Le priorità di Fassino: consegnare la città in mano ai privati

le mani sulla cittàIl nuovo piano per rilanciare Torino sembra pronto o meglio verrà presentato in giunta comunale fra dieci giorni dall’assessore all’urbanistica Stefano Lo Russo. Il “Programma della trasformazione urbana” vuol essere un documento corposo fra una serie di investimenti e operazioni immobiliari. La priorità per il sindaco Fassino è attrarre nuovi capitali in città per attivare un nuovo piano urbanistico attraverso capitali privati. La grande idea, in realtà il territorio urbano è da sempre luogo di nuovi settori di investimenti di capitale e profitto, nasce da un incontro con i boss del mattone tenutosi a Santa Margherita Ligure durante il Forum Scenari Immobiliari. In ballo ci sono diverse aree della città di Torino: dalla Continassa fino all’ ex area Thyssen in corso Romania. In sintesi, il comune di Torino per far cassa (senza tra l’altro redistribuire sul territorio la ricchezza accumulata, in termini di servizi pubblici e/o sociali, sempre più ridotti all’osso) vuole dare in concessione a privati grosse fette di territorio pubblico. Questo già accade, per esempio, per il parcheggio sotterraneo in corso Marconi sul quale esiste un comitato “Salviamo corso Marconi” il quale si oppone alla devastazione dello storico corso, evidenziando i grossi limiti del progetto che, oltre ad essere utile solo a chi può permettersi l’acquisto di un posto auto perché privato (ininfluenti quindi al fine dell’ampliamento dei parcheggi pubblici) intaccherebbe falde acquifere con annessi grossi rischi strutturali per case e palazzi, dovuti alla perforatura del sottosuolo attraverso l’uso di una talpa gigante (oltre al disagio creato da anni di cantiere costruito proprio vicino ad un asilo).

Ovviamente la giunta comunale e il sindaco di Torino in testa hanno ritenuto inutili e faziose le obiezioni esposte dalla gente del quartiere di San Salvario, perché si sa i profitti sono sempre meglio dei benefici di un’opera…

Ma torniamo al “Programma della trasformazione urbana” e alla priorità del sindaco Fassino…

Ci viene da chiedere se non sarebbero altre le priorità da destinare alla città più indebitata d’Italia e con il più alto tasso di sfratti per morosità che costringe molte famiglie a vivere in auto (per chi ce l’ha) o al parco sulle panchine. Basta leggere la cronaca per rendersi conto di quante famiglie e/o singoli vivono il disagio economico e abitativo, ormai trasformato in vera emergenza sulla quale non vi sono soluzioni che il palazzo di città sia in grado di dare. Molte sono le tendopoli che famiglie di immigrati ed italiani fanno sotto il comune passando inosservate dai media e sgomberate appena possibile per non destare una brutta immagine della città, indifferente alle questioni sociali che dovrebbero essere le vere priorità delle istituzioni.

Consegnare la città in mano ai privati, i quali ancor meno del comune si occuperanno dei disagi della popolazione, sottraendo risorse pubbliche, significa essere ciechi di fronte alle emergenze sociali che la città vive. Se le condizioni sono queste sta a noi, disoccupati, precari, studenti, esodati, far sgranare gli occhi ad una amministrazione sorda e cieca di fronte alla questione del diritto all’abitare, rompendo il silenzio e aumentando le occupazioni in città, mobilitandoci insieme a coloro che non vogliono più subire diktat politici ed economici, ed essere noi a dettare le priorità per migliorare le nostre condizioni di vita.

Pisa, rinviato sfratto: si apre una stagione di lotta sulla casa

sfratto pisaQuesta mattina è stato difeso dal Progetto Prendocasa l’ennesimo sfratto, in una situazione in cui non sono mancati momenti di tensione con le forze dell’ordine giunte alle 6 di mattina all’abitazione della famiglia.

Inoltre gli assistenti sociali, duramente attaccati dalle famiglie sotto sfratto pochi mesi fa con le occupazioni degli edifici pubblici in svendita, continuano a dimostrare che non hanno nessuna volontà di agire nella direzione di risolvere il problema che accomuna centinaia di famiglie.

La storia è quella di Islam, lavoratore delle bancarelle del Duomo e la sua famiglia, alle prese con lo sfratto per morosità, dovuto in parte dai pignoramenti della merce in vendita perchè indebitato di 5000 Euro, giunto al sesto tentativo di accesso da parte dell’ufficiale giudiziario. Già alle 7 di mattina mentre alcune famiglie con lo sfratto e altri solidali giungevano al picchetto ci sono stati i primi momenti accesi con la polizia che si è fatta trovare davanti al portone, decisi a buttare in mezzo alla strada la famiglia. Dopo qualche minuto il picchetto anti-sfratto si è fatto molto numeroso e ha acquistato forza tanto da arrivare a far rinviare lo sfratto al 31 ottobre. L’emergenza abitativa continua a dilagare nella città di Pisa: soltanto nei mesi di settembre e ottobre ci saranno centinaia di sfratti in tutta la città soprattutto nei quartieri popolari di Cisanello, Cep e S.Ermete. Proprio da questi quartieri giungono le notizie di come l’amministrazione comunale sta gestendo l’emergenza sfratti: di recente, gli alloggi popolari dell’Apes sfitti invece di essere assegnati vengono blindate le porte o distrutti gli impianti interni e i sanitari, mosse escogitate dal Comune per prevenire le occupazioni in bianco che si stanno moltiplicando in diverse zone della periferia, continuando così il favorimento delle evidenti speculazioni edilizie.

