di mettersi in contatto con vari assessori per denunciare le truffe del proprietario e cercando una soluzione alla propria situazione di emergenza; la risposta le è finalmente arrivata dopo essere stata rimpallata da un ente all’altro: precario ricovero in una struttura tipo casa-albergo per la quale avrebbe dovuto pagare una affitto di 400 euro al mese, su 500 suoi di stipendio mensile!

 

Ad un suo rifiuto e con la scusa di questo suo reddito minimo, ad Angela è stata anche negata la richiesta per la casa popolare, nonostante le migliaia di appartamenti vuoti, ed ora sta per essere messa in strada con i suoi figli nel disinteresse generale.

 

Presa tra i ciechi interessi privati di proprietari che speculano sulle disgrazie altrui e un’amministrazione comunale incapace di proporre alternative e garantire diritti e servizi ai cittadini, Angela ha deciso di non disperarsi ma di alzare la testa e resistere allo sfratto.

 

Quella di oggi é la sua quarta resistenza, tutte portate a termine con la determinazione di chi sa che togliendo la casa si toglie un diritto, e che la morosità non è reato, perché quei debiti non sono suoi, ma di chi l’ha messa in condizione di non poter vivere dignitosamente.


E allora che il suo caso sia d’esempio, alziamo la testa contro gli sfratti, teniamoci stretta la casa e la dignità!

E se non ce le date ce le riprenderemo!

Contro il welfare del debito

stop sfrattiUn contributo politico su emergenza abitativa e servizi sociali.

Dopo anni di lotta per la casa, si fa sempre più necessaria una critica politica alla gestione dell’emergenza abitativa. Quello che emerge dai comportamenti di rifiuto che si avviano a diventare vere e proprie ribellioni, è la mancanza di strumenti adeguati e la cronica assenza di risposte che l’istituzione della Società della Salute applica nei confronti di tutti quelli che si trovano – nei fatti – a rischio di non avere più un tetto sulla testa. Parliamo nel solo nostro comune di più di un migliaio di sfratti esecutivi, e di un numero in spaventosa crescita dei nuclei familiari che si dividono o cercano “soluzioni” di fortuna (camper e roulotte, ospitalità da parenti, sovraffollamento di piccoli garage, mobilità tra un dormitorio e l’altro della regione). Chi ha o sta per avere lo sfratto; chi è al primo o al decimo acceso e si trova a confrontarsi direttamente con ufficiali giudiziari, poliziotti energumeni e avvocati di padroni di casa; chi è in mezzo alla strada o ospite da qualche familiare, subisce sempre la stessa umiliazione ed il sentimento di impotenza di non trovare dalle istituzioni nessuna strada che sia di dignità e di emancipazione.

Il dato di fatto è che la Società della salute, ed in generale “i servizi sociali”, negli anni hanno assorbito tutta una serie di funzioni che erano prima di “competenza” della “politica”. Questa Società della Salute, rappresenta il processo di privatizzazione del sociale: un consorzio tra enti locali, comuni, ed azienda sanitaria con decine di cooperative cui sono stati esternalizzati tutti i servizi sociali: dalle Residenze Sanitarie Assistite per anziani, fino all’ambito socio educativo. Questo processo di “esternalizzazione” ha rapidamente travolto l’ambito del “diritto alla casa”. In questi anni la “politica” istituzionale, nella funzione dell’Assessorato alla casa, si è occupata esclusivamente degli interessi dei consorzi di costruttori immobiliari e dei grandi proprietari di case, mentre la gestione dell’emergenza abitativa è ricaduta interamente sui servizi sociali. La casa ed i servizi sociali hanno smesso di essere dei “diritti”. Coloro che non riescono ad ottenerli, perchè impossibilitati a “comprare la merce – casa”, sono trattati non come persone che hanno bisogno di un aiuto fondato sulla solidarietà sociale, o sull’idea che le istituzioni debbano “garantire” determinate “soglie” di dignità e diritti per tutti. Nel neoliberismo il “sociale” è esattamente una merce come le altre. La gestione di questi problemi è quindi tesa all’ “essere assistiti” nel comprendere le “regole del gioco”, che non sono quelle dei “diritti sociali”, bensì del “Mercato”! Sfratti, mancate o interminabili attese nelle assegnazioni di case popolari, “giudizi e valutazione” per attribuire o meno lo “status d’emergenza”, sono gestiti esclusivamente dagli operatori dei servizi sociali, oltre che da Giudici, Ufficiali Giudiziari, e Poliziotti.

