Cosa significa essere sfrattati dal palazzinaro Giorgio Molino

molino_infameIl 14 ottobre, quasi un mese fa, è stato eseguito lo sfratto a sorpresa di Said nel quartiere Vanchiglia. La violenza è stata inaudita, come già raccontato l’appartamento è stato distrutto alla famiglia sono stati sequestrati gran parte dei mobili e diversa roba, caricata sui furgoni degli “uomini” di Molino e portata in direzione “chissà dove”, senza alcuna possibilità di fare un inventario delle cose, né foto.
Dopo la prepotenza mafiosa con cui lo sfratto è stato eseguito, la violenza da parte del famoso “ras delle soffitte” continua.
I casi di persone sfrattate da Molino che hanno perso per sempre gran parte delle proprie cose sono tanti, ci sono diverse testimonianze anche da parte di alcuni occupanti dello Spazio Popolare Neruda; e nel caso qualcuno cerchi di recuperarle si trova davanti a ricatti, mobili spaccati, e parecchia roba persa. Qui di seguito riportiamo la testimonianza di uno dei membri del collettivo PrendoCasa che ha accompagnato Said nell’impresa del recupero mobili.
“L’appuntamento è il pomeriggio appena dopo pranzo, chi scrive oltre che membro del collettivo PrendoCasa è amico di Said, quindi tanti gli interrogativi e la speranza di ritrovare tutta la sua roba quanto più integra possibile dopo lo sfratto violento di qualche giorno prima.
Zero ufficiale giudiziario, zero possibilità di fare un inventario e delle foto alla propria roba, zero possibilità di sapere dove andassero. E da qui ripartiamo, perché se a detta degli “uomini” di Molino la roba di Said è stata portata presso un loro deposito (e domandiamoci quanta roba ha di altra gente per possedere uno o più depositi), non ci viene dato alcun indirizzo dove andare a recuperarla ma più un generico “vediamoci su Corso Principe Oddone nei pressi di una delle sedi delle agenzie di Molino”.
Arriviamo, telefoniamo all’incaricato che esce da solo e con un copione apparentemente già scritto (o forse è solo ripetizione di scene troppe volte vissute) saluta confessandosi addolorato per quanto avvenuto, “uno sfratto violento, è vero che non pagava da tanti mesi, però è vero anche che ha tre bambini piccoli, ma sappiate che sono dalla vostra parte”. Col vomito che sale gli diciamo di tagliare con i finti convenevoli e di voler prendere la roba per andarcene alla svelta. E qui si scopre subito il motivo della “lisciata di pelo” di poco fa. “Ho un modulo che vi chiederei di firmarmi in cui c’è scritto che il signore ha recuperato tutta la sua roba ed esonera la proprietà da tutte le responsabilità, senza il quale non vi possiamo dare la roba“. Qui il vomito si trasforma in rabbia perchè non solo la violenza, i danni ma anche i ricatti.
Se Said rivuole la sua roba deve firmare un modulo che esonera Molino da ogni responsabilità altrimenti il furgone con la sua roba non arriverà mai. Dopo minuti di tira e molla tra la nostra incazzatura e la sua faccia pulita riusciamo a convincerlo che quantomeno dovremmo vedere la roba per dire che c’è tutta.
Allora arriva il furgone che sempre in mezzo alla strada si accosta a noi e sul quale è caricata la roba di Said. Al primo colpo d’occhio per lui è chiaro che manca qualcosa: alcuni giochi dei bimbi, due biciclette, per non parlare di tutti i mobili spaccati. Gli operai sul furgone sono alcuni degli stessi che hanno eseguito lo sfratto e dicono di non avere più niente, allora noi chiediamo perchè siamo in mezzo alla strada e non al loro deposito a verificare cosa effettivamente c’è e anche questo ci viene negato. Ed allora nuovamente incazzatura, battibecchi, minacce di azioni legali (tanto che gli frega, è tutto pagato ed anche tutti pagati tanto da poter dormire sonni tranquilli).
Decidiamo di sentire il nostro avvocato che, fortunatamente, riesce a mettersi in contatto con suo corrispettivo e dopo più di un’ora in strada riusciamo a strappare la possibilità di scrivere un nuovo documento in cui si affermava unicamente che recuperavamo la roba che avremmo elencato, recuperare mobili sfondati non sapevamo che farne. Era un nostro diritto riprenderci ciò che ci apparteneva, ed anche questo per poterlo mantenere abbiamo dovuto strapparglielo dalle mani.
Ed allora via: furgoni in strada, mobili in terra che fanno avanti ed indietro tra le macchine che lente scorrono tra noi scriviamo la lista di ciò che si è salvato dai barbari, ovvero più o meno la metà di ciò che il furgone conteneva.
Tra un mobile e l’altro proviamo a strappare due chiacchiere tra lavoratori:
Perché fate questo lavoro?
Perché Molino ci paga!
Ma vi rendete conto di fare robe bruttissime? Se foste voi al posto di said?
Eh lo sappiamo, ma siamo dalla vostra parte! Credetemi!
No, non credo. Noi non buttiamo la gente in mezzo la strada per 50 euro la giornata.
 … silenzio…
Quanti ne eseguite al mese?
In media sui 7, ma di questi a sorpresa di meno perchè la gente se ne va prima.
Certo, se gli sfondate tutto, non gli ridate la roba ed eseguite tutto illegalmente senza ufficiale giudiziario ed avvocato…
Eh ma è un 610! Sfratto a sorpresa! Mica può avere tutti questi diritti…
Inutile continuare. Tanto, sono già “dalla nostra parte”. Finiamo di caricare la roba ed andiamo via. Non meritano nemmeno la nostra stretta di mano di saluto.”