Mentre crisi, sfratti, licenziamenti e disoccupazione diventano sempre di più la normalità che vivono quotidianamente tantissime persone e le Istituzioni continuano a dimostrare il totale distacco con gli strati sociali impoveriti, forme di resistenza come lo sfratto di stamani e nuove occupazioni sociali nei quartieri, sono le fondamentali basi da cui partire per massificare il movimento contro gli sfratti. La partecipazione diretta di chi ha lo sfratto durante i picchetti delle altre famiglie sta dimostrando che la paura e la vergogna di vivere costantemente in uno stato di insicurezza economica e sociale viene meno soltanto con la lotta contro l’arroganza di assistenti sociali, ufficiale giudiziari e amministrazioni comunali.

da infoaut

 

Nuova occupazione a Torino, 10 famiglie prendono casa

prendo_casaLa battaglia contro gli sfratti e per il diritto all’abitare ha segnato un nuovo importante risultato quest’oggi a Torino con la nascita di una nuova occupazione in corso Traiano 128, nel quartiere di Mirafiori. Si tratta di una palazzina di proprietà di un’azienda della grande distribuzione rimasta abbandonata ormai da alcuni anni.

L’iniziativa è stata portata avanti da alcune famiglie sfrattate affiancate dallo Sportello per il diritto alla casa Zona San Paolo, dal collettivo Prendocasa e dal comitato di quartiere di San Salvario e si pone in continuità con il corteo di alcune settimane fa che ha avviato un percorso cittadino per il diritto all’abitare e in cui il problema della casa è stato posto con forza di fronte a delle istituzioni ormai da tempo immobili e incapaci di dare risposte agli effetti della crisi.

Ad aver preso casa con l’occupazione di oggi sono ben 10 famiglie di italiani, migranti e rifugiati, tutte accomunate dalla volontà di mobilitarsi assieme per riprendersi il diritto ad un tetto sopra la testa.

Da segnalare l’atteggiamento nervoso delle forze dell’ordine che, poco dopo l’ingresso nella palazzina da parte delle famiglie e dei comitati, ha fatto giungere sul posto due volanti che hanno tentato di trattenere due compagni impegnati nella lotta per la casa e di requisire alcuni strumenti da lavoro utilizzati poco prima per l’ingresso nell’edificio. Di fronte alla reazione e alla determinazione delle persone presenti gli agenti hanno però abbandonato in fretta il tentativo e si sono allontanati.

Nel frattempo sono iniziati i lavori di pulizia e ristrutturazione all’interno dello stabile per renderlo immediatamente disponibile all’abitazione.

In una città come Torino in cui, con la crisi, la questione abitativa ha assunto da tempo i tratti di una vera e propria emergenza e in cui l’amministrazione locale si rifiuta di avviare la moratoria sugli sfratti che da più parti viene richiesta per dare il segnale di un impegno concreto su questo fronte, una decina di famiglie ha deciso oggi di prendersi autonomamente le risposte ai propri bisogni che il Comune non è in grado di dare.

#riprendiamocilacittà!

Torino. #15Giugno, riprendiamoci la città!

#15giugnoCorteo contro sfratti e speculazioni, per il diritto all’abitare!

Contro la crisi e le politiche di austerità, riprendiamoci la città! La dignità ne si sfratta ne si sgombera!

#15GiugnoRiprendiamociLaCittà

Nel corso dell’ultimo paio d’anni sono cresciuti fino a diventare appuntamenti quasi quotidiani i picchetti e le iniziative contro gli sfratti e i pignoramenti. Si sono moltiplicate le nuove occupazioni abitative che hanno coinvolto e visto protagonisti nuclei familiari, anziani soli, giovani precar*, student* e rifugiati politici espulsi dal circuito del business dell’emergenza nord Africa.

D’altronde le cifre della “questione casa” nella nostra città parlano da sole: poco meno di 4mila le persone sfrattate senza una casa, poco meno di 50mila gli appartamenti vuoti nella nostra città; circa un migliaio le case popolari che potrebbero essere sistemate e assegnate, invece che lasciate vuote, protette da serrature sempre più blindate che la polizia municipale installa su ordine di ATC.
Le istituzioni, primo fra tutti il Comune di Torino, non perdono occasione per dimostrare ancora una volta la loro inconsistenza: parlano di legalità per non assumersi le proprie responsabilità politiche, e ogni volta che famiglie, uomini, donne e bambini senza casa si impossessano di un edificio abbandonato, gridano allo scandalo e invocano soluzioni di ordine pubblico. Intanto lasciano a marcire l’edilizia popolare, e tramite società di cartolarizzazione e fondi immobiliari speculativi il Comune continua a vendersi parti sempre più considerevoli di patrimonio immobiliare pubblico, per coprire la voragine che il grande evento olimpico ha aperto nelle casse comunali. Crescono disoccupazione e precarietà, e accettare un lavoro a qualsiasi condizione è per molt* un ricatto quotidiano. Anche l’accordo siglato pochi giorni fa dai sindacati confederali appare piegato ad una logica di co-gestione della crisi e quindi ad una volontà di subordinare gli interessi delle classi precarie e subalterne a quelli del capitale e dell’impresa.

A questo si oppongono le lotte per il diritto all’abitare, alla casa, alla difesa dei beni comuni, sempre più protagoniste in diversi quartieri della nostra città  e che sono uno dei pochi argini alla crisi economica che stanno pagando solo quei settori sociali subalterni che certamente non hanno la responsabilità di averla prodotta. Sono lotte importanti perché partendo dall’auto-organizzazione rappresentano una risposta concreta alla precarietà e a quella difficoltà ormai diffusa di arrivare alla fine del mese. Attraverso l’occupazione di stabili pubblici e privati, le lotte per il diritto all’abitare focalizzano il conflitto sul terreno della riappropriazione diretta, dimostrando una possibilità reale di liberare la vita dalle politiche di austerità e di riconquistare parte del reddito di cui veniamo quotidianamente derubati.

