Torino: terza giornata conclusiva di resistenza agli fratti

foto.resizedLe tre giornate di resistenza agli sfratti si concludono oggi ottenendo un ulteriore rinvio per Alì e la sua famiglia. Alì, lavoratore egiziano del Catt che si è battuto durante le lotte per migliorare le condizioni di lavoro all’interno del consorzio alimentare, vive nell’alloggio di C.so Svizzera 72 con suo fratello, le rispettive mogli e tre bambini. L’alloggio è stato pignorato dalla banca perché la sua famiglia non era più in grado di garantire il pagamento del mutuo. Le famiglie, insieme al nutrito picchetto antisfratto, sono riuscite ad ottenere un rinvio fino a settembre. Come per le precedenti giornate di resistenza, l’ufficiale giudiziario non si è presentato davanti all’abitazione di Alì ma ha preferito depositare direttamente negli uffici preposti il suddetto rinvio; in questi giorni si capirà la data esatta della proroga per poter così nuovamente organizzare le resistenze nel mese di settembre.

Questo tipo di approccio degli ufficiali giudiziari non è nuovo a Torino: nei mesi scorsi, una serie di resistenze allo sfratto ha ottenuto rinvii come quello di Alì. Questo tipo di gestione degli sfratti in città sembra sia diventata la norma. Se non si intende intervenire con la forza pubblica per effettuare lo sfratto, la questura preferisce, in concerto con il proprietario, evitare qualsiasi confronto pubblico fra l’ufficiale giudiziario e il picchetto resistente. Questo succede perché molto probabilmente oltre al periodo estivo, le istituzioni locali temono che la pratica di resistenza allo sfratto diventi strumento comune per ogni tipo di occasione di sfratto in città mettendo in seria difficoltà la controparte. La questura, quindi, evitando che l’ufficiale giudiziario si presenti, cerca di dare meno visibilità possibile alle giornate di resistenza e si augura che il fenomeno di opposizione agli sfratti non si continui a generalizzare fra le famiglie in difficoltà abitativa.

Con la giornata di oggi, dicevamo, chiudiamo con le resistenze agli sfratti in occasione dell’estate (in agosto, infatti, gli sfratti subiscono uno stop temporaneo in vista della chiusura degli uffici preposti) rimandando l’ulteriore impegno con le famiglie resistenti a settembre. Il dato che ci sembra debba essere valorizzato, oltre hai risultati ottenuti nelle tre giornate di resistenza, è la maggior partecipazione delle famiglie che si aggiungono a quelle che già praticano la resistenza agli sfratti. Questo non solo perché permette di allargare un fronte di contrapposizione reale con le controparti in gioco – proprietà e questura – ma anche e sopratutto perché permette di attivare attori sociali che fra migranti e italiani cominciano a formare un corpo unico di lotta per la casa, disarticolando i discorsi di becero populismo che Lega, Casapound e altri partiti reazionari come Fratelli d’Italia, invece, vorrebbero alimentare fra loro scatenando la cosiddetta guerra fra poveri.

Oggi le fasce impoverite dalla crisi iniziano pian piano a considerarsi una cosa sola e la lotta per la casa diventa strumento di aggregazione sociale e di forza reale per bisogni comuni. Continuare in questa direzione significa anche ostacolare le politiche xenofobe e razziste di una destra reazionaria e fascista.

La casa è un diritto, resistere un dovere

Elena e suo marito vivono nella loro casa da 2 anni, e il proprietario possiede altri immobili.

La storia di Elena è simile a quella di tante altre famiglie ormai corrose dalla crisi e che a malapena riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. Nonostante siano incappati nella macchina infernale dello sfratto hanno provato a rivolgersi alle “istituzioni” facendo richiesta di emergenza abitativa, ma la risposta è stata negativa perché il loro contratto d’affitto è ad uso “commerciale” e non abitativo! Il proprietario ha fatto bene i suoi calcoli quando ha fatto firmare il contratto, visto che il canone in questo modo poteva essere molto più alto rispetto ad un affitto ad uso abitativo, infatti Elena si è trovata a dover pagare tra affitto e spese 750 euro al mese per una casa che si trova ai limiti della “sicurezza”, con perdite e muri disastrati. Ma questo al proprietario poco è importato, l’unica sua preoccupazione è stata quella di rivolgersi al tribunale per chiedere lo sfratto quando Elena non ha più potuto sostenere l”esorbitante affitto.

Ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che Elena si trova al 7° mese di gravidanza e, a causa dello stress dovuto all’imminente sfratto e alle condizioni precarie della casa che in questo periodo sono ancora più accentuate dall’inverno, ha accusato diversi problemi di salute tanto che il suo medico le ha consigliato di passare questi ultimi due mesi che le rimangono per giungere al termine della gravidanza, in una condizione di assoluto riposo e senza ulteriori sballottamenti che potrebbero causarle la perdita del bambino!

Per tutto questo noi oggi siamo qui con Elena e suo marito!

Siamo stufi di continuare a vedere palazzinari e speculatori senza scrupoli che si permettono di giocare con la dignità della gente attaccandosi al “bisogno” di un tetto, avvallati dal silenzio delle istituzioni e dell’apparato politico tutto che è incapace di garantire il diritto all’abitare e lo continua a trattare come un mero problema di ordine pubblico

Di fronte a tutto questo noi siamo convinti che l’unica risposta sia la resistenza!

Dalle prime ore del mattino saremo a fianco della famiglia di Elena per cercare di evitare che l’ennesimo atto di violenza venga nuovamente commesso. Quindi, invitiamo tutte e tutti a partecipare alla resistenza allo sfratto in via miglietti 13

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