Distruggono un appartamento per eseguire uno sfratto. Scontri su corso Regina Margherita

Succede a Torino che uno sfratto si trasformi in un momento di resistenza collettiva.

said_casa_presidioSaid, la moglie e i loro tre figli abitavano da anni in corso regina margherita, al n. 51. Succede che, un po’ per la crisi, un po’ per il lavoro che non c’è, si rinunci a pagare un affitto esoso per continuare a mangiare. Tanto più se si vive in uno dei tanti alloggi del palazzinaro torinese Molino, proprietario di stabili fatiscenti perlopiù affittati ad immigrati, più ricattabili e con uno scarso rapporto di forze a loro favore, o a studenti fuori-sede che vivono quegli alloggi come abitazioni di passaggio.

Dopo numerosi rinvii, Said si è visto comminare un 610, infame dispositivo che permette agli ufficiali giudiziari di eseguire in qualsiasi momento, senza preavviso. Said questa mattina è uscito per fare la spesa, i figli erano a scuola, la moglie impegnata in altre incombenze. Gli sgherri del palazzinaro – noto anche come “il Ras delle soffitte” – gli hanno cambiato la serratura e, non contenti, hanno distrutto sanitari e pavimentazione per impedire la rioccupazione dell’alloggio.

said_casa_devastataDa quel momento si è formato un cospicuo presidio che dal primo pomeriggio si è andato via via ingrandendosi, col sopraggiungere di compagni e compagne del vicino centro sociale askatasuna, del comitato di quartiere, genitori dei compagni di classe dei figli di Said, abitanti del quartiere, solidali di passaggio.

E’ stato subito evidente che nessuna valida alternativa veniva posta sul tappeto: una imbelle Questura, scavalcata nel solerte e infame lavoro di sfratto dai tirapiedi-sgherri del palazzinaro – si limitava a proporre come ospitalità il Sermig – centro di accoglienza per poveri legato alla Chiesa. La famigia non intendeva accettare questa elemosina, gettata lì per disfarsi di una situazione imbarazzante e scandalosa. Perché si è trattato non solo di uno sfratto schifoso, come tutti, ma di uno sfratto eseguito da squadracce pagate dal boss Molino!

A giudicare da come si sono svolte le cose non si capisce se sia stata peggiore la collusione imbarazzata di poliziotti, carabinieri e digos o l’incapacità politica di trovare una soluzione decente da parte dell’amministrazione dei 5 Stelle… Certo, pare che la Questura abbia posto in essere in questa mattina una sequenza di sfratti del medesimo tenore. Con l’obiettivo, già altre volte osservato, di accumularli l’ultimo giorno della settimana per impedire di trovare soluzioni decenti nel weekend. Resta il fatto che chi è salito in Sala Rossa coi voti consistenti delle periferie perché non ne poteva più del modello-Fassino deve sforzarsi di segnare una discontinuità anche nelle politiche sociali. E invece, si continua ad osservare un misto di incapacità e poco coraggio! Il problema, specifichiamo, non è “trovare soluzioni”, il problema è iniziare a rompere le catene di potere, interessi e complicità – tra cui l’immobiliare – su cui si è retto negli utimi due decenni il Sistema-Torino tragato PD!

I Presidianti e solidali accorsi non hanno comunque accettato di restare con le mani in mano e dopo aver bloccato i furgoni pieni dei mobili della famiglia di Said hanno cominciato a riportarli nell’appartamento per ricostruirlo. Per oltre un’ora la Polizia è stata a guardare.. poi, forse sollecitati dal palazzinaro – la proprietà privata è sacra nella nostra società – hanno iniziato a caricare pesantemente l’assembramento per liberare l’entrata dell’alloggio e sono susseguiti alcuni minuti di duri scontri nelle strade antistanti.

Al momento, l’angolo del centro sociale askatasuna, distante due soli numeri civici dal palazzo in cui è avvenuto lo sgombero, è protetto da una barricata e da decine di compagni e compagne. La famiglia e i solidali ancora nell’alloggio sono stati fatti uscire e, dopo l’ennesima inicua proposta “di soluzione”, la famiglia ha contnuato a rifiutare ed è ora ospitata da una signora italiana residente nel palazzo vicino.

Dopo quanto avvenuto stasera è chiaro che questa storia non finisce qui!