Anche nella nostra città come nel resto del paese ci troviamo a dover fronteggiare politiche che hanno favorito soltanto gli interessi dei grandi proprietari immobiliari, con un’edilizia residenziale pubblica ridotta all’osso, con la svendita di case e palazzine pubblici, con le truffe del cosiddetto housing sociale.

Tutto questo mentre l’intera gestione del territorio e dell’urbanistica provoca ogni giorno un vero e proprio saccheggio della città, dove gli spazi pubblici sono sempre di meno e dove i grandi gruppi immobiliari vanno a braccetto con i soliti Banca Intesa e Unicredit per continuare a costruire case che quasi nessuno avrà i soldi per comprare. La salvaguardia del territorio spetta a noi opponendoci alla cementificazione selvaggia che sottrae territorio per dare spazio ad opere inutili che invece di migliorare le nostre vite le peggiorano.

Crediamo dunque che le questioni sul piatto siano molte, e che le vicende degli ultimi mesi impongano di allargare ragionamenti e prospettive per mettere in comune pratiche di lotta e resistenza per il diritto alla casa insieme alle varie vertenze che prendono vita nella nostra città.

Spazi Occupati Zona San Paolo, Pietra Alta Occupata, Ex Moi Occupata – Comitato di Solidarietà, Verdi15Occupata, Sportello Casa Zona San Salvario, Progetto PrendoCasa To, ASIA Usb To,  Movimento Rifugiati e Migranti, USB To, CUB To, Confederazione Cobas To, SICobas To, Comitato Cantieristi, Comitato SniaRischiosa, Operatori Sociali Non Dormienti, Riscossa Proletaria, Comitato quartiere Vanchiglia, Coordinamento Asti-Est e famiglie occupanti, Progetto PrendoCasa Chieri, CSOA Gabrio, Network Antagonista Torino, PRC-RifondazioneComunista, Giovani Comunisti, CSP Partito Comunista, Sinistra Critica Torino

Per adesioni: riprendiamoci_lacitt@yahoo.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Sabato 15 Giugno 2013 – Ore 16 – Corso Marconi ang. Via Madama Cristina – Torino

* Contro sgomberi e pignoramenti

* Blocco degli sfratti e affitti calmierati

* Requisizione degli alloggi sfitti

* Per un ritorno all’edilizia residenziale pubblica (ERP)

* Contro le speculazioni edilizie e la svendita del patrimonio pubblico

* Per la vivibilità dei territori

* In difesa delle case occupate

*Per il diritto alla residenza negli stabili occupati

*Reddito per tutti e tutte

Per un corteo cittadino per il diritto alla casa, contro sfratti e speculazioni

Nel corso dell’ultimo paio d’anni sono cresciuti fino a diventare appuntamenti quasi quotidiani i picchetti e le iniziative contro gli sfratti e i pignoramenti. Si sono moltiplicate le nuove occupazioni abitative che hanno coinvolto e visto protagonisti nuclei familiari, anziani soli, giovani precar*, student* e rifugiati politici espulsi dal circuito del business dell’emergenza nord Africa.

D’altronde le cifre della “questione casa” nella nostra città parlano da sole: poco meno di 4mila le persone sfrattate senza una casa, poco meno di 50mila gli appartamenti vuoti nella nostra città; circa un migliaio le case popolari che potrebbero essere sistemate e assegnate, invece che lasciate vuote, protette da serrature sempre più blindate che la polizia municipale installa su ordine di ATC.

Le istituzioni, primo fra tutti il Comune di Torino, non perdono occasione per dimostrare ancora una volta la loro inconsistenza: parlano di legalità per non assumersi le proprie responsabilità politiche, e ogni volta che famiglie, uomini, donne e bambini senza casa si impossessano di un edificio abbandonato, gridano allo scandalo e invocano soluzioni di ordine pubblico. Intanto lasciano a marcire l’edilizia popolare, e tramite società di cartolarizzazione e fondi immobiliari speculativi il Comune continua a vendersi parti sempre più considerevoli di patrimonio immobiliare pubblico, per coprire la voragine che il grande evento olimpico ha aperto nelle casse comunali.

Queste lotte sempre più protagoniste in diversi quartieri della nostra città sono uno dei pochi argini alla crisi economica che stanno pagando solo quei settori sociali subalterni che certamente non hanno la responsabilità di averla prodotta. Sono lotte importanti perché partendo dall’auto-organizzazione rappresentano una risposta concreta alla precarietà e a quella difficoltà ormai diffusa di arrivare alla fine del mese. E certo non si tratta di lotte esclusivamente rivendicative: attraverso l’occupazione di stabili pubblici e privati, le lotte per il diritto all’abitare focalizzano il conflitto sul terreno della riappropriazione diretta, dimostrando una possibilità reale di liberare la vita dalle politiche di austerità e di riconquistare parte del reddito di cui veniamo quotidianamente derubati.

Per questo le occupazioni sono fastidiose per chi governa questa città: perché con la loro semplice presenza testimoniano che esiste la possibilità di organizzarsi, mettere in piedi una rete di solidarietà, opporsi concretamente agli sfratti, e garantirsi collettivamente una casa in cui vivere. Perché la loro presenza ostacola progetti speculativi, e la loro esistenza fa emergere con forza e rabbia la questione della casa a Torino.

