E’ datato 4 febbraio il blitz della guardia di finanza che ha coinvolto le associazioni riunite nel progetto “La città possibile”: Valdocco, Aizo, Terra del Fuoco, Stranaidea, Liberi tutti e la Croce rossa. Fra gli indagati compare anche il noto Giorgio Molino, il “ras delle soffitte”, palazzinaro che possiede circa 1850 immobili tra Torino e provincia. Le cooperative interessate dal blitz si sono occupate del progetto di sgombero e di ricollocamento delle famiglie del campo rom di Lungo Stura Lazio.
Il reato contestato alla cooperativa Valdocco e all’associazione Terra del Fuoco è di turbativa d’asta, in quanto hanno sistemato le famiglie rom in alcuni appartamenti di corso Vigevano sprovvisti dei requisiti di abitabilità, mentre per Molino si parla di abuso edilizio.
L’inchiesta nasce da parte del pm Padalino, secondo un esposto portato in consiglio comunale da Maurizio Marrone (fdi). Il Comune di Torino si costituisce parte lesa.
Ecco tutti gli ingredienti di un’inchiesta in odor di campagna elettorale, che non ha nulla a che vedere (stranamente!) con l’integrazione, il diritto all’abitare e il poter vivere una vita dignitosa di centinaia di famiglie che in poco tempo si sono trovate senza un tetto e oggetto di un contenzioso di cui non avevano certo nessun interesse.
Il fatto che il Comune di Torino, rappresentato dal sindaco Fassino, si sia costituito parte lesa in questo procedimento è ai limiti del ridicolo, ma si inserisce perfettamente nella strategia del PD per cercare di strappare qualche voto in più alle vicinissime elezioni comunali. Il Comune si vanta di essere l’unico beneficiario dei fondi stanziati per “l’emergenza rom” che sia riuscito a sgomberare un campo nomadi e cerca di risultare vittima delle cooperative e associazioni che hanno fatto il lavoro sporco per lui.
Strano però che il Comune si sia dimenticato dei numerosi affari firmati col signor Molino, unico immobiliarista che per ripulirsi la coscienza (o meglio la fedina penale) si prende in carico tutte le patate bollenti del sindaco Fassino: oltre alla questione rom, il palazzinaro si è occupato di sistemare i rifugiati nel suo housing sociale di via Aquila 21 (180 rifugiati in un luogo che ha la capienza di massimo 100 persone), ha stipulato un’ampia e proficua collaborazione con LO.CA.RE., uno degli organi dell’assessorato alla casa che si occupa di pagare per alcuni mesi l’affitto al proprietario di casa se si prende in carico una famiglia in emergenza abitativa.
Sembra inoltre veramente incredibile che la vicesindaco Tisi abbia dichiarato di essere assolutamente ignara della reale destinazione d’uso degli immobili di Corso Vigevano, in quanto erano già stati messi sotto sequestro nell’aprile 2012 proprio per essere stati “ristrutturati ad uso abitativo” e messi in affito senza alcun progetto di riconversione o cambio di destinazione d’uso.
Il gioco politico risulta così ancora più chiaro. Il blocco di potere PD e le speculazioni in città vanno a braccetto; ma in piena campagna elettorale conviene sganciarsi dalle polemiche e cercare di rifarsi un’immagine. Il blitz della finanza viene usato in modo pretestuoso dall’apparato PD per cercare di svincolarsi dalle responsabilità comuni alle associazioni e cooperative sotto accusa, le quali non si sarebbero accertate, pur di conseguire gli obiettivi progettuali previsti dall’appalto indetto dal Comune, dei requisiti degli immobili per il progetto “La città possibile” concessi dal solito affarista e speculatore Molino.
Inoltre val la pena ricordare che Terra del Fuoco è un’associazione legata fortemente a SEL – che prima del divorzio era in maggioranza PD – e che oggi con Airaudo corre per la carica da sindaco…
Ecco rivelata quindi la strumentalità politica con cui il “sistema Torino” tratta i problemi reali di questa città, senza minimamente risolverli. Così come in questo caso specifico, la gravissima emergenza abitativa della nostra città viene tamponata attraverso mille piccoli espedienti da campagna elettorale, ma mai si prendono provvedimenti atti a risolverla seriamente. Se da un lato si punta il dito contro i progetti speculativi del Comune (il progetto “La città possibile” ha un costo di 5 milioni di euro) dall’altro lato, si evidenzia come per personaggi come Giorgio Molino, le istituzioni si danno da fare per legittimarlo sul piano pubblico e di gestione del welfare cittadino, pagando i sui “servizi” con denaro pubblico.
Ci chiediamo infine come sia possibile che, sin dal 2013 all’inizio di questa faccenda, le istituzioni, deputate a risolvere il postsgombero del campo rom, non si siano poste delle domande rispetto alle modalità e le condizioni in cui si trovavano ad operare. Ultima tesserina del puzzle di questa vicenda è Marrone, che nasconde i suoi miseri fini elettorali e la sua retorica fascista e razzista, sotto il mantello di paladino della giustizia, in nome di una legalità “disinteressata” che a noi veste sempre più stretta.