In pochissimi anni i Fondi destinati al “sociale” sono stati tagliati dell’86%. In assenza di una redistribuzione sociale (ed anzi in presenza di una vera e propria “rapina”, dato che i fondi che vengono tagliati a noi non spariscono nel nulla ma vanno ad ingrassare banchieri, dirigenti e politici di alto grado) la politica dei servizi sociali è quella della gestione della scarsità di risorse, con il risultato di una vera e propria “guerra tra poveri per delle briciole” stimolata ed indotta da una filosofia dell’aiuto basata sull’individualizzazione del rapporto tra Assistente ed Assistito. Una relazione essenzialmente di potere, fondata sulla paura di poter accedere alle poche speranze, tenute costantemente in vita da norme e procedure di “autoattivazione”, che spingono l'”utente” a guadagnarsi la “fiducia” delle istituzioni, a “meritarsi” l’aiuto. Tra ricerca di colloqui, corsi di formazione, appuntamenti, curriculum e giro delle agenzie interinali, ricerca della casa in affitto tra le immobiliari, la vita dell’ utente che vuole farcela è quella di chi “non può stare fermo”. L’importante è che questa spinta non sia rivolta mai per soddisfare direttamente le proprie esigenze, tanto meno in una dimensione collettiva! L’individualizzazione e la personalizzazione dell’assistenza è il requisito fondamentale che regge questo tipo di assoggettamento. D’altra parte la premessa di fondo è la rassegnazione a non pretendere – né poco né troppo. Rispetto, dignità, emancipazione ed autonomia sono concetti che vengono cinicamente sacrificati sull’altare della “mancanza delle risorse” e della “crisi”. I rapporti tra gli Utenti e gli Assistenti sono quindi fondati sul binomio paura\comando. Paura di essere giudicati negativamente, Comando di poter valutare e decidere se e cosa garantire: se dare un contributo, un buono pasto, se inserirci nella lista d’emergenza.

Gli strumenti di welfare quindi quali sono? Da diritti sociali sono diventati veri e propri “crediti” che devono essere prima “guadagnati”, e poi spesi per acquistare delle merci (case – alimentazione – bollette etc..). Sembra di essere in banca, dove per convincere a farti fare un prestito devi mostrare delle “credenziali” e devi essere disposto a ripagarlo in ogni modo, pena la persecuzione! Se non hai queste credenziali sei escluso! Se le hai, e ti viene concesso il “Prestito sociale” devi essere in grado di restituirlo. Altrimenti sei un “imbroglione, un furbetto, un impostore!”.

In questo contesto il lavoro dell’assistenza sociale, al di là delle sue “professionalità”, si riduce alla ripetizione di procedure che avviliscono e mortificano chi si trova già in grave difficoltà.

– Ai colloqui gli Assistenti Sociali per chi è disoccupato ripetono incessantemente “vai al centro per l’impiego- agenzie interinali – porta i curriculum!” Anche il lavoro al nero o sottopagato è “consigliato”, piuttosto che la disoccupazione. E’ nocivo per la propria reputazione far notare che “il lavoro non c’è”: il giudizio su di noi sarebbe “non hai fatto abbastanza, sei un fannullone”.
– Per chi dalla disoccupazione passa alla “morosità”, ovvero al non pagare più l’affitto, e si trova sotto sfratto, la soluzione è: “cercati un’altra casa in affitto”. Laddove il fenomeno dell'”autoriduzione” si è necessariamente diffuso con l’acuirsi della mancanza di reddito, le agenzie immobiliari ed i proprietari di casa concedono in affitto le case solo al prezzo di caparre esorbitanti, contratte con finanziarie, oppure con la garanzia di “contratti di lavoro a tempo indeterminato” con buste paghe dai 900 euro in su, sulle quali eventualmente rifarsi trattenendo parte degli stipendi.
– Altra “soluzione” prospettata è quella di “fatti ospitare da amici”, oppure “non hai genitori o parenti”. Ogni pudore, intimità, fiducia è violata, s’indaga nei rapporti sociali e nelle relazioni per cercare di scovare possibilità che “ammortizzino” il disagio. Il peso ed il carico dello “stato sociale” viene privatizzato, e ricade quasi interamente sulla propria scaltrezza nel reperire soluzioni individuali.
– Se in aggiunta a queste condizioni si aggiunge quella di essere immigrato da un altro paese – ovviamente residente sul territorio da anni – il lavoro dell’assistente sociale consiste nella esplicita formula razzista del “torna al tuo paese”, o “emigra al nord”. Un razzismo sociale, espresso senza livore, ma in maniera fredda e distaccata, che racconta al meglio dove sia finita la retorica multiculturale ed il valore dell’integrazione nella società dell’austerità.