Anche nella nostra città come nel resto del paese ci troviamo a dover fronteggiare politiche che hanno favorito soltanto gli interessi dei grandi proprietari immobiliari, con un’edilizia residenziale pubblica ridotta all’osso, con la svendita di case e palazzine pubblici, con le truffe del cosiddetto housing sociale.

Tutto questo mentre l’intera gestione del territorio e dell’urbanistica provoca ogni giorno un vero e proprio saccheggio della città, dove gli spazi pubblici sono sempre di meno e dove i grandi gruppi immobiliari vanno a braccetto con i soliti Banca Intesa e Unicredit per continuare a costruire case che quasi nessuno avrà i soldi per comprare. La salvaguardia del territorio spetta a noi opponendoci alla cementificazione selvaggia che sottrae territorio per dare spazio ad opere inutili che invece di migliorare le nostre vite le peggiorano.

 Crediamo dunque che le questioni sul piatto siano molte, e che le vicende degli ultimi mesi impongano di allargare ragionamenti e prospettive per mettere in comune pratiche di lotta e resistenza per il diritto alla casa insieme alle varie vertenze che prendono vita nella nostra città.

 Per questi motivi proponiamo un incontro pubblico di avvicinamento al corteo cittadino del 15 giugno per il diritto alla casa e all’abitare, contro sgomberi e pignoramenti, blocco degli sfratti e affitti calmierati, per un ritorno all’edilizia residenziale pubblica (ERP), contro le speculazioni edilizie e la svendita del patrimonio pubblico in difesa delle case occupate, per il diritto alla residenza negli stabili occupati.

Lunedì 3 giugno ore 21 al Centro di Incontro San Salvario in via Lombroso 16 Torino

Spazi Occupati zona San Paolo – Sportello casa zona San Salvario – Progetto PrendocasaTorino – USB – Verdi15Occupata – ExMoi – Comitato di Solidarietà con Rifugiati e Migranti – Pietra Alta Occupata – Movimento Migranti Rifugiati – Asia Torino

Contro i pignoramenti delle banche, resistiamo agli sfratti!

sfratto_falchera00 Ancora una giornata di resistenza agli sfratti quest’oggi a Torino: per questa mattina era infatti prevista l’esecuzione dello sfratto di una famiglia residente nel quartiere Falchera.

La vicenda di questa famiglia è già di per sé esemplificativa della situazione in cui la crisi e la speculazione hanno trascinato moltissime persone, soprattutto in una città come Torino in cui il numero di sfratti è tra i più alti: la casa era infatti stata acquistata con un mutuo con la banca Mediolanum che negli anni ha continuato a lievitare e, sommandosi alla perdita del lavoro di uno dei due proprietari, ha messo la famiglia nell’impossibilità di poter continuare a pagare le rate.

A quel punto è subito partita la procedura di sfratto e la casa è stata messa in vendita all’asta.

Quello di oggi era il secondo accesso per tentare di eseguire lo sfratto e fin dalle prime ore della mattina un presidio composto da solidali e dal collettivo Prendocasa si è radunato sotto l’abitazione per difendere il diritto alla casa e impedire le procedure di pignoramento.

A quanto pare l’ufficiale giudiziario, vedendo il presidio, ha scelto di non presentarsi; trattandosi di pignoramento, inoltre, la decisione di eseguire lo sfratto spetta al curatore fallimentare che ha disposto il rinvio dell’operazione.

Dall’Istituto Vendite Giudiziarie è arrivata conferma del fatto che lo sfratto è stato rinviato al mese di luglio. Dal presidio anti-sfratto, rimasto in attesa fino a conferma del rinvio, si leva un messaggio chiaro rispetto all’eventualità che si cerchi di anticipare senza preavviso la data del pignoramento: ai nostri posti ci troverete, sempre!

Leggi il volantino distribuito questa mattina:

Contro i pignoramenti delle banche, resistiamo agli sfratti!

Oggi 8 Maggio, siamo qui per difendere l’ennesimo sfratto figlio della crisi e della speculazione delle banche con la complicità delle Istituzioni. Pietro e la sua famiglia vivono, qui in Falchera dal 2005 nella casa che hanno acquistato in Via delle  Querce 29. Per comprarla hanno stipulato un mutuo con la Banca Mediolanum, che li ha convinti ad accettare una proposta a tasso variabile. Dai 400 euro mensili di mutuo la famiglia di Pietro in brevissimo tempo si è trovata a dover pagare 1000 Euro al mese.
A causa della crisi il lavoro da piccolo artigiano di Pietro è diminuito e sua moglie è stata licenziata, di fronte all’impossibilità di pagare una rata così alta hanno provato a rinegoziarla con la Banca, ma l’unica risposta ricevuta è stata lo sfratto e la vendita coatta all’asta della casa. La banca recupererà così tutto il suo credito e la famiglia di Pietro perderà tutti i propri risparmi e la propria casa.

La famiglia di Pietro è entrata così a far parte di quelle 3600 famiglie che quest’anno a Torino hanno subito o subiranno un provvedimento di sfratto. È sempre più estesa, infatti l’emergenza abitativa che colpisce Torino, frutto di una mala gestione delle istituzioni locali, che come unica risposta attuano una politica di privatizzazioni, svendita del patrimonio pubblico, taglio dei posti di lavoro e impoverimento dei servizi pubblici.

A Torino, grazie alle politiche del Comune e del sindaco Fassino, sono stati smantellati tutti i servizi a sostegno dell’abitare, esistono migliaia di case ATC vuote che stanno ormai cadendo a pezzi e che non vengono assegnate, mentre le famiglie che hanno diritto alla casa popolare nella migliore delle ipotesi devono aspettare anni. In questo contesto sono sempre più forti ed estese le speculazioni di banche e palazzinari che si arricchiscono alle spalle di chi sta pagando gli effetti di questa crisi.

Di fronte alla continua assenza di politiche sociali, all’immobilità delle istituzioni di fronte alla crescita di sfratti, di cui Torino ne è la capitale, all’incapacità politica di garantire il diritto all’abitare che è sempre più spesso trattato come un mero problema di ordine pubblico, siamo convinti che l’unica risposta sia la resistenza!

La casa è un diritto, quello che ci tolgono ce lo riprenderemo!

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Contro il welfare del debito

stop sfrattiUn contributo politico su emergenza abitativa e servizi sociali.

Dopo anni di lotta per la casa, si fa sempre più necessaria una critica politica alla gestione dell’emergenza abitativa. Quello che emerge dai comportamenti di rifiuto che si avviano a diventare vere e proprie ribellioni, è la mancanza di strumenti adeguati e la cronica assenza di risposte che l’istituzione della Società della Salute applica nei confronti di tutti quelli che si trovano – nei fatti – a rischio di non avere più un tetto sulla testa. Parliamo nel solo nostro comune di più di un migliaio di sfratti esecutivi, e di un numero in spaventosa crescita dei nuclei familiari che si dividono o cercano “soluzioni” di fortuna (camper e roulotte, ospitalità da parenti, sovraffollamento di piccoli garage, mobilità tra un dormitorio e l’altro della regione). Chi ha o sta per avere lo sfratto; chi è al primo o al decimo acceso e si trova a confrontarsi direttamente con ufficiali giudiziari, poliziotti energumeni e avvocati di padroni di casa; chi è in mezzo alla strada o ospite da qualche familiare, subisce sempre la stessa umiliazione ed il sentimento di impotenza di non trovare dalle istituzioni nessuna strada che sia di dignità e di emancipazione.

Il dato di fatto è che la Società della salute, ed in generale “i servizi sociali”, negli anni hanno assorbito tutta una serie di funzioni che erano prima di “competenza” della “politica”. Questa Società della Salute, rappresenta il processo di privatizzazione del sociale: un consorzio tra enti locali, comuni, ed azienda sanitaria con decine di cooperative cui sono stati esternalizzati tutti i servizi sociali: dalle Residenze Sanitarie Assistite per anziani, fino all’ambito socio educativo. Questo processo di “esternalizzazione” ha rapidamente travolto l’ambito del “diritto alla casa”. In questi anni la “politica” istituzionale, nella funzione dell’Assessorato alla casa, si è occupata esclusivamente degli interessi dei consorzi di costruttori immobiliari e dei grandi proprietari di case, mentre la gestione dell’emergenza abitativa è ricaduta interamente sui servizi sociali. La casa ed i servizi sociali hanno smesso di essere dei “diritti”. Coloro che non riescono ad ottenerli, perchè impossibilitati a “comprare la merce – casa”, sono trattati non come persone che hanno bisogno di un aiuto fondato sulla solidarietà sociale, o sull’idea che le istituzioni debbano “garantire” determinate “soglie” di dignità e diritti per tutti. Nel neoliberismo il “sociale” è esattamente una merce come le altre. La gestione di questi problemi è quindi tesa all’ “essere assistiti” nel comprendere le “regole del gioco”, che non sono quelle dei “diritti sociali”, bensì del “Mercato”! Sfratti, mancate o interminabili attese nelle assegnazioni di case popolari, “giudizi e valutazione” per attribuire o meno lo “status d’emergenza”, sono gestiti esclusivamente dagli operatori dei servizi sociali, oltre che da Giudici, Ufficiali Giudiziari, e Poliziotti.

In pochissimi anni i Fondi destinati al “sociale” sono stati tagliati dell’86%. In assenza di una redistribuzione sociale (ed anzi in presenza di una vera e propria “rapina”, dato che i fondi che vengono tagliati a noi non spariscono nel nulla ma vanno ad ingrassare banchieri, dirigenti e politici di alto grado) la politica dei servizi sociali è quella della gestione della scarsità di risorse, con il risultato di una vera e propria “guerra tra poveri per delle briciole” stimolata ed indotta da una filosofia dell’aiuto basata sull’individualizzazione del rapporto tra Assistente ed Assistito. Una relazione essenzialmente di potere, fondata sulla paura di poter accedere alle poche speranze, tenute costantemente in vita da norme e procedure di “autoattivazione”, che spingono l'”utente” a guadagnarsi la “fiducia” delle istituzioni, a “meritarsi” l’aiuto. Tra ricerca di colloqui, corsi di formazione, appuntamenti, curriculum e giro delle agenzie interinali, ricerca della casa in affitto tra le immobiliari, la vita dell’ utente che vuole farcela è quella di chi “non può stare fermo”. L’importante è che questa spinta non sia rivolta mai per soddisfare direttamente le proprie esigenze, tanto meno in una dimensione collettiva! L’individualizzazione e la personalizzazione dell’assistenza è il requisito fondamentale che regge questo tipo di assoggettamento. D’altra parte la premessa di fondo è la rassegnazione a non pretendere – né poco né troppo. Rispetto, dignità, emancipazione ed autonomia sono concetti che vengono cinicamente sacrificati sull’altare della “mancanza delle risorse” e della “crisi”. I rapporti tra gli Utenti e gli Assistenti sono quindi fondati sul binomio paura\comando. Paura di essere giudicati negativamente, Comando di poter valutare e decidere se e cosa garantire: se dare un contributo, un buono pasto, se inserirci nella lista d’emergenza.

