Tante parole pochi fatti

lastampa_sfrattiAl contrario di quanto viene scritto sulla cronaca locale, agli sfratti in città non si da un freno. Continuiamo a ripeterlo perchè ci sembra importante contrastare la narrazione tossica della stampa mainstream che utilizza un linguaggio pieno di speranza e di buoni propositi atto ad evocare una soluzione in tempi brevi.

Renzi docet…

All’articolo di ieri, uscito sulla Stampa, che dava spazio ad un clamoroso calo degli sfratti, poniamo un dato di realtà che ben diverge dalla solita propaganda istituzionale: in una giornata due gli sfratti difesi dalle famiglie dell’ex spazio Neruda che insieme agli sfrattati sono riusciti ad ottenere entrambi i rinvii.

Questo è un fatto. Ma tornando all’articolo di ieri, qui non si tratta di fare le pulci ad un 5% di calo degli sfratti ma di entrare nel merito dell’emergenza casa. Resta comunque insufficiente un calo di questa portata a fronte di migliaia di famiglie sotto ricatto dall’incubo sfratto. E poi ci chiediamo come si possa sbandierare un dato di questo genere (nei primi sei mesi sono calati del 5% rispetto all’anno scorso) senza tenere conto delle tante famiglie sfrattate nei mesi e negli anni precedenti e che oggi si trovano sparsi per la città in angusti box riutilizzati come alloggi di fortuna o assistiti per un tempo limitato da associazioni o enti religiosi (ultima trovata del comune pur di non dare soluzioni concrete e definitive al disagio abitativo).

Anche qui, non ci interessa discutere la filantropia, quando questa si manifesta, degli enti religiosi, ma invece mettiamo a critica le politiche abitative promosse dalle istituzioni che producono solo sfratti e sgomberi.

Questo è un altro fatto. Il resto, sono solo chiacchiere e propaganda istituzionale.

Siamo ancora qua!

Martedì 7 luglio più di trenta nuclei famigliari, che avevano trovato una soluzione alla propria emergenza abitativa occupando uno stabile pubblico lasciato all’abbandono da anni, sono state sgomberate da una massiccia operazione di polizia da quello che era diventato il loro nuovo tetto. Parliamo di famiglie, di donne, uomini e bambini costretti a una vita precaria sempre più strozzati da una crisi di cui paghiamo i ricatti tutti i giorni e che toglie ogni certezza riguardo il futuro nostro e dei nostri figli. Parliamo di crisi, ma sappiamo bene le che condizioni di vita sempre più povere e incerte che viviamo altro non sono che la conseguenza di precise scelte politiche; è stato il manchevole e colpevole operato di chi amministra Torino a rendere questa città la capitale degli sfratti d’Italia, con i suoi 4500 sfratti solo nel 2014. Il Comune infatti è da anni che si dimostra assolutamente incapace di gestire l’emergenza abitativa sempre più diffusa a Torino e si rifiuta di prendere una posizione in merito a questioni quali moratoria degli sfratti, edilizia popolare pubblica, affitti calmierati, parametri meno esclusivi per le liste delle case popolari. Sono migliaia, di contro, gli alloggi e le case ATC lasciate vuote per interesse. Ci ripetono che i soldi non ci sono, ma vediamo gettarli in opere inutili e speculazioni che arricchiscono sempre e solo le tasche già gonfie di banche, politici, costruttori e palazzinari. Intanto siamo sempre più a non arrivare a fine mese, a perdere il lavoro, non riuscire a pagare l’affitto o la scuola per i figli, mentre ci misurano la miseria in punti per la casa popolare.

Quando abbiamo occupato l’ex c.s.e.a – che abbiamo rinominato Spazio Popolare Neruda – di via Bardonecchia, quartiere Pozzo Strada, alcuni politicanti ci hanno definito ”abusivi” e “illegali” sperando di attirare su di noi l’odio degli abitanti del quartiere: sono accuse queste che non ci spaventano , crediamo nella legittimità del nostro gesto, che speriamo sempre più riproducibile, di riappropriazione diretta di un diritto che dovrebbe esserci garantito, il diritto a una casa e una vita dignitosa. Se la “legalità” si manifesta nello speculare sulla vita delle persone, nel lasciare la gente in mezzo alla strada o nell’autorizzare uno sgombero coatto all’alba di uno stabile in disuso diventato una casa per tanti , questa legalità allora non ci appartiene.