Tornando alla questione abitativa, al moltiplicarsi delle esecuzioni degli sfratti non segue nessun provvedimento degno di esser chiamato d’emergenza, tanto meno di progettualità alternativa a quella vigente. Bensì le Istituzioni sociali e politiche nel suo complesso ripropongono pari pari le stesse ricette che hanno condotto a questa situazione. Sempre meno famiglie riescono a pagare affitti da rapina: l’esplosione sociale è solo rimandata e governata scaricando verso il basso tensioni e frustrazioni, introducendo sentimenti di colpa e infondendo paura di ritorsioni e di pene più grandi nel caso qualcuno osi ribellarsi.

Il welfare e lo stato sociale sono diventati degli strumenti che cercano di contenere il disagio per non farlo “esplodere” in rabbia o ribellione. Inoltre tutti i provvedimenti di “assistenza” in realtà non riguardano i nostri bisogni, bensì – a vario titolo – i “proprietari, gli imprenditori, i privati”. Ad esempio, se veniamo “giudicati” da un’apposita commissione in “emergenza abitativa”, le risposte che vengono prospettate tendono a risolvere “la crisi” degli imprenditori immobiliari e dei padroni di casa, piuttosto che quello dei nuclei familiari. Le alternative, a seconda del “grado” di disperazione, possono essere:

– l’inserimento in strutture residenziali private (tra l’altro l’unico convenzionato è a Stagno, nella Provincia di Livorno, neanche collegato con la città da mezzi di trasporto pubblici!) – pagate dall’assistenza sociale coi soldi pubblici – per un periodo di pochi giorni o settimane;
– la concessione di prestiti “una tantum”;
– il pagamento di parte della “morosità” accumulata nei confronti dei proprietari di casa;
un contributo straordinario all’affitto al massimo della somma di 200 euro mensili per tre mesi rinnovabili al massimo di altri tre mesi, in abitazioni reperite autonomamente (che non vengono mai affittate da Agenzie né da Privati a chi non possiede “almeno” un contratto di lavoro a tempo indeterminato);
– l’inserimento nelle liste dell’agenzia casa, ovvero in abitazioni di proprietà private, prese in affitto dal Comune e subaffittati a canoni leggermente inferiori di quelli di mercato a nuclei in precarietà abitativi.
– buoni pasto erogati mensilmente con cui “pagare” generi alimentari presso i supermercati Coop.

Tutti questi provvedimenti sono accomunati dal fornire risposte temporanee, insoddisfacenti nella misura in cui soddisfano l’esigenza di “incasso” da parte dei Proprietari di case o di residence ed in breve periodo ripristinano una situazione di precarietà e grave disagio abitativo.

Ma chi è che protesta? Sono chiamati dalla sociologia istituzionale “i nuovi poveri”, quella composizione della precarietà che è impoverita ulteriormente in questa crisi e che non vuole che la propria condizione sprofondi nel baratro delle politiche di austerità. Se “non ci sono soldi io comunque devo mangiare, devo mandare mio figlio a scuola, devo vivere in una casa con dignità!” L’assistenzialismo non funziona perchè è stato tarato sulla cosiddetta “alta marginalità” con cui ha affinato un modus operandi sociale che si basa sulla “patologizzazione” della povertà. Se sei povero, sei malato e devi essere curato. Una terapia sociale che però è incapace di offrire alternative alle stesse ricette che sono causa del “male”! La povertà è considerata una malattia: questo neoliberismo fuori tempo massimo assimila chi non ha casa e chi non ha lavoro a chi ha bisogno di un’assistenza, che si configura come una vera e propria “cura” di una “disabilità”, in quanto “incapace di investire su se stesso”.
Adesso che l’impoverimento è un fenomeno sociale che cresce progressivamente ed investe fette sociali considerate “normali”, gli strumenti di “assistenza” scoppiano. Questi dispositivi di controllo sono basati sull’inasprirsi di meccanismi di disciplinamento e condizionano l’accesso al reddito vincolandolo alla disponibilità di un ulteriore auto-sfruttamento ed indebitamento materiale e morale. Aumenta così l’esclusione sociale.
Negli ultimi mesi si stanno intensificando le richieste di assistenza da parte di chi lavora precariamente, di chi è in cassa integrazione, di chi ha lavorato per una vita e si trova disoccupato a 50 anni. E’ una composizione che male accetta e che non digerisce passivamente l’austerità, e che rimane incredula e poi si arrabbia di fronte all’inutilità delle risposte messe in campo dalla “Stato”. E’ una composizione che si sente “tradita” rispetto ai sacrifici che ha versato nel lavoro e nella stretta adesione ai valori di questo sistema. Ora che ha bisogno, ed è costretta a chiedere, trova solo porte chiuse in faccia.
Nel mentre queste Istituzioni del Welfare del privato affogano dalla mancanza di risorse e dall’aumento vertiginoso della “domanda” di accesso al reddito, si fa strada il senso comune tra i proletari dell'”inutilità” di questi carrozzoni come la Società della Salute. “Se non ci date risposte, cosa ci state a fare? Chiudiamoli questi palazzi!” gridano i nuovi poveri non più timorosi di perdere qualche briciola. “Se le risorse qui non ci sono, o non ci vengono date, noi sappiamo dove andare a trovarle: la casa, il reddito, la salute devono essere accessibili per tutti!”. Inizia ad emergere la separazione dei propri interessi, rispetto e contro a quelli delle istituzioni sociali.

La scommessa di un progetto antagonista all’altezza di questa crisi è quella che punta ad arricchire e potenziare quei processi di organizzazione di questi interessi e bisogni “di parte”, per renderli autonomi da leggi, comportamenti e strumenti che risultano sempre più “estranei” e nemici del proprio benessere.

Contributo del Progetto Prendocasa di Pisa, verso la “settimana per il reddito garantito”

Fonte infoaut.org

Spagna: il governo scatena la caccia agli attivisti antisfratto

imagesDa contropiano.org :
Il tribunale di giustizia dell’UE ha bocciato la legge spagnola sugli sfratti, ma il governo del Madrid non vuole saperne di cambiare la normativa. In tutto il paese continuano i suicidi, ma alle azioni di denuncia dei comitati Stop Desahucios l’esecutivo risponde accusando gli sfrattati di essere al servizio dell’ETA e di protestare in modo violento.

L’avevano promesso, i coordinamenti contro gli sfratti, che se la classe politica non avesse tramutato in legge in tempi rapidi una proposta di iniziativa popolare che ha raccolto in poco tempo più di un milione di firme, sarebbe scattato un massiccio e capillare programma di mobilitazioni nei confronti dei singoli deputati, senatori e rappresentanti politici inadempienti. Detto, fatto. Di fronte all’immobilismo del Partido Popular al governo, a inizio marzo in diverse città sono scattati i cosiddetti “escraches”. Un termine – che potremmo tradurre efficacemente con ‘sputtanamento’ – nato in America Latina e che si è cominciato ad utilizzare in Argentina quando i componenti delle associazioni che rivendicavano verità e giustizia per i desaparecidos e per i bambini rapiti dal regime a famiglie antifasciste cominciarono a dirigere la propria protesta contro rappresentanti politici istituzionali, organizzando presìdi davanti alle loro abitazioni o addirittura rumorose irruzioni nei ristoranti o nei bar che frequentavano.

Lo scorso 14 marzo il Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza secondo la quale la legislazione spagnola in merito agli sfratti viola le direttive comunitarie in quanto non garantisce la protezione dei cittadini di fronte alle clausole abusive che le banche inseriscono nei contratti di concessione dei mutui. Soprattutto perché la legge spagnola non permette ai giudici di bloccare gli sfratti in caso di contestazione da parte degli sfrattati dei contratti con le banche, che a volte vengono quindi sanzionati ma ormai a sfratto avvenuto. Una bocciatura senza appello di una legge antica mai corretta, che concede potere assoluto alle banche, che mette a loro disposizione la forza pubblica senza nessuna possibilità di mediazione e che finora ha causato decine di suicidi tra coloro che erano stati buttati fuori dalle loro case o stavano per esserlo. Dall’inizio della crisi sono stati ben 500 mila gli ordini di sfratto emessi dai tribunali, mentre solo in 570 casi i coordinamenti popolari spontanei sono riusciti ad evitarli e bloccarli.