Gli strumenti di welfare quindi quali sono? Da diritti sociali sono diventati veri e propri “crediti” che devono essere prima “guadagnati”, e poi spesi per acquistare delle merci (case – alimentazione – bollette etc..). Sembra di essere in banca, dove per convincere a farti fare un prestito devi mostrare delle “credenziali” e devi essere disposto a ripagarlo in ogni modo, pena la persecuzione! Se non hai queste credenziali sei escluso! Se le hai, e ti viene concesso il “Prestito sociale” devi essere in grado di restituirlo. Altrimenti sei un “imbroglione, un furbetto, un impostore!”.

In questo contesto il lavoro dell’assistenza sociale, al di là delle sue “professionalità”, si riduce alla ripetizione di procedure che avviliscono e mortificano chi si trova già in grave difficoltà.

– Ai colloqui gli Assistenti Sociali per chi è disoccupato ripetono incessantemente “vai al centro per l’impiego- agenzie interinali – porta i curriculum!” Anche il lavoro al nero o sottopagato è “consigliato”, piuttosto che la disoccupazione. E’ nocivo per la propria reputazione far notare che “il lavoro non c’è”: il giudizio su di noi sarebbe “non hai fatto abbastanza, sei un fannullone”.
– Per chi dalla disoccupazione passa alla “morosità”, ovvero al non pagare più l’affitto, e si trova sotto sfratto, la soluzione è: “cercati un’altra casa in affitto”. Laddove il fenomeno dell'”autoriduzione” si è necessariamente diffuso con l’acuirsi della mancanza di reddito, le agenzie immobiliari ed i proprietari di casa concedono in affitto le case solo al prezzo di caparre esorbitanti, contratte con finanziarie, oppure con la garanzia di “contratti di lavoro a tempo indeterminato” con buste paghe dai 900 euro in su, sulle quali eventualmente rifarsi trattenendo parte degli stipendi.
– Altra “soluzione” prospettata è quella di “fatti ospitare da amici”, oppure “non hai genitori o parenti”. Ogni pudore, intimità, fiducia è violata, s’indaga nei rapporti sociali e nelle relazioni per cercare di scovare possibilità che “ammortizzino” il disagio. Il peso ed il carico dello “stato sociale” viene privatizzato, e ricade quasi interamente sulla propria scaltrezza nel reperire soluzioni individuali.
– Se in aggiunta a queste condizioni si aggiunge quella di essere immigrato da un altro paese – ovviamente residente sul territorio da anni – il lavoro dell’assistente sociale consiste nella esplicita formula razzista del “torna al tuo paese”, o “emigra al nord”. Un razzismo sociale, espresso senza livore, ma in maniera fredda e distaccata, che racconta al meglio dove sia finita la retorica multiculturale ed il valore dell’integrazione nella società dell’austerità.

Tornando alla questione abitativa, al moltiplicarsi delle esecuzioni degli sfratti non segue nessun provvedimento degno di esser chiamato d’emergenza, tanto meno di progettualità alternativa a quella vigente. Bensì le Istituzioni sociali e politiche nel suo complesso ripropongono pari pari le stesse ricette che hanno condotto a questa situazione. Sempre meno famiglie riescono a pagare affitti da rapina: l’esplosione sociale è solo rimandata e governata scaricando verso il basso tensioni e frustrazioni, introducendo sentimenti di colpa e infondendo paura di ritorsioni e di pene più grandi nel caso qualcuno osi ribellarsi.

Il welfare e lo stato sociale sono diventati degli strumenti che cercano di contenere il disagio per non farlo “esplodere” in rabbia o ribellione. Inoltre tutti i provvedimenti di “assistenza” in realtà non riguardano i nostri bisogni, bensì – a vario titolo – i “proprietari, gli imprenditori, i privati”. Ad esempio, se veniamo “giudicati” da un’apposita commissione in “emergenza abitativa”, le risposte che vengono prospettate tendono a risolvere “la crisi” degli imprenditori immobiliari e dei padroni di casa, piuttosto che quello dei nuclei familiari. Le alternative, a seconda del “grado” di disperazione, possono essere:

– l’inserimento in strutture residenziali private (tra l’altro l’unico convenzionato è a Stagno, nella Provincia di Livorno, neanche collegato con la città da mezzi di trasporto pubblici!) – pagate dall’assistenza sociale coi soldi pubblici – per un periodo di pochi giorni o settimane;
– la concessione di prestiti “una tantum”;
– il pagamento di parte della “morosità” accumulata nei confronti dei proprietari di casa;
un contributo straordinario all’affitto al massimo della somma di 200 euro mensili per tre mesi rinnovabili al massimo di altri tre mesi, in abitazioni reperite autonomamente (che non vengono mai affittate da Agenzie né da Privati a chi non possiede “almeno” un contratto di lavoro a tempo indeterminato);
– l’inserimento nelle liste dell’agenzia casa, ovvero in abitazioni di proprietà private, prese in affitto dal Comune e subaffittati a canoni leggermente inferiori di quelli di mercato a nuclei in precarietà abitativi.
– buoni pasto erogati mensilmente con cui “pagare” generi alimentari presso i supermercati Coop.

Tutti questi provvedimenti sono accomunati dal fornire risposte temporanee, insoddisfacenti nella misura in cui soddisfano l’esigenza di “incasso” da parte dei Proprietari di case o di residence ed in breve periodo ripristinano una situazione di precarietà e grave disagio abitativo.