Domani, sabato 15 ottobre, alle h 16 è stata convocata una conferenza stampa sul marciapiede antistante casa di Said, in corso regina margherita 51

Sistema Torino: la politica e le speculazioni

graficaE’ datato 4 febbraio il blitz della guardia di finanza che ha coinvolto le associazioni riunite nel progetto “La città possibile”: Valdocco, Aizo, Terra del Fuoco, Stranaidea, Liberi tutti e la Croce rossa. Fra gli indagati compare anche il noto Giorgio Molino, il “ras delle soffitte”, palazzinaro che possiede circa 1850 immobili tra Torino e provincia. Le cooperative interessate dal blitz si sono occupate del progetto di sgombero e di ricollocamento delle famiglie del campo rom di Lungo Stura Lazio.

Il reato contestato alla cooperativa Valdocco e all’associazione Terra del Fuoco è di turbativa d’asta, in quanto hanno sistemato le famiglie rom in alcuni appartamenti di corso Vigevano sprovvisti dei requisiti di abitabilità, mentre per Molino si parla di abuso edilizio.

L’inchiesta nasce da parte del pm Padalino, secondo un esposto portato in consiglio comunale da Maurizio Marrone (fdi). Il Comune di Torino si costituisce parte lesa.

Ecco tutti gli ingredienti di un’inchiesta in odor di campagna elettorale, che non ha nulla a che vedere (stranamente!) con l’integrazione, il diritto all’abitare e il poter vivere una vita dignitosa di centinaia di famiglie che in poco tempo si sono trovate senza un tetto e oggetto di un contenzioso di cui non avevano certo nessun interesse.

Il fatto che il Comune di Torino, rappresentato dal sindaco Fassino, si sia costituito parte lesa in questo procedimento è ai limiti del ridicolo, ma si inserisce perfettamente nella strategia del PD per cercare di strappare qualche voto in più alle vicinissime elezioni comunali. Il Comune si vanta di essere l’unico beneficiario dei fondi stanziati per “l’emergenza rom” che sia riuscito a sgomberare un campo nomadi e cerca di risultare vittima delle cooperative e associazioni che hanno fatto il lavoro sporco per lui.

Strano però che il Comune si sia dimenticato dei numerosi affari firmati col signor Molino, unico immobiliarista che per ripulirsi la coscienza (o meglio la fedina penale) si prende in carico tutte le patate bollenti del sindaco Fassino: oltre alla questione rom, il palazzinaro si è occupato di sistemare i rifugiati nel suo housing sociale di via Aquila 21 (180 rifugiati in un luogo che ha la capienza di massimo 100 persone), ha stipulato un’ampia e proficua collaborazione con LO.CA.RE., uno degli organi dell’assessorato alla casa che si occupa di pagare per alcuni mesi l’affitto al proprietario di casa se si prende in carico una famiglia in emergenza abitativa.

Sembra inoltre veramente incredibile che la vicesindaco Tisi abbia dichiarato di essere assolutamente ignara della reale destinazione d’uso degli immobili di Corso Vigevano, in quanto erano già stati messi sotto sequestro nell’aprile 2012 proprio per essere stati “ristrutturati ad uso abitativo” e messi in affito senza alcun progetto di riconversione o cambio di destinazione d’uso.

Il gioco politico risulta così ancora più chiaro. Il blocco di potere PD e le speculazioni in città vanno a braccetto; ma in piena campagna elettorale conviene sganciarsi dalle polemiche e cercare di rifarsi un’immagine. Il blitz della finanza viene usato in modo pretestuoso dall’apparato PD per cercare di svincolarsi dalle responsabilità comuni alle associazioni e cooperative sotto accusa, le quali non si sarebbero accertate, pur di conseguire gli obiettivi progettuali previsti dall’appalto indetto dal Comune, dei requisiti degli immobili per il progetto “La città possibile” concessi dal solito affarista e speculatore Molino.

Inoltre val la pena ricordare che Terra del Fuoco è un’associazione legata fortemente a SEL – che prima del divorzio era in maggioranza PD – e che oggi con Airaudo corre per la carica da sindaco…

Ecco rivelata quindi la strumentalità politica con cui il “sistema Torino” tratta i problemi reali di questa città, senza minimamente risolverli. Così come in questo caso specifico, la gravissima emergenza abitativa della nostra città viene tamponata attraverso mille piccoli espedienti da campagna elettorale, ma mai si prendono provvedimenti atti a risolverla seriamente. Se da un lato si punta il dito contro i progetti speculativi del Comune (il progetto “La città possibile” ha un costo di 5 milioni di euro) dall’altro lato, si evidenzia come per personaggi come Giorgio Molino, le istituzioni si danno da fare per legittimarlo sul piano pubblico e di gestione del welfare cittadino, pagando i sui “servizi” con denaro pubblico.

Ci chiediamo infine come sia possibile che, sin dal 2013 all’inizio di questa faccenda, le istituzioni, deputate a risolvere il postsgombero del campo rom, non si siano poste delle domande rispetto alle modalità e le condizioni in cui si trovavano ad operare. Ultima tesserina del puzzle di questa vicenda è Marrone, che nasconde i suoi miseri fini elettorali e la sua retorica fascista e razzista, sotto il mantello di paladino della giustizia, in nome di una legalità “disinteressata” che a noi veste sempre più stretta.