In seguito al pronunciamento del Tribunale del Lussemburgo, la Commissione Europea ha chiesto a Madrid di modificare la propria legislazione in merito, ma la risposta da parte di Rajoy e del Partito Popolare è stata arrogante, ed ha preso le forme di una crescente mobilitazione nei confronti dei coordinamenti dei cittadini colpiti dai mutui e dagli sfratti – las Plataformas de los Afectados por las Hipotecas – che nel frattempo erano di nuovo passati alla mobilitazione, impegnandosi in una serie di azioni di denuncia – gli escrache, appunto – nei confronti di una decina di deputati contrari all’approvazione della Leggi di Iniziativa Popolare presentata dai movimenti sociali. La campagna, dopo le manifestazioni massicce dei mesi scorsi, è partita con un vero e proprio bombardamento di lettere e mail ai membri del Congresso dei Deputati in cui si avvertivano i politici inadempienti che se non si fossero attivati immediatamente per l’approvazione della riforma della legge sugli sfratti “porteremo la realtà degli sfrattati nel loro ambiente”. Mentre i tribunali di tutta la Spagna vengono sommersi di ricorsi degli sfrattati che chiedono di bloccare gli sgomberi sulla base della sentenza del Tribunale del Lussemburgo, gli escraches hanno preso di mira alcuni illustri esponenti della destra. A Madrid, Oviedo, Valencia, Barcellona e Bilbao i deputati e i dirigenti del PP sono stati sanzionati nei loro domicili, all’interno di hotel e stazioni, durante convegni o mentre passeggiavano da decine, a volte da centinaia di rumorosi e arrabbiati attivisti dei coordinamenti contro gli sfratti.

La reazione del governo e del Partito Popolare è stata rabbiosa e violenta. I portavoce del Partito di Rajoy – in particolare Esteban Gonzalez Pons e Cristina Cifuentes – hanno occupato per giorni i media con dichiarazioni al vetriolo che comparavano la campagna delle PAH alla ‘kale borroka’, cioè alla guerriglia urbana realizzata per anni dai movimenti giovanili baschi. E non sono mancate neanche le accuse, nei confronti dei movimenti degli sfrattati, di essere manovrati dall’ETA (!) o comunque di utilizzare forme terroristiche contro i rappresentanti politici. Una campagna di criminalizzazione alla quale i movimenti sociali e i gruppi di sinistra hanno risposto per le rime. Ma che ora il governo vuole trasformare in una vera e propria caccia agli attivisti delle PAH. Il ministro degli interni di Madrid ha infatti dettato precise istruzioni ai servizi di sicurezza affinché impediscano gli ‘escraches’ nei confronti dei rappresentanti politici, assicurino la loro protezione e perseguano coloro che ne “mettono a rischio la sicurezza”. C’è quindi da aspettarsi una nuova ondata di denunce e arresti nei confronti di quegli attivisti che partecipino ai presidi, ai sit in e alle azioni di sanzionamento nei confronti dei rappresentanti di una classe politica ormai spudoratamente al servizio di banche e capitale finanziario.

A Pietra Alta il calore e la socialità non mancano

SAMSUNGLa gioia dei bambini e delle bambine del quartiere di Pietra Alta hanno movimentato la festa di primavera organizzata nello stabile occupato Pietra Alta. Merende e giochi, socialità e tanto divertimento hanno portato il calore di un sole mancato in una giornata di primavera ancora un po’ uggiosa e fredda. Fra crepes e laboratori di pittura per i bambini e le bambine la festa di primavera a Pietra Alta si è svolta ottimamente grazie anche alla collaborazione di tutto il quartiere che si è mobilitato per venire a supportate un’ iniziativa organizzata dagli occupanti dello stabile e dal collettivo Prendocasa. In un quartiere privo o quasi di punti di aggregazione e di spazi sociali, lo stabile occupato apre al quartiere gli spazi in comune nei quali, a termine dei lavori, verranno socializzati con le famiglie che hanno intenzione di mettersi in gioco ( in senso letterario visto che si prevedono dopo scuola, laboratori per i bambini e le bambine ecc…) organizzando con loro la fruibilità che tali spazi offrono. In questo senso intendiamo non sostituirci alle istituzioni locali che privano interi quartieri di servizi sociali ma insieme alle famiglie cerchiamo di rispondere a dei bisogni e delle esigenze che il quartiere cerca di realizzare in modo autonomo offrendo le proprie disponibilità e capacità.

Il comune di Torino continua con la sua politica di tagli ai servizi socio abitativi costringendo molte famiglie a vivere per strada o in macchina criminalizzando però chi occupa gli stabile per poter vivere dignitosamente con la propria famiglia. Contemporaneamente ATC minaccia o meglio esclude, per chi decide giustamente di occupare, della possibilità di avere una casa popolare (quelle poche che ATC assegna all’anno, pochissime rispetto alla domanda…). In questo senso non manca la collaborazione dei servizi sociali che fanno del vero e proprio terrorismo psicologico attraverso minacce di portar via i figli alle famiglie che decidono di autorganizzarsi per trovarsi da soli una soluzione reale al diritto alla casa. Minacce che ovviamente cadono nel vuoto visto le numerose occupazioni ad uso abitativo che la città di Torino continua ad avere ormai da qualche tempo. Neppure una disgrazia come quella di qualche mese fa è riuscita a smuovere dalle poltrone i politicanti della città che continuano a far finta di niente dopo la rumorosa manifestazioni degli abitanti di Pietra Alta, i quali denunciavano la mancanza, pretendendone la costruzione,  di un passaggio pedonale sopra elevato che attraversi corso vercelli.

Fra discorsi di questo genere e la forza nel sentirsi uniti nell’affrontare tali questioni, la festa di primavera ha saputo portare non solo gioia e sorrisi sui volti di tutti e tutte ma ha saputo affrontare questioni e contraddizioni da far emergere. Insomma, calore, socialità e voglia di attivarsi a Pietra Alta non mancano.

Guarda le foto della giornata:

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Festa di primavera a Pietra Alta Occupata

L’invito aperto a tutti e tutte, grandi e piccini per festeggiare con noi l’inizio della primavera.

Giochi, musica e merenda vi aspettano a Pietra Alta Occupata!

Gioved’ 28 marzo alle ore 15.30 in corso vercelli 440

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in caso di pioggia l’iniziativa verrà spostata all’interno dell’occupazione

Chi ruba a chi?

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“Chiunque occupi abusivamente un alloggio popolare e’ un ladro di case: non solo commette un reato ma calpesta anche i diritti delle tante famiglie in difficoltà che hanno fatto domanda e sono in attesa di un tetto”.

Questa la dichiarazione -immaginiamo studiata e ponderata- del Presidente di ATC Torino Elvio Rossi in merito all’occupazione di ieri da parte di una famiglia sfrattata di un alloggio popolare nel complesso di corso Racconigi. Nel comunicato di ATC si legge anche che l’alloggio occupato era in attesa di lavori di ristrutturazione e bonifica e che sarebbero circa 500 gli alloggi ATC vuoti in Torino. Iniziamo a fare alcune precisazioni su queste ultime affermazioni: l’alloggio occupato era vuoto da circa due anni e gli unici soldi spesi sono stati quelli per rafforzare le serrature della porta; da fonti giornalistiche risulterebbero circa 900 gli alloggi ATC, ma non ci interessa qui una disputa sui numeri dato che anche solo 500 alloggi vuoti sono un’enormità per un’agenzia territoriale della casa che ogni anno assegna -se va bene- 500 case popolari!

Ci dicono appunto che molte case vengono lasciate vuote perchè i soldi non ci sono, ed è una tiritera che tante, troppe volte abbiamo sentito, ma siccome il Presidente Elvio Rossi usa parole forti -”ladri”- anche su questo è bene fare un po’ di chiarezza.
E allora vediamo se i soldi non ci sono o piuttosto qualcuno se li ruba… Alla legge che prevedeva un tetto massimo di retribuzione per le cariche del Consiglio di Amministrazione delle ATC pari a: 60.000 euro annui per il Presidente (5.000 euro mensili) e 30.000 euro annui per il VicePresidente (2.500 euro mensili) e che assegnava un gettone di presenza per ogni seduta del CdA pari a 70 euro, un rimborso spese forfettario, calcolato in base al rimborso chilometrico riconosciuto ai consiglieri regionali, relativo ad ogni seduta di CdA, i manager ATC hanno continuato negli ultimi anni ad aumentarsi gli stipendi ben oltre i limiti previsti dalla legge stessa.
Il totale indicato dalla legge risulterebbe è dunque poco sotto i 100.000€. Ma attraverso il sistema delle aziende partecipate in realtà i costi complessivi degli amministratori sono lievitati in maniera esponenziale. Nel 2007 la cifra era di 229.786 €, fino a raggiungere i 297.668€ nel 2010. Nel novembre del 2010 sono stati inoltre nominati nuovi consiglieri nel consiglio d’amministrazione, e i costi complessivi son aumentati fino a oltre 320.000 euro nel 2011. E già, proprio quel sistema tra ATC e partecipate finito al centro di un’inchiesta che ha portato giusto ieri mattina ad una perquisizione della finanza nella sede di ATC: risultano indagati cinque funzionari, alcuni dei quali lavorano presso società controllate da Atc al 100%, Atc Project.to e Ma.Net, che si occupano della progettazione e della manutenzione delle case popolari. L’accusa nei loro confronti è di corruzione e turbativa d’asta.
E per quanto riguarda ancora la gestione del patrimonio di edilizia popolare, più di tante parole può essere indicativa una breve carrellata di alcuni titoli di quotidiani locali degli ultimi mesi: “Case Atc invase dai vermi – Piovono anche nei piatti”, “Ma cosa aspettano che crolli?”, “Dopo il crollo di sei mesi fa si sono dimenticati di noi”, “La nonna è in ospedale: l’Atc caccia la nipote che deve partorire”, “Acqua in ogni stanza vivere è impossibile”, “Quartiere Atc allo sfascio”, “Cento famiglie ancora al freddo”… e molti altri si possono trovare proprio sul sito di ATC Torino  (http://www.atc.torino.it/www/risp_giornali.aspx)

Insomma pare che i soldi per gestire adeguatamente il patrimonio di edilizia popolare della città non ci siano, ma gli stipendi dei manager pagati con soldi pubblici continuano ad aumentare e per i funzionari che non stanno ai vertici si trova comunque il modo di arrotondare con le tangenti. Intanto moltissimi complessi di case popolari vengono lasciati all’incuria e gli appartamenti popolari abbandonati sono uno scandalo nella Torino capitale italiana degli sfratti.

Chi ruba a chi, Presidente Rossi?

Sportello Diritto alla Casa Zona San Paolo
csoa gabrio

Basta case vuote!

basta_case_vuote19 marzo, ennesima giornata di sfratti a Torino, sempre più capitale di questa infame pratica. Ma in via Gaglianico, i solidali che alle 6 arrivano per mettere in atto il picchetto trovano un’amara sorpresa: la strada è occupata da celere e digos, blindati e volanti, che giunti intorno alle 5, e dopo aver sfondato la porta di fatto stanno già eseguendo lo sgombero della famiglia, composta da 5 persone. 5 persone che per comune questura e prefettura possono tranquillamente trovare posto sotto un ponte. I solidali, a distanza ed immediatamente identificati dalla digos, non possono far altro che assistere agli eventi e concordare il trasporto delle masserizie della famiglia. Come sempre è da sottolineare la sensibilità delle forze dell’ordine che, di fronte ad una situazione drammatica, ad una donna che piange perché non sa della propria sorte, non trovano di meglio che sghignazzare e rivolgere insulti razzisti. Complimenti.

Va meglio all’altro picchetto in zona San Paolo, che forte di una presenza di trenta persone tra compagn* ed occupanti di case, strappa una proroga fino a giugno.
Resta però il fatto che una famiglia (ad un terzo accesso) ha dovuto abbandonare l’alloggio e rischia seriamente di rimanere per strada, nell’assoluto disinteresse delle istituzioni. Per l’assessora Tisi e per il sindaco Fassino il problema della casa è solo un problema di ordine pubblico, al quale rispondere con strategie pseudo-militari.

Non così per i/le compagn* dello sportello Casa di Zona San Paolo e per gli occupanti degli edifici del quartiere: perché la casa è un diritto e Torino è piena di alloggi, intere palazzine vuote. Perché non ci si può rassegnare alla crisi che morde tutti i giorni, come non si può delegare alle istituzioni la risoluzione di un problema come quello della casa, istituzioni che sanno solo regalare pezzi di patrimonio pubblico a banche e finanziarie.
Per questo nel pomeriggio, dopo un corteo per il quartiere, tra slogan e i tamburi della SambaBand, viene occupato un alloggio ATC all’interno del complesso di case popolari di Corso Racconigi in zona San Paolo. Una risposta immediata ad un problema impellente, una scelta di dignità per una famiglia che non si rassegna alla propria condizione.
Evidentemente toccare direttamente gli interessi dell’ATC deve aver infastidito non poco. Nel tardo pomeriggio si materializzava in modo massiccio una digos molto nervosa e minacciosa. La presenza di un paio di blindati parcheggiati in Piazza Adriano pare facesse presagire ad un intervento immediato, ma probabilmente il fatto di essersi dovuti confrontare con la presenza di decine e decine di solidali arrivati in pochi minuti a sostegno della nuova occupazione, ha scoraggiato al momento uno sgombero.
Chi crede che in questo modo si possa intimidire o stancare chi porta avanti le lotte per il diritto all’abitare è parecchio fuori strada.

Sappiano lor signori che non ci sfiancheranno, perché chi lotta è vivo/a.
“Basta case vuote” con queste parole d’ordine ci si è mossi ieri, ogni sfratto deve avere una risposta immediata, non si possono tollerare uomini, donne, bambini in mezzo alla strada. Se le case ci sono e rimangono vuote, si possono requisire, è una scelta politica, altrimenti non possiamo che continuare ad occupare.

Sportello Diritto alla Casa Zona San Paolo

da csoagabrio

Nuova giornata di resistenza a San Salvario.

stop_sfrattiTorino_Hesham e famiglia, composta da genitori e quattro figli tutti minorenni di cui una bambina molto malata, vittima prima di un padrone di casa che riceveva i soldi dell’affitto ma non pagava il suo mutuo, e dopo di una banca preoccupata più a vendere subito l’alloggio che ad interessarsi dei residenti dell’alloggio, dopo aver resistito e ottenuto da soli due rinvii in precedenza, questa volta hanno deciso di collaborare assieme al neonato Sportello Casa San Salvario che, fin dalle prime ore del mattino, ha presidiato il portone con un nutrito numero di solidali.

Molto importante la risposta del quartiere con tante persone che si sono avvicinate al presidio per mostrare la loro solidarietà, ma anche famiglie nella stessa situazione di Hesham che ci hanno chiesto una collaborazione in futuro a testimonianza del fatto che a San Salvario esiste un forte problema riguardo la casa.

La mattinata si è svolta in maniera molto tranquilla, sempre sotto l’occhio vigile di digos e polizia, culminata con il rinvio da parte dell’ufficiale giudiziario al 21 Maggio.

Per concludere è partito un corteo spontaneo che ha attraversato il mercato di Piazza Madama.

La neve e il freddo non ci hanno fermato: la lotta paga.

basta sfratti, la casa è un diritto

SPORTELLO CASA SAN SALVARIO

UNITI CONTRO GLI SFRATTI!

13-03-2013-17Come già avevamo annunciato oggi 13 marzo, in via Orvieto 8, è avvenuto il terzo accesso dello sfratto di Angela.

Dopo aver montato un presidio, siamo venuti a conoscenza che un’altra madre, all’interno dello stesso palazzo, avrebbe avuto l’accesso: Liliana. Le storie di queste due donne si assomigliano: anche Liliana, dopo aver perso il lavoro, si è vista negare l’emergenza abitativa e proporre come soluzione quella dell’ housing sociale a pagamento. Ovviamente lei, preferendo pensare al sostentamento dei figli, ha cominciato a non pagare più l’affitto e a rifiutare l’”offerta”.

Nell’arco della mattinata, altre tre persone dello stesso stabile si sono rivolte a noi per problemi analoghi, condividendo la stessa rabbia e sdegno che accomunano Angela e Liliana e confermando tutte le situazioni poco chiare inerenti ad un affitto che dal 2006 è inspiegabilmente aumentato di quasi 300 euro. La situazione del palazzo di via Orvieto 8, appare chiaro, è la dimostrazione di come palazzinari ultra arricchiti riescano a fare i loro comodi sulle spalle degli inquilini non incorrendo ad alcuna conseguenza.

Prima ancora che arrivasse l’ufficiale giudiziario, sono giunti al presidio tre agenti della digos, giustificando la loro intromissione causa della nostra presenza lì, che implicava il bisogno di un intervento di ordine pubblico. Gli agenti, minacciando di andare a prendere di persona l’ufficiale giudiziario, sono stati allontanati dai compagni e le compagne presenti, mentre alcuni si sono chiusi in casa con le sfrattate.

Verso mezzogiorno la digos e l’ufficiale giudiziario sono tornati. Mentre erano in corso le trattative per la proroga dello sfratto tra compagni/e e digos ci sono stati spintoni per impedire agli agenti di entrare nel condominio e anche gli inquilini del palazzo hanno reagito con forza, non riconoscendo il lavoro della polizia come servizio per i cittadini, ma piuttosto come l’ennesima difesa degli interessi del loro strozzino.

Gli sfratti sono stati prorogati di un mese (16 aprile) per Angela e tre mesi (16 giugno) per Liliana. Ma quel che è ancora più positivo è che gli inquilini dello stabile ci hanno manifestato la necessità di organizzarsi tra di loro per far fronte ad una situazione ingestibile di invivibilità nel condominio. Hanno assunto la consapevolezza che da soli non riusciranno mai a risolvere questa situazione, ma organizzandosi, agendo insieme, la possibilità c’è.

Come collettivo Prendocasa noi saremo pronti ad aiutarli e a resistere ancora una volta ai futuri accessi di Angela e Liliana e di chiunque sia convinto che la casa è un diritto su cui non si specula e per cui vale la pena resistere con le unghie e con i denti.

 

Ma se ce la togliete ce la riprenderemo!