Ma chi è che protesta? Sono chiamati dalla sociologia istituzionale “i nuovi poveri”, quella composizione della precarietà che è impoverita ulteriormente in questa crisi e che non vuole che la propria condizione sprofondi nel baratro delle politiche di austerità. Se “non ci sono soldi io comunque devo mangiare, devo mandare mio figlio a scuola, devo vivere in una casa con dignità!” L’assistenzialismo non funziona perchè è stato tarato sulla cosiddetta “alta marginalità” con cui ha affinato un modus operandi sociale che si basa sulla “patologizzazione” della povertà. Se sei povero, sei malato e devi essere curato. Una terapia sociale che però è incapace di offrire alternative alle stesse ricette che sono causa del “male”! La povertà è considerata una malattia: questo neoliberismo fuori tempo massimo assimila chi non ha casa e chi non ha lavoro a chi ha bisogno di un’assistenza, che si configura come una vera e propria “cura” di una “disabilità”, in quanto “incapace di investire su se stesso”.
Adesso che l’impoverimento è un fenomeno sociale che cresce progressivamente ed investe fette sociali considerate “normali”, gli strumenti di “assistenza” scoppiano. Questi dispositivi di controllo sono basati sull’inasprirsi di meccanismi di disciplinamento e condizionano l’accesso al reddito vincolandolo alla disponibilità di un ulteriore auto-sfruttamento ed indebitamento materiale e morale. Aumenta così l’esclusione sociale.
Negli ultimi mesi si stanno intensificando le richieste di assistenza da parte di chi lavora precariamente, di chi è in cassa integrazione, di chi ha lavorato per una vita e si trova disoccupato a 50 anni. E’ una composizione che male accetta e che non digerisce passivamente l’austerità, e che rimane incredula e poi si arrabbia di fronte all’inutilità delle risposte messe in campo dalla “Stato”. E’ una composizione che si sente “tradita” rispetto ai sacrifici che ha versato nel lavoro e nella stretta adesione ai valori di questo sistema. Ora che ha bisogno, ed è costretta a chiedere, trova solo porte chiuse in faccia.
Nel mentre queste Istituzioni del Welfare del privato affogano dalla mancanza di risorse e dall’aumento vertiginoso della “domanda” di accesso al reddito, si fa strada il senso comune tra i proletari dell'”inutilità” di questi carrozzoni come la Società della Salute. “Se non ci date risposte, cosa ci state a fare? Chiudiamoli questi palazzi!” gridano i nuovi poveri non più timorosi di perdere qualche briciola. “Se le risorse qui non ci sono, o non ci vengono date, noi sappiamo dove andare a trovarle: la casa, il reddito, la salute devono essere accessibili per tutti!”. Inizia ad emergere la separazione dei propri interessi, rispetto e contro a quelli delle istituzioni sociali.

La scommessa di un progetto antagonista all’altezza di questa crisi è quella che punta ad arricchire e potenziare quei processi di organizzazione di questi interessi e bisogni “di parte”, per renderli autonomi da leggi, comportamenti e strumenti che risultano sempre più “estranei” e nemici del proprio benessere.

Contributo del Progetto Prendocasa di Pisa, verso la “settimana per il reddito garantito”

Fonte infoaut.org

Basta case vuote!

basta_case_vuote19 marzo, ennesima giornata di sfratti a Torino, sempre più capitale di questa infame pratica. Ma in via Gaglianico, i solidali che alle 6 arrivano per mettere in atto il picchetto trovano un’amara sorpresa: la strada è occupata da celere e digos, blindati e volanti, che giunti intorno alle 5, e dopo aver sfondato la porta di fatto stanno già eseguendo lo sgombero della famiglia, composta da 5 persone. 5 persone che per comune questura e prefettura possono tranquillamente trovare posto sotto un ponte. I solidali, a distanza ed immediatamente identificati dalla digos, non possono far altro che assistere agli eventi e concordare il trasporto delle masserizie della famiglia. Come sempre è da sottolineare la sensibilità delle forze dell’ordine che, di fronte ad una situazione drammatica, ad una donna che piange perché non sa della propria sorte, non trovano di meglio che sghignazzare e rivolgere insulti razzisti. Complimenti.

Va meglio all’altro picchetto in zona San Paolo, che forte di una presenza di trenta persone tra compagn* ed occupanti di case, strappa una proroga fino a giugno.
Resta però il fatto che una famiglia (ad un terzo accesso) ha dovuto abbandonare l’alloggio e rischia seriamente di rimanere per strada, nell’assoluto disinteresse delle istituzioni. Per l’assessora Tisi e per il sindaco Fassino il problema della casa è solo un problema di ordine pubblico, al quale rispondere con strategie pseudo-militari.

Non così per i/le compagn* dello sportello Casa di Zona San Paolo e per gli occupanti degli edifici del quartiere: perché la casa è un diritto e Torino è piena di alloggi, intere palazzine vuote. Perché non ci si può rassegnare alla crisi che morde tutti i giorni, come non si può delegare alle istituzioni la risoluzione di un problema come quello della casa, istituzioni che sanno solo regalare pezzi di patrimonio pubblico a banche e finanziarie.
Per questo nel pomeriggio, dopo un corteo per il quartiere, tra slogan e i tamburi della SambaBand, viene occupato un alloggio ATC all’interno del complesso di case popolari di Corso Racconigi in zona San Paolo. Una risposta immediata ad un problema impellente, una scelta di dignità per una famiglia che non si rassegna alla propria condizione.
Evidentemente toccare direttamente gli interessi dell’ATC deve aver infastidito non poco. Nel tardo pomeriggio si materializzava in modo massiccio una digos molto nervosa e minacciosa. La presenza di un paio di blindati parcheggiati in Piazza Adriano pare facesse presagire ad un intervento immediato, ma probabilmente il fatto di essersi dovuti confrontare con la presenza di decine e decine di solidali arrivati in pochi minuti a sostegno della nuova occupazione, ha scoraggiato al momento uno sgombero.
Chi crede che in questo modo si possa intimidire o stancare chi porta avanti le lotte per il diritto all’abitare è parecchio fuori strada.

Sappiano lor signori che non ci sfiancheranno, perché chi lotta è vivo/a.
“Basta case vuote” con queste parole d’ordine ci si è mossi ieri, ogni sfratto deve avere una risposta immediata, non si possono tollerare uomini, donne, bambini in mezzo alla strada. Se le case ci sono e rimangono vuote, si possono requisire, è una scelta politica, altrimenti non possiamo che continuare ad occupare.

Sportello Diritto alla Casa Zona San Paolo

da csoagabrio

Sfratti a sorpresa e arresti

Torino_Preoccupati per le numerose resistenze contro gli sfratti, la questura e ufficiali giudiziari giocano d’anticipo…

stop_sfrattiIn Borgo San Paolo una famiglia resiste allo sfratto da qualche mese. Grazie ai vari rinvii, ottenuti tramite le resistenze della famiglia insieme allo sportello casa di zona san paolo, l’esecuzione dello sfratto doveva avvenire il 19 marzo ma l’ufficiale giudiziario e la questura torinese giocano d’anticipo per evitare di trovarsi di fronte all’ennesima resistenza che avrebbe creato dei problemi ad eseguire lo sfratto. Il tutto avviene sotto silenzio, grazie ad una ordinanza del Tribunale che da il via libera all’esecuzione immediata avvenuta il 7 marzo.

In Borgo Vittoria situazione analoga ieri mattina 11 marzo: picchetto antisfratto sotto l’abitazione della famiglia che attende l’ufficiale giudiziario il quale non si presenta ma comunica per telefono alla famiglia che lo sfratto non verrà eseguito e che sarà il giudice a decidere quando il nuovo accesso ma senza nessun preavviso. La minaccia di usare la strategia dello sfratto a sorpresa porta il picchetto antisfratto ad occupare l’ufficio notifiche esecuzioni, base degli ufficiali giudiziari.

L’arrivo di volanti e agenti in borghese costringe gli occupanti a radunarsi nel cortile per essere identificati. Intanto una parte del presidio fuori dagli uffici viene caricato. A fine giornata si conteranno dieci fermi dei quali sette rilasciati e tre trattenuti in questura fino a questa mattina.

Notizia di questa mattina è che la detenzione in questura si è tramutata in arresti. Le tre compagne arrestate sono state portate al carcere delle Vallette in attesa della conferma o meno della convalida di arresto.

Intanto questa mattina un altro sfratto è stato rinviato in via Lombroso, grazie al picchetto resistente costituito dalla famiglia sotto sfratto insieme allo sportello casa di San Salvario.

da infoaut

Anche i pompieri di Madrid e Canarie non collaboreranno negli sfratti

espana_sfrattiContinua con forza la lotta contro gli sfratti in tutta la penisola iberica. Dopo l’iniziativa intrapresa dai fabbri di Pamplona, che si negano di collaborare in caso di sfratti esecutivi, ora è la volta dei pompieri. Dapprima quelli di A Coruña (Galizia), sostenuti successivamente da quelli catalani. L’azione esemplare di tre giorni fa dei pompieri galiziani che hanno dato il “ben servito” all’ufficiale giudiziario incaricato di eseguire lo sfratto di un’anziana signora, rappresenta una continuità di opposizione al fenomeno degli sfratti, mentre il 16 febbraio scorso in cinquanta città iberiche sono state attraversare in contemporanea da molteplici cortei per il diritto alla casa e contro gli sfratti. Ma l’iniziativa dei pompieri non solo ha valore per il rifiuto ad intervenire ma anche per la solidarietà espressa dagli stessi che hanno esposto uno striscione contro gli sfratti sul loro camion.

Notizia fresca è invece il rifiuto di partecipare ad azioni di questo tipo anche da parte dei pompieri della Comunità di Madrid e quelli delle Canarie. Attraverso due comunicati di uno dei grandi sindacati spagnoli CCOO, i primi hanno fatto sapere che non “contribuiranno ad aumentare le disuguaglianza e la miseria che soffre la classe lavoratrice”, prendendo parte quindi all’iniziativa intrapresa dai pompieri galiziani e seguita da quelli catalani. Stesse intenzioni per quanto riguarda i vigili del fuoco delle Canarie, che ricordano come l’apertura di abitazioni da parte di questo corpo d’emergenza sono legali solo nel caso in cui esiste un rischio concreto per le persone o beni materiali che sono dentro l’abitazione in questione.

Continuano quindi ad aprirsi quegli spazi collettivi di solidarietà, frutto anche del lavoro dei comitati Stop Desahucios (Stop sfratti) che da molti mesi ormai lavorano a stretto contatto nelle realtà cittadine per difendere dagli sfratti quelle persone che continuano a perdere la casa. Un fenomeno frutto di una crisi economica e che non fa altro che mettere in crisi e contrastare concretamente chi nel nome della speculazione e dei propri interessi, non si fa scrupoli a lasciare migliaia di famiglie in mezzo alla strada.

da infoaut