A seguito dello sgombero le soluzioni che sono state proposte dal Comune per le famiglie che avevano trovato un tetto all’ex c.s.e.a. sono state del tutto insufficienti: qualche giorno, al massimo un mese o due in casa famiglia o dormitori, spesso spaccando il nucleo famigliare. Per questo in tanti hanno rifiutato e sono determinati a continuare questa battaglia per riprendersi il diritto ad avere una casa.
Lo Spazio Popolare Neruda si stava attrezzando anche per diventare uno spazio a disposizione del quartiere per andare incontro ai bisogni espressi da chi abita in Pozzo Strada: dal sopperire ai servizi mancanti( biblioteca, ludoteca..) al poter diventare un punto di ritrovo e socialità che potesse creare aggregazione tra e per chi vive il territorio.

Ma il Comune e la Prefettura hanno preferito sgomberare uno stabile già simbolo della più becera speculazione edilizia, parliamo infatti di decine di milioni di euro sottratti alla collettività, per uno spazio poi fatto fallire a causa dell’incuria dell’amministrazione pubblica e privata, e che ora rimarrà chiuso per chissà quanti altri anni a venire, di nuovo sottratto alla collettività e ai suoi bisogni.

Questa mattina abbiamo deciso di tornare qui, con tutte le famiglie che avevano occupato l’ex C.S.E.A. per confrontarci con chi vive questo quartiere, che già si era mostrato aperto e solidale e con cui abbiamo tutta l’intenzione di continuare ad avere a che fare, perché crediamo che la dignità, come la solidarietà, non si sgombera.

Le famiglie sgomberate dall’ex C.S.E.A

Genova: uomo si uccide prima dello sfratto

tribuEnnesimo suicido a causa di uno sfratto. Questa volta è successo nel quartiere di Sestri a Genova, dove un ex carrozziere di 66 anni si è buttato nel vuoto dall’ultimo piano di una casa popolare di proprietà del Comune nella quale viveva da cinquanta anni. Da tempo gli avevano staccato le utenze e come ultimo atto le istituzioni locali avevano deciso di sfrattarlo. Poco prima dell’arrivo dell’ufficiale giudiziario l’uomo anziano è salito fino all’ultimo piano, ha aperto la finestra della tromba delle scale e si è lanciato nel vuoto.

A Staglieno, un mese fa, una storia simile: un disoccupato si era impiccato nella casa nel giorno in cui anche a lui avrebbero notificato lo sfratto.

Gesti estremi, sempre meno inconsueti, indotti dalle fallimentari politiche abitative e dai continui sfratti: a Genova sono 815 le ingiunzioni di sfratto nel primo semestre 2014, di cui 492 quelle eseguite, per un totale di quasi mille sfratti all’anno.

Le violenti politiche abitative creano isolamento e disperazione. Rompere questi meccanismi di esclusione sociale, delegittimare le istituzioni del loro potere decisionale sulle nostre vite, oggi diventa la priorità per tutti coloro che non vogliono più pagare la crisi.

Ai processi di impoverimento in atto, si affianca la logica dell’esclusione sociale realizzata dalle istituzioni attraverso la gerarchizzazione dei requisiti per accedere ai servizi pubblici di un welfare ormai spinto verso la privatizzazione. Questo strumento permette alle amministrazioni di applicare una “selezione naturale” fra gli individui, dividendo fra chi oggi può sperare nell’elargizione di qualche servizio e fra chi invece viene completamente abbandonato dalle istituzioni.

Il caso di Genova è emblematico proprio per questo motivo: proprietario della casa popolare è il Comune e questo poteva intervenire sicuramente in altro modo, invece di continuare con il solito ricatto “o paghi o ti buttiamo fuori in strada”.

D fronte a questo tipo di attacco – con il quale le istituzioni sapendo di non riuscire più a garantire i diritti sociali, soprattutto per le classi impoverite dalla crisi e dall’effetto delle politiche di austerità – la lotta per la casa deve diventare uno spazio di contrapposizione politica e rivendicazione sociale per tutti coloro che oggi vivono condizioni di precarietà e sfruttamento, affinché non ci siano più casi di suicidio per sfratto.