#19A – Pietra Alta scende in piazza a fianco dei rifugiati

pietra_alta Nel panorama di mobilitazioni che hanno segnato questo 19 aprile di lotta in tutto il Paese,come collettivo Prendocasa Torino abbiamo deciso di scendere in piazza a fianco  dei rifugiati che  nelle scorse settimane hanno occupato l’ex villaggio olimpico,e gli sfrattati  di Pietra Alta occupata.

A unire questi due soggetti è dapprima il diritto negato da una controparte individuata nell’amministrazione comunale ad avere una casa, poi una legittima risposta di riappropriazione: occupazione delle palazzine costruite a doc per le olimpiadi 2006 e poi lasciate vuote a marcire (quasi a tristi testimoni dell’insensato e più che mai male indirizzato spreco dei soldi pubblici in opere inutili) per gli uni; occupazione di una ex caserma dei vigili urbani in corso Vercelli, per gli altri.pitra_alta_3

Nuclei familiari e singoli, stranieri e italiani hanno fatto fronte così alla loro situazione di emergenza,ma non basta: in questo 19 aprile per il reddito,per i servizi, per i diritti e per la dignità dei cittadini, e quindi necessariamente contro chi tutto questo non garantisce, si è andati insieme ad occupare,in corteo, l’anagrafe centrale di Torino, per rivendicare un ulteriore diritto e condizione dirimente per una vita dignitosa: la residenza. Senza residenza è infatti negato l’accesso ai servizi socio-sanitari e non ci si può attivare per cercare lavoro; vengono così ridotti 450 rifugiati in impronte digitali, nemmeno liberi di spostarsi altrove. Rifiutandosi di cadere nella trappola della cosìdetta ‘guerra tra poveri‘,ma mobilitandosi insieme, gli occupanti dell’Ex Moi e di Pietra Alta non sono andati ad elemosinare nulla: sono rimasti all’interno della struttura, scegliendo per questa volta di non  interrompere l’attività dei vari sportelli,sino a costringere l’assessore comunale all’anagrafe a presentarsi e rispondere ad un confronto con loro.

In risposta, è stato garantito un incontro fissato per la prossima settimana, anche con l’assessore alla casa (responsabile in primis della disastrosa situazione abitativa di una Torino capitale degli sfratti e della pessima gestione delle case popolari), nel quale dovrebbe essere affrontato il tema della residenza per i rifugiati.

Quale che sia l’esito di questo scambio tra funzionari di un’amministrazione comunale incapace e sorda ai problemi reali dei cittadini in una regione in fallimento, la giornata del 19 è stata solo l’inizio della battaglia per la residenza e la casa: torneremo all’anagrafe e nelle piazze finché  sarà necessario; è forte infatti la determinazione di chi non vuol più cedere ai ricatti istituzionali dei tempi di crisi, ma è deciso a riappropriarsi dei diritti e degli spazi che gli sono stati tolti.

Ascolta Costanza del collettivo PrendoCasa Torino (RadioBlackOut):

Un altro mese di rinvio per Angela e famiglia

20130416_121137La resistenza allo sfratto di Angela che ieri ha conquistato il rinvio di un mese ha portato alla luce una serie di questioni assai fastidiose. Questioni che parlano di accordi di palazzinari con le amministrazioni comunali, di speculazione a affari d’oro per grandi proprietari di imm0obili a scapito delle molte famiglie che vengono sfrattate attraverso l’uso della forza dalla questura torinese ( in questo senso il comune di torino continua a ridurre il diritto all’abitare ad una mera questione di ordine pubblico) . Il palazzinaro in questione, impresario dell’immobiliare ‘Pianel’ e proprietario di una delle tre torri costruite in occasione delle olimpiade del 2006 poi rivendute, appunto , ad imprese immobiliari.

Nonstante fosse il terzo martedì del mese nella capitale degli sfratti post-olimpica, si è ottenuto  un rinvio ottenuto in via orvieto 8.

In un palazzo-torre di 22 piani abita dal 2006 Angela con i 2 figli, è in cassa integrazione dalla fabbrica per cui lavora e non è più riuscita a far fronte all’affitto anche per colpa del proprietario che tramite spese inventate di volta in volta raddoppia l’affitto e scarica sugli inquilini anche il costo dell’IMU.

In una città che continua a svendere per far cassa e coprire un enorme debito pubblico ancora non si vede soddisfatto un diritto fondamentale: quello di un tetto; infatti l’unico aiuto offerto dal comune è stata una casa-albego con però un affitto che assorbiva quasi tutto il suo stipendio mensile e visto anche il rifiuto di una casa popolare per via del suo pur misero reddtto Angela ha deciso di non disperarsi ma di alzare la testa e resistere allo sfratto.

Di buona mattina si mette lo striscione e si volantina mentre si aspetta l’ufficiale giudiziario

Alle 12:20 arriva l’ufficiale giudiziario accompagnato dalla digos che con il solito atteggiamento arrogante e presuntuoso e i consueti modi beceri ha tentato di dialogare con l’inquilina dell’appartamento sotto sfratto; atteggiamento sintomatico di chi vede nella resistenza sempre più ampia ai numerosi casi di sfratto un problema che incomincia a dare fastidio.

Grazie a chi fa resistenza e alla determinazione dell’inquilina si ottiene una proroga al 16 maggio, giorno in cui torneremo insieme a loro a resistere affinchè si raggiunga una soluzione abitativa.

La casa è un diritto, resistiamo agli sfratti!

13-03-2013-17

LA CASA E’ UN DIRITTO, RESISTIAMO AGLI SFRATTI!

Oggi 16 aprile, un ennesimo sfratto sta per colpire Torino: è il caso di Angela, dal 2006 residente al diciannovesimo piano di questa torre di 22 piani in via Orvieto 8.

 

Angela è in cassa integrazione dalla fabbrica per cui lavora, ha due figli e ad un certo punto non è più riuscita a pagare l’affitto, anche perché il suo era un affitto particolare: infatti dai 350 euro che pagava con il contratto con Locare è passata a pagarne più di 600 perché il proprietario di casa, impresario dell’immobiliare ‘Pianel’, si è via via inventato spese condominiali da far pesare sui condomini, gli stessi sui quali ha anche tentato di far ricadere l’Imu, come profeticamente aveva annunciato in un’intervista su “Repubblica” dell’anno scorso in cui aveva dichiarato che una parte dell’IMU poteva farla ricadere sugli inquilini! Presto fatto molti abitanti delle 3 torri, tra cui Angela, si sono visti addebitare costi non giustificati che probabilmente rientrano nel conteggio dell’IMU che l’arzillo palazzinaro ha cercato con furbizia di far pagare ai condomini!

 

Alla prima richiesta di sfratto Angela si è rivolta al comune,tentando anche di mettersi in contatto con vari assessori per denunciare le truffe del proprietario e cercando una soluzione alla propria situazione di emergenza; la risposta le è finalmente arrivata dopo essere stata rimpallata da un ente all’altro: precario ricovero in una struttura tipo casa-albergo per la quale avrebbe dovuto pagare una affitto di 400 euro al mese, su 500 suoi di stipendio mensile!

 

Ad un suo rifiuto e con la scusa di questo suo reddito minimo, ad Angela è stata anche negata la richiesta per la casa popolare, nonostante le migliaia di appartamenti vuoti, ed ora sta per essere messa in strada con i suoi figli nel disinteresse generale.

 

Presa tra i ciechi interessi privati di proprietari che speculano sulle disgrazie altrui e un’amministrazione comunale incapace di proporre alternative e garantire diritti e servizi ai cittadini, Angela ha deciso di non disperarsi ma di alzare la testa e resistere allo sfratto.

 

Quella di oggi é la sua quarta resistenza, tutte portate a termine con la determinazione di chi sa che togliendo la casa si toglie un diritto, e che la morosità non è reato, perché quei debiti non sono suoi, ma di chi l’ha messa in condizione di non poter vivere dignitosamente.


E allora che il suo caso sia d’esempio, alziamo la testa contro gli sfratti, teniamoci stretta la casa e la dignità!

E se non ce le date ce le riprenderemo!

Contro il welfare del debito

stop sfrattiUn contributo politico su emergenza abitativa e servizi sociali.

Dopo anni di lotta per la casa, si fa sempre più necessaria una critica politica alla gestione dell’emergenza abitativa. Quello che emerge dai comportamenti di rifiuto che si avviano a diventare vere e proprie ribellioni, è la mancanza di strumenti adeguati e la cronica assenza di risposte che l’istituzione della Società della Salute applica nei confronti di tutti quelli che si trovano – nei fatti – a rischio di non avere più un tetto sulla testa. Parliamo nel solo nostro comune di più di un migliaio di sfratti esecutivi, e di un numero in spaventosa crescita dei nuclei familiari che si dividono o cercano “soluzioni” di fortuna (camper e roulotte, ospitalità da parenti, sovraffollamento di piccoli garage, mobilità tra un dormitorio e l’altro della regione). Chi ha o sta per avere lo sfratto; chi è al primo o al decimo acceso e si trova a confrontarsi direttamente con ufficiali giudiziari, poliziotti energumeni e avvocati di padroni di casa; chi è in mezzo alla strada o ospite da qualche familiare, subisce sempre la stessa umiliazione ed il sentimento di impotenza di non trovare dalle istituzioni nessuna strada che sia di dignità e di emancipazione.

Il dato di fatto è che la Società della salute, ed in generale “i servizi sociali”, negli anni hanno assorbito tutta una serie di funzioni che erano prima di “competenza” della “politica”. Questa Società della Salute, rappresenta il processo di privatizzazione del sociale: un consorzio tra enti locali, comuni, ed azienda sanitaria con decine di cooperative cui sono stati esternalizzati tutti i servizi sociali: dalle Residenze Sanitarie Assistite per anziani, fino all’ambito socio educativo. Questo processo di “esternalizzazione” ha rapidamente travolto l’ambito del “diritto alla casa”. In questi anni la “politica” istituzionale, nella funzione dell’Assessorato alla casa, si è occupata esclusivamente degli interessi dei consorzi di costruttori immobiliari e dei grandi proprietari di case, mentre la gestione dell’emergenza abitativa è ricaduta interamente sui servizi sociali. La casa ed i servizi sociali hanno smesso di essere dei “diritti”. Coloro che non riescono ad ottenerli, perchè impossibilitati a “comprare la merce – casa”, sono trattati non come persone che hanno bisogno di un aiuto fondato sulla solidarietà sociale, o sull’idea che le istituzioni debbano “garantire” determinate “soglie” di dignità e diritti per tutti. Nel neoliberismo il “sociale” è esattamente una merce come le altre. La gestione di questi problemi è quindi tesa all’ “essere assistiti” nel comprendere le “regole del gioco”, che non sono quelle dei “diritti sociali”, bensì del “Mercato”! Sfratti, mancate o interminabili attese nelle assegnazioni di case popolari, “giudizi e valutazione” per attribuire o meno lo “status d’emergenza”, sono gestiti esclusivamente dagli operatori dei servizi sociali, oltre che da Giudici, Ufficiali Giudiziari, e Poliziotti.

In pochissimi anni i Fondi destinati al “sociale” sono stati tagliati dell’86%. In assenza di una redistribuzione sociale (ed anzi in presenza di una vera e propria “rapina”, dato che i fondi che vengono tagliati a noi non spariscono nel nulla ma vanno ad ingrassare banchieri, dirigenti e politici di alto grado) la politica dei servizi sociali è quella della gestione della scarsità di risorse, con il risultato di una vera e propria “guerra tra poveri per delle briciole” stimolata ed indotta da una filosofia dell’aiuto basata sull’individualizzazione del rapporto tra Assistente ed Assistito. Una relazione essenzialmente di potere, fondata sulla paura di poter accedere alle poche speranze, tenute costantemente in vita da norme e procedure di “autoattivazione”, che spingono l'”utente” a guadagnarsi la “fiducia” delle istituzioni, a “meritarsi” l’aiuto. Tra ricerca di colloqui, corsi di formazione, appuntamenti, curriculum e giro delle agenzie interinali, ricerca della casa in affitto tra le immobiliari, la vita dell’ utente che vuole farcela è quella di chi “non può stare fermo”. L’importante è che questa spinta non sia rivolta mai per soddisfare direttamente le proprie esigenze, tanto meno in una dimensione collettiva! L’individualizzazione e la personalizzazione dell’assistenza è il requisito fondamentale che regge questo tipo di assoggettamento. D’altra parte la premessa di fondo è la rassegnazione a non pretendere – né poco né troppo. Rispetto, dignità, emancipazione ed autonomia sono concetti che vengono cinicamente sacrificati sull’altare della “mancanza delle risorse” e della “crisi”. I rapporti tra gli Utenti e gli Assistenti sono quindi fondati sul binomio paura\comando. Paura di essere giudicati negativamente, Comando di poter valutare e decidere se e cosa garantire: se dare un contributo, un buono pasto, se inserirci nella lista d’emergenza.

Gli strumenti di welfare quindi quali sono? Da diritti sociali sono diventati veri e propri “crediti” che devono essere prima “guadagnati”, e poi spesi per acquistare delle merci (case – alimentazione – bollette etc..). Sembra di essere in banca, dove per convincere a farti fare un prestito devi mostrare delle “credenziali” e devi essere disposto a ripagarlo in ogni modo, pena la persecuzione! Se non hai queste credenziali sei escluso! Se le hai, e ti viene concesso il “Prestito sociale” devi essere in grado di restituirlo. Altrimenti sei un “imbroglione, un furbetto, un impostore!”.

In questo contesto il lavoro dell’assistenza sociale, al di là delle sue “professionalità”, si riduce alla ripetizione di procedure che avviliscono e mortificano chi si trova già in grave difficoltà.

– Ai colloqui gli Assistenti Sociali per chi è disoccupato ripetono incessantemente “vai al centro per l’impiego- agenzie interinali – porta i curriculum!” Anche il lavoro al nero o sottopagato è “consigliato”, piuttosto che la disoccupazione. E’ nocivo per la propria reputazione far notare che “il lavoro non c’è”: il giudizio su di noi sarebbe “non hai fatto abbastanza, sei un fannullone”.
– Per chi dalla disoccupazione passa alla “morosità”, ovvero al non pagare più l’affitto, e si trova sotto sfratto, la soluzione è: “cercati un’altra casa in affitto”. Laddove il fenomeno dell'”autoriduzione” si è necessariamente diffuso con l’acuirsi della mancanza di reddito, le agenzie immobiliari ed i proprietari di casa concedono in affitto le case solo al prezzo di caparre esorbitanti, contratte con finanziarie, oppure con la garanzia di “contratti di lavoro a tempo indeterminato” con buste paghe dai 900 euro in su, sulle quali eventualmente rifarsi trattenendo parte degli stipendi.
– Altra “soluzione” prospettata è quella di “fatti ospitare da amici”, oppure “non hai genitori o parenti”. Ogni pudore, intimità, fiducia è violata, s’indaga nei rapporti sociali e nelle relazioni per cercare di scovare possibilità che “ammortizzino” il disagio. Il peso ed il carico dello “stato sociale” viene privatizzato, e ricade quasi interamente sulla propria scaltrezza nel reperire soluzioni individuali.
– Se in aggiunta a queste condizioni si aggiunge quella di essere immigrato da un altro paese – ovviamente residente sul territorio da anni – il lavoro dell’assistente sociale consiste nella esplicita formula razzista del “torna al tuo paese”, o “emigra al nord”. Un razzismo sociale, espresso senza livore, ma in maniera fredda e distaccata, che racconta al meglio dove sia finita la retorica multiculturale ed il valore dell’integrazione nella società dell’austerità.

Tornando alla questione abitativa, al moltiplicarsi delle esecuzioni degli sfratti non segue nessun provvedimento degno di esser chiamato d’emergenza, tanto meno di progettualità alternativa a quella vigente. Bensì le Istituzioni sociali e politiche nel suo complesso ripropongono pari pari le stesse ricette che hanno condotto a questa situazione. Sempre meno famiglie riescono a pagare affitti da rapina: l’esplosione sociale è solo rimandata e governata scaricando verso il basso tensioni e frustrazioni, introducendo sentimenti di colpa e infondendo paura di ritorsioni e di pene più grandi nel caso qualcuno osi ribellarsi.

Il welfare e lo stato sociale sono diventati degli strumenti che cercano di contenere il disagio per non farlo “esplodere” in rabbia o ribellione. Inoltre tutti i provvedimenti di “assistenza” in realtà non riguardano i nostri bisogni, bensì – a vario titolo – i “proprietari, gli imprenditori, i privati”. Ad esempio, se veniamo “giudicati” da un’apposita commissione in “emergenza abitativa”, le risposte che vengono prospettate tendono a risolvere “la crisi” degli imprenditori immobiliari e dei padroni di casa, piuttosto che quello dei nuclei familiari. Le alternative, a seconda del “grado” di disperazione, possono essere:

– l’inserimento in strutture residenziali private (tra l’altro l’unico convenzionato è a Stagno, nella Provincia di Livorno, neanche collegato con la città da mezzi di trasporto pubblici!) – pagate dall’assistenza sociale coi soldi pubblici – per un periodo di pochi giorni o settimane;
– la concessione di prestiti “una tantum”;
– il pagamento di parte della “morosità” accumulata nei confronti dei proprietari di casa;
un contributo straordinario all’affitto al massimo della somma di 200 euro mensili per tre mesi rinnovabili al massimo di altri tre mesi, in abitazioni reperite autonomamente (che non vengono mai affittate da Agenzie né da Privati a chi non possiede “almeno” un contratto di lavoro a tempo indeterminato);
– l’inserimento nelle liste dell’agenzia casa, ovvero in abitazioni di proprietà private, prese in affitto dal Comune e subaffittati a canoni leggermente inferiori di quelli di mercato a nuclei in precarietà abitativi.
– buoni pasto erogati mensilmente con cui “pagare” generi alimentari presso i supermercati Coop.

Tutti questi provvedimenti sono accomunati dal fornire risposte temporanee, insoddisfacenti nella misura in cui soddisfano l’esigenza di “incasso” da parte dei Proprietari di case o di residence ed in breve periodo ripristinano una situazione di precarietà e grave disagio abitativo.

Ma chi è che protesta? Sono chiamati dalla sociologia istituzionale “i nuovi poveri”, quella composizione della precarietà che è impoverita ulteriormente in questa crisi e che non vuole che la propria condizione sprofondi nel baratro delle politiche di austerità. Se “non ci sono soldi io comunque devo mangiare, devo mandare mio figlio a scuola, devo vivere in una casa con dignità!” L’assistenzialismo non funziona perchè è stato tarato sulla cosiddetta “alta marginalità” con cui ha affinato un modus operandi sociale che si basa sulla “patologizzazione” della povertà. Se sei povero, sei malato e devi essere curato. Una terapia sociale che però è incapace di offrire alternative alle stesse ricette che sono causa del “male”! La povertà è considerata una malattia: questo neoliberismo fuori tempo massimo assimila chi non ha casa e chi non ha lavoro a chi ha bisogno di un’assistenza, che si configura come una vera e propria “cura” di una “disabilità”, in quanto “incapace di investire su se stesso”.
Adesso che l’impoverimento è un fenomeno sociale che cresce progressivamente ed investe fette sociali considerate “normali”, gli strumenti di “assistenza” scoppiano. Questi dispositivi di controllo sono basati sull’inasprirsi di meccanismi di disciplinamento e condizionano l’accesso al reddito vincolandolo alla disponibilità di un ulteriore auto-sfruttamento ed indebitamento materiale e morale. Aumenta così l’esclusione sociale.
Negli ultimi mesi si stanno intensificando le richieste di assistenza da parte di chi lavora precariamente, di chi è in cassa integrazione, di chi ha lavorato per una vita e si trova disoccupato a 50 anni. E’ una composizione che male accetta e che non digerisce passivamente l’austerità, e che rimane incredula e poi si arrabbia di fronte all’inutilità delle risposte messe in campo dalla “Stato”. E’ una composizione che si sente “tradita” rispetto ai sacrifici che ha versato nel lavoro e nella stretta adesione ai valori di questo sistema. Ora che ha bisogno, ed è costretta a chiedere, trova solo porte chiuse in faccia.
Nel mentre queste Istituzioni del Welfare del privato affogano dalla mancanza di risorse e dall’aumento vertiginoso della “domanda” di accesso al reddito, si fa strada il senso comune tra i proletari dell'”inutilità” di questi carrozzoni come la Società della Salute. “Se non ci date risposte, cosa ci state a fare? Chiudiamoli questi palazzi!” gridano i nuovi poveri non più timorosi di perdere qualche briciola. “Se le risorse qui non ci sono, o non ci vengono date, noi sappiamo dove andare a trovarle: la casa, il reddito, la salute devono essere accessibili per tutti!”. Inizia ad emergere la separazione dei propri interessi, rispetto e contro a quelli delle istituzioni sociali.

La scommessa di un progetto antagonista all’altezza di questa crisi è quella che punta ad arricchire e potenziare quei processi di organizzazione di questi interessi e bisogni “di parte”, per renderli autonomi da leggi, comportamenti e strumenti che risultano sempre più “estranei” e nemici del proprio benessere.

Contributo del Progetto Prendocasa di Pisa, verso la “settimana per il reddito garantito”

Fonte infoaut.org