Cosa significa essere sfrattati dal palazzinaro Giorgio Molino

molino_infameIl 14 ottobre, quasi un mese fa, è stato eseguito lo sfratto a sorpresa di Said nel quartiere Vanchiglia. La violenza è stata inaudita, come già raccontato l’appartamento è stato distrutto alla famiglia sono stati sequestrati gran parte dei mobili e diversa roba, caricata sui furgoni degli “uomini” di Molino e portata in direzione “chissà dove”, senza alcuna possibilità di fare un inventario delle cose, né foto.
Dopo la prepotenza mafiosa con cui lo sfratto è stato eseguito, la violenza da parte del famoso “ras delle soffitte” continua.
I casi di persone sfrattate da Molino che hanno perso per sempre gran parte delle proprie cose sono tanti, ci sono diverse testimonianze anche da parte di alcuni occupanti dello Spazio Popolare Neruda; e nel caso qualcuno cerchi di recuperarle si trova davanti a ricatti, mobili spaccati, e parecchia roba persa. Qui di seguito riportiamo la testimonianza di uno dei membri del collettivo PrendoCasa che ha accompagnato Said nell’impresa del recupero mobili.
“L’appuntamento è il pomeriggio appena dopo pranzo, chi scrive oltre che membro del collettivo PrendoCasa è amico di Said, quindi tanti gli interrogativi e la speranza di ritrovare tutta la sua roba quanto più integra possibile dopo lo sfratto violento di qualche giorno prima.
Zero ufficiale giudiziario, zero possibilità di fare un inventario e delle foto alla propria roba, zero possibilità di sapere dove andassero. E da qui ripartiamo, perché se a detta degli “uomini” di Molino la roba di Said è stata portata presso un loro deposito (e domandiamoci quanta roba ha di altra gente per possedere uno o più depositi), non ci viene dato alcun indirizzo dove andare a recuperarla ma più un generico “vediamoci su Corso Principe Oddone nei pressi di una delle sedi delle agenzie di Molino”.
Arriviamo, telefoniamo all’incaricato che esce da solo e con un copione apparentemente già scritto (o forse è solo ripetizione di scene troppe volte vissute) saluta confessandosi addolorato per quanto avvenuto, “uno sfratto violento, è vero che non pagava da tanti mesi, però è vero anche che ha tre bambini piccoli, ma sappiate che sono dalla vostra parte”. Col vomito che sale gli diciamo di tagliare con i finti convenevoli e di voler prendere la roba per andarcene alla svelta. E qui si scopre subito il motivo della “lisciata di pelo” di poco fa. “Ho un modulo che vi chiederei di firmarmi in cui c’è scritto che il signore ha recuperato tutta la sua roba ed esonera la proprietà da tutte le responsabilità, senza il quale non vi possiamo dare la roba“. Qui il vomito si trasforma in rabbia perchè non solo la violenza, i danni ma anche i ricatti.
Se Said rivuole la sua roba deve firmare un modulo che esonera Molino da ogni responsabilità altrimenti il furgone con la sua roba non arriverà mai. Dopo minuti di tira e molla tra la nostra incazzatura e la sua faccia pulita riusciamo a convincerlo che quantomeno dovremmo vedere la roba per dire che c’è tutta.
Allora arriva il furgone che sempre in mezzo alla strada si accosta a noi e sul quale è caricata la roba di Said. Al primo colpo d’occhio per lui è chiaro che manca qualcosa: alcuni giochi dei bimbi, due biciclette, per non parlare di tutti i mobili spaccati. Gli operai sul furgone sono alcuni degli stessi che hanno eseguito lo sfratto e dicono di non avere più niente, allora noi chiediamo perchè siamo in mezzo alla strada e non al loro deposito a verificare cosa effettivamente c’è e anche questo ci viene negato. Ed allora nuovamente incazzatura, battibecchi, minacce di azioni legali (tanto che gli frega, è tutto pagato ed anche tutti pagati tanto da poter dormire sonni tranquilli).
Decidiamo di sentire il nostro avvocato che, fortunatamente, riesce a mettersi in contatto con suo corrispettivo e dopo più di un’ora in strada riusciamo a strappare la possibilità di scrivere un nuovo documento in cui si affermava unicamente che recuperavamo la roba che avremmo elencato, recuperare mobili sfondati non sapevamo che farne. Era un nostro diritto riprenderci ciò che ci apparteneva, ed anche questo per poterlo mantenere abbiamo dovuto strapparglielo dalle mani.
Ed allora via: furgoni in strada, mobili in terra che fanno avanti ed indietro tra le macchine che lente scorrono tra noi scriviamo la lista di ciò che si è salvato dai barbari, ovvero più o meno la metà di ciò che il furgone conteneva.
Tra un mobile e l’altro proviamo a strappare due chiacchiere tra lavoratori:
Perché fate questo lavoro?
Perché Molino ci paga!
Ma vi rendete conto di fare robe bruttissime? Se foste voi al posto di said?
Eh lo sappiamo, ma siamo dalla vostra parte! Credetemi!
No, non credo. Noi non buttiamo la gente in mezzo la strada per 50 euro la giornata.
 … silenzio…
Quanti ne eseguite al mese?
In media sui 7, ma di questi a sorpresa di meno perchè la gente se ne va prima.
Certo, se gli sfondate tutto, non gli ridate la roba ed eseguite tutto illegalmente senza ufficiale giudiziario ed avvocato…
Eh ma è un 610! Sfratto a sorpresa! Mica può avere tutti questi diritti…
Inutile continuare. Tanto, sono già “dalla nostra parte”. Finiamo di caricare la roba ed andiamo via. Non meritano nemmeno la nostra stretta di mano di saluto.”

Torino Sta con la famiglia di Said: al Referendum votiamo NO!

14925631_359231811079544_4923987703598377057_nLa vivibilità del territorio in cui abitiamo e cresciamo i nostri figli è una delle questioni che più ci interessa e tocca da vicino gli aspetti più quotidiani delle nostre vite. Le politiche territoriali che si applicano nei nostri quartieri sono influenzate (se non imposte) da un livello più alto, quello nazionale: quello che è successo a Said, Kadija e i loro bimbi ne è la riprova più palese e sconfortante.

Disoccupati a causa della crisi, come tanti nel nostro territorio, aspettavano la casa popolare rispettandone la graduatoria. Nonostante l’emergenzialità della loro situazione (dal 2014 avevano dichiarato all’emergenza abitativa di essere sotto sfratto), l’attesa è rimasta lunga, questione di anni. A fronte di 15mila richieste su circa 500 assegnazioni annue, sono moltissime le case Atc vuote in attesa di ristrutturazione, ma nonostante ciò vengono stanziati sempre meno fondi con il rischio non solo di un peggioramento dello stato di abitabilità degli alloggi, ma anche di dover ricorrere a (s)vendite o donazioni di grandi enti privati che ne sanciscono spesso e volentieri un meccanismo di speculazione immobiliare.

Per risolvere questo stallo di domanda-offerta (comune a tutte le città italiane, non solo a Torino), il “Piano Casa” varato da Renzi e Lupi ha incoraggiato quest’ultima tendenza attraverso l’art. 3, aumentando la svendita del patrimonio di edilizia pubblica e incentivando proprio la speculazione edilizia. Così le politiche nazionali incidono fortemente sul nostro territorio e la nostra quotidianità: la qualità della vita di fette sempre più vaste della società si abbassa, andando ad impoverire sempre di più non solo chi già si trova in una situazione di difficoltà economica, ma anche le classi medie. Come diretta conseguenza di questa tendenza, la ricchezza che tutti contribuiamo a produrre confluisce nelle tasche di sempre meno individui (e sempre gli stessi).

La ripercussione sociale di questo atteggiamento del governo, è stata la sfiducia della popolazione nei confronti della politica, mettendo sempre più distanza tra i cittadini e i politici. Se questo non fosse bastato, la volontà di cambiare la costituzione appellandosi di facciata ai costi della politica, ma evidentemente col fine di rendere i “professionisti” della politica (o della corruzione?) sempre più autonomi (e non eletti), segnerà un abisso ancor più profondo tra noi e loro.

Su questo siamo chiamati a scegliere al Referendum costituzionale del 4 dicembre: creare un varco ancor più profondo tra politica e cittadini per mantenere stretto il legame con le imposizioni dell’economia e la finanza globalizzata, scelta marcata da Renzi come “innovazione”, o mantenere lo status quo. Una scelta piena di dilemmi, che crea grandi spaccature, perché nessuna delle possibilità è realmente positiva.

Bisogna votare NO, ma solo il voto non basta. Bisogna fare in modo che questo voto sia solo il primo passo di un percorso contro il governo Renzi come simbolo di una politica nociva per i territori, una lotta capace di riempire le piazze e far arrivare la propria voce laddove il referendum non è sufficiente.

Dobbiamo renderci padroni delle nostre scelte, è finito il tempo di delegare e partecipare solo con il voto, senza alcun partito che ci rappresenta e con un governo nemmeno eletto, c’è chi dice NO con il voto e scende nelle strade di Roma il 27 Novembre per una grande manifestazione nazionale. In quella data, il popolo del NO avrà l’opportunità di urlare a gran voce il perché del suo voto e fermare la deriva autoritaria del governo Renzi.

Pagina Facebook: C’è Chi Dice No

Said e la sua famiglia interrompono il consiglio Comunale

said_comune“Pezzo di merda!” così è stato appellato Said da un funzionario della digos. Questo è successo oggi durante l’interruzione del Consiglio Comunale da parte di Said e il collettivo Prendocasa Torino.

Venerdì Said e la sua famiglia (la moglie Kadija e i tre figli) sono stati sfrattati a seguito della sospensioe dello sfratto (art. 610 c.p.c.) con una brutalità sconcertante dagli sgherri di Molino, il proprietario di casa, e dalla polizia. 

Dopo il clamore suscitato sui giornali e le televisioni locali, il Consiglio Comunale, il cui presidente era presente nei momenti seguenti allo sfratto, avrebbe dovuto aprire una discussione, vista la gravità dell’atto di sgombero, in sala rossa sulle brutalità d’intervento utilizzate dal palazzinaro Molino e trovare una soluzione abitativa per la famiglia sfrattata.

Per questo motivo si è lanciato un presidio in Piazza Palazzo di Città per esercitare pressione a chi in quel palazzo pensa di poter decidere delle nostre vite. Appreso che il consiglio non avrebbe discusso della situazione di Said e della sua famiglia, si è deciso di salire e interrompere il dibattimento. Nel momento in cui si stava denunciando la nostra perplessità sul mutismo della giunta sulla gravità degli avvenimenti di venerdì, Said e un attivista del collettivo Prendocasa sono stati spintonati in malo modo da vigili e digos (qui video). Da qui la frase “Pezzo di merda” che l’agente della digos ha rivolto ad un uomo che non faceva altro che reclamare i suoi diritti.

Si è riusciti, prima di essere sbattuti fuori dal consiglio comunale, a denunciare la brutalità dei fatti, reclamare una presa di posizione netta nei confronti l’infame articolo 610 e pretendere una soluzione abitativa per la famiglia di Said. Presi di forza e portati fuori si è denunciato pubblicamente ai presidianti quanto successo in sala rossa. Con la giusta rabbia di chi si è visto nuovamente chiudere la porta in faccia da parte delle istituzioni che dovrebbero garantire il diritto all’abitare, in un centinaio di persone si è bloccato il traffico per più di 3 ore e al presidio si è aggiunta una tenda nella quale Said e la sua famiglia pernotterranno fino a quando il comune non intenderà confrontarsi e dare una soluzione dignitosa.

Quanto successo oggi è la dimostrazione che esiste una incolmabile distanza da chi lotta per i suoi diritti e le istituzioni che latitano di fronte all’ingiustizia sociale.

Ciò che è successo in questi giorni ci da ragione sulla nostra determinazione a continuare a lottare, non solo per Said ma per tutte quelle persone che fra comitati di quartiere e occupanti si mobilitano per risolvere il problema abitativo attraverso la partecipazione e la lotta.

Ci vediamo DOMANI 18 OTTOBRE ALLE ORE 13 SOTTO IL COMUNE per accompagnare Said e la sua famiglia dagli assistenti sociali e pretendere una soluzione dignitosa!

14713507_350929971909728_7504471612400198100_nI solidali in piazza per Said e la sua famiglia

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Distruggono un appartamento per eseguire uno sfratto. Scontri su corso Regina Margherita

Succede a Torino che uno sfratto si trasformi in un momento di resistenza collettiva.

said_casa_presidioSaid, la moglie e i loro tre figli abitavano da anni in corso regina margherita, al n. 51. Succede che, un po’ per la crisi, un po’ per il lavoro che non c’è, si rinunci a pagare un affitto esoso per continuare a mangiare. Tanto più se si vive in uno dei tanti alloggi del palazzinaro torinese Molino, proprietario di stabili fatiscenti perlopiù affittati ad immigrati, più ricattabili e con uno scarso rapporto di forze a loro favore, o a studenti fuori-sede che vivono quegli alloggi come abitazioni di passaggio.

Dopo numerosi rinvii, Said si è visto comminare un 610, infame dispositivo che permette agli ufficiali giudiziari di eseguire in qualsiasi momento, senza preavviso. Said questa mattina è uscito per fare la spesa, i figli erano a scuola, la moglie impegnata in altre incombenze. Gli sgherri del palazzinaro – noto anche come “il Ras delle soffitte” – gli hanno cambiato la serratura e, non contenti, hanno distrutto sanitari e pavimentazione per impedire la rioccupazione dell’alloggio.

said_casa_devastataDa quel momento si è formato un cospicuo presidio che dal primo pomeriggio si è andato via via ingrandendosi, col sopraggiungere di compagni e compagne del vicino centro sociale askatasuna, del comitato di quartiere, genitori dei compagni di classe dei figli di Said, abitanti del quartiere, solidali di passaggio.

E’ stato subito evidente che nessuna valida alternativa veniva posta sul tappeto: una imbelle Questura, scavalcata nel solerte e infame lavoro di sfratto dai tirapiedi-sgherri del palazzinaro – si limitava a proporre come ospitalità il Sermig – centro di accoglienza per poveri legato alla Chiesa. La famigia non intendeva accettare questa elemosina, gettata lì per disfarsi di una situazione imbarazzante e scandalosa. Perché si è trattato non solo di uno sfratto schifoso, come tutti, ma di uno sfratto eseguito da squadracce pagate dal boss Molino!

A giudicare da come si sono svolte le cose non si capisce se sia stata peggiore la collusione imbarazzata di poliziotti, carabinieri e digos o l’incapacità politica di trovare una soluzione decente da parte dell’amministrazione dei 5 Stelle… Certo, pare che la Questura abbia posto in essere in questa mattina una sequenza di sfratti del medesimo tenore. Con l’obiettivo, già altre volte osservato, di accumularli l’ultimo giorno della settimana per impedire di trovare soluzioni decenti nel weekend. Resta il fatto che chi è salito in Sala Rossa coi voti consistenti delle periferie perché non ne poteva più del modello-Fassino deve sforzarsi di segnare una discontinuità anche nelle politiche sociali. E invece, si continua ad osservare un misto di incapacità e poco coraggio! Il problema, specifichiamo, non è “trovare soluzioni”, il problema è iniziare a rompere le catene di potere, interessi e complicità – tra cui l’immobiliare – su cui si è retto negli utimi due decenni il Sistema-Torino tragato PD!

I Presidianti e solidali accorsi non hanno comunque accettato di restare con le mani in mano e dopo aver bloccato i furgoni pieni dei mobili della famiglia di Said hanno cominciato a riportarli nell’appartamento per ricostruirlo. Per oltre un’ora la Polizia è stata a guardare.. poi, forse sollecitati dal palazzinaro – la proprietà privata è sacra nella nostra società – hanno iniziato a caricare pesantemente l’assembramento per liberare l’entrata dell’alloggio e sono susseguiti alcuni minuti di duri scontri nelle strade antistanti.

Al momento, l’angolo del centro sociale askatasuna, distante due soli numeri civici dal palazzo in cui è avvenuto lo sgombero, è protetto da una barricata e da decine di compagni e compagne. La famiglia e i solidali ancora nell’alloggio sono stati fatti uscire e, dopo l’ennesima inicua proposta “di soluzione”, la famiglia ha contnuato a rifiutare ed è ora ospitata da una signora italiana residente nel palazzo vicino.

Dopo quanto avvenuto stasera è chiaro che questa storia non finisce qui!

Domani, sabato 15 ottobre, alle h 16 è stata convocata una conferenza stampa sul marciapiede antistante casa di Said, in corso regina margherita 51

Bologna – Sgombero in corso in via deMaria, cariche e feriti del Partito del Sì!

bolo_sgombSette cariche contro i solidali, utilizzo di spray al peperoncino contro neonati, pestaggio degli occupanti che non vogliono lasciare la propria casa, viabilità paralizzata; sono le conseguenze che derivano dalla decisione di sgomberare l’occupazione abitativa di via deMaria. Dal manuale della Questura di Bologna si legge oggi un’altra pagina triste per la città, resa meno amara solamente dalla dignità di chi ha resistito all’ennesima barbarie nei confronti di chi non ha la possibilità di permettersi neanche un tetto sopra la testa.

Sono le prime luci dell’alba quando le forze dell’ordine bloccano entrambi gli accessi a via deMaria, dove si trovano le due palazzine occupate nel marzo 2014 da Social Log, nelle quali da quel giorno vivevano 120 persone di diverse nazionalità e biografie.

Completamente bloccata la viabilità della Bolognina da decine di elementi di Polizia e Carabinieri, che permettono ai “tecnici” di procedere all’immediato distacco di luce e acqua per fiaccare la resistenza degli occupanti (tra cui vanno contati decine di bambini), i quali però non demordono all’ipotesi di lasciare le proprie abitazioni e iniziano la resistenza: dal tetto intanto compare una bandiera StopSfratti.

Di nebbia si fa l’assessore alla Casa, la renzianissima Gieri; si focalizza sui “disagi al traffico” (ma chi li avrà mai creati?) il presidente di Quartiere; non pervenuti infine i servizi sociali, mentre il tema del diritto alla casa ancora una volta diventa una questione puramente di ordine pubblico, finalizzato alla rendita e alla speculazione abitativa: la proprietà della palazzina è infatti del ricco speculatore locale Baschieri.

L’occupazione divenne inoltre nota alle cronache per la resistenza contro il distacco dell’acqua effettuato dalle istituzioni in ossequio al piano Casa, resistenzache a suon di azioni e campagne politiche portò nel 2015 la giunta comunale al riallaccio, segnando una forte vittoria contro le infami prescrizioni del duo Renzi-Lupi.

E oggi il Partito del Sì, quello che il modello del Piano Casa lo vorrebbe approfondire e incrementare nel segno dell’odio e del disprezzo per gli ultimi della nostra società, non ha esitato ad a sfoggiare il renzