Said e la sua famiglia interrompono il consiglio Comunale

said_comune“Pezzo di merda!” così è stato appellato Said da un funzionario della digos. Questo è successo oggi durante l’interruzione del Consiglio Comunale da parte di Said e il collettivo Prendocasa Torino.

Venerdì Said e la sua famiglia (la moglie Kadija e i tre figli) sono stati sfrattati a seguito della sospensioe dello sfratto (art. 610 c.p.c.) con una brutalità sconcertante dagli sgherri di Molino, il proprietario di casa, e dalla polizia. 

Dopo il clamore suscitato sui giornali e le televisioni locali, il Consiglio Comunale, il cui presidente era presente nei momenti seguenti allo sfratto, avrebbe dovuto aprire una discussione, vista la gravità dell’atto di sgombero, in sala rossa sulle brutalità d’intervento utilizzate dal palazzinaro Molino e trovare una soluzione abitativa per la famiglia sfrattata.

Per questo motivo si è lanciato un presidio in Piazza Palazzo di Città per esercitare pressione a chi in quel palazzo pensa di poter decidere delle nostre vite. Appreso che il consiglio non avrebbe discusso della situazione di Said e della sua famiglia, si è deciso di salire e interrompere il dibattimento. Nel momento in cui si stava denunciando la nostra perplessità sul mutismo della giunta sulla gravità degli avvenimenti di venerdì, Said e un attivista del collettivo Prendocasa sono stati spintonati in malo modo da vigili e digos (qui video). Da qui la frase “Pezzo di merda” che l’agente della digos ha rivolto ad un uomo che non faceva altro che reclamare i suoi diritti.

Si è riusciti, prima di essere sbattuti fuori dal consiglio comunale, a denunciare la brutalità dei fatti, reclamare una presa di posizione netta nei confronti l’infame articolo 610 e pretendere una soluzione abitativa per la famiglia di Said. Presi di forza e portati fuori si è denunciato pubblicamente ai presidianti quanto successo in sala rossa. Con la giusta rabbia di chi si è visto nuovamente chiudere la porta in faccia da parte delle istituzioni che dovrebbero garantire il diritto all’abitare, in un centinaio di persone si è bloccato il traffico per più di 3 ore e al presidio si è aggiunta una tenda nella quale Said e la sua famiglia pernotterranno fino a quando il comune non intenderà confrontarsi e dare una soluzione dignitosa.

Quanto successo oggi è la dimostrazione che esiste una incolmabile distanza da chi lotta per i suoi diritti e le istituzioni che latitano di fronte all’ingiustizia sociale.

Ciò che è successo in questi giorni ci da ragione sulla nostra determinazione a continuare a lottare, non solo per Said ma per tutte quelle persone che fra comitati di quartiere e occupanti si mobilitano per risolvere il problema abitativo attraverso la partecipazione e la lotta.

Ci vediamo DOMANI 18 OTTOBRE ALLE ORE 13 SOTTO IL COMUNE per accompagnare Said e la sua famiglia dagli assistenti sociali e pretendere una soluzione dignitosa!

14713507_350929971909728_7504471612400198100_nI solidali in piazza per Said e la sua famiglia

14570328_350933821909343_3099819547418672472_n

Torino, Molino chiede i danni

said1Non c’è mai limite al peggio…è quanto si potrebbe dire di questa storia tutta italiana dove chi si trova a dover fare i conti con la crisi e la perdita della casa, con un brillante colpo “giudiziario” diventa il carnefice.

Ma andiamo con ordine..

Said, sua moglie e i suoi 3 figli minori vivono in un appartamento di proprietà del signor Giorgio Molino (il famoso “ras delle soffitte” proprietario di più di 1850 appartamenti in Torino e provincia, di 200 ettari di terreno agricolo, palazzi, negozi e perfino una caserma).

La famiglia di Said ha sempre pagato regolarmente l’affitto per più di 10 anni e, nel 2014, a causa della perdita del lavoro di Said, le difficoltà ad arrivare a fine mese e a pagare l’affitto sono diventate sempre più evidenti fino ad arrivare allo sfratto per morosità diventato esecutivo nell’estate del 2015.

A giugno e luglio del 2015 Said e la sua famiglia non si sono trovati soli ad affrontare la paura di essere mandati in mezzo ad una strada (ovviamente hanno tentato il percorso istituzionale attraverso l’emergenza abitativa che prontamente ha dato esito negativo) e, in entrambi gli accessi, un “muro popolare” di solidali e abitanti del quartiere Vanchiglia si sono ritrovati sotto casa di Said per cercare di bloccare lo sfratto.

E’ proprio per la “paura della resistenza e della solidarietà” che il signor Molino ha prontamente richiesto l’applicazione dell’art. 610 (sfratto a sorpresa) che a Torino è diventata pratica abituale da ormai 3 anni quando ci sono i picchetti di solidali ad impedire lo sfratto.

Diversamente dalle altre volte in cui è riuscito ad ottenere che lo sfratto a sorpresa fosse eseguito in tempi rapidissimi (in un caso addirittura è riuscito a farlo eseguire a neanche un mese di distanza), questa volta è passato quasi un anno dall’ultimo accesso.

Stamattina si presenta a casa di Said l’ufficiale giudiziario non per eseguire lo sfratto a sorpresa ma per notificargli un ricorso al TAR (tribunale amministrativo regionale) nel quale il signor Molino chiama in causa Said, il Ministero degli Interni e il Ministero di Grazia e Giustizia per richiedere i danni a lui causati dalla resistenza allo sfratto.

Si legge infatti nel lunghissimo ricorso che, per ben due volte la mattina degli accessi l’ufficiale giudiziario non ha potuto eseguire lo sfratto perché presenti numerosi soggetti appartenenti al centro sociale limitrofo all’abitazione e che proprio per questo motivo veniva richiesta l’applicazione dell’articolo 610 da eseguirsi entro e non oltre settembre 2015.

Siccome gli sfratti non vanno in vacanza, ad agosto un solerte giudice acconsente alle richieste di Molino e autorizza lo sfratto a sorpresa da eseguire entro settembre.

E, visto che questo non è avvenuto ora il signor Molino chiede i danni economici per le sue mancate entrate per non aver liberato il suo alloggio. Affitti che per lui ammontano a circa 420 euro mensili.

Vogliamo ricordare al signor Molino, che forse ha la memoria corta, che l’appartamento di Said che per lui ha un introito di 420 euro al mese non è a norma di legge, come la maggior parte degli alloggi di sua proprietà, e che più volte è stato segnalato il fatto che deve eseguire dei lavori di ripristino delle tubature dell’acqua che hanno danneggiato l’appartamento già fatiscente di Said e che se non eseguiti potrebbero portare a delle conseguenze ben più gravi anche per l’incolumità della famiglia.

Non ci interessa seguire l’operato degli “organi giudiziari” che, soprattutto quando si tratta di reprimere le lotte sociali, si siedono sempre dalla parte del “più forte”, quello che più appare evidente in tutta questa “kafkiana storia” è che la lotta paga (non in termini economici sia chiaro) e non ci sono tribunali, Molino o ufficiali giudiziari che possano frapporsi tra chi vede negarsi un diritto fondamentale come la casa e chi della lotta ha fatto una scelta di vita quotidiana.

Staremo a vedere come andrà a finire, per adesso Said e la sua famiglia continuano ad avere un tetto sopra la testa mentre Molino, calcolatrice alla mano, fa i conti con i suoi mancati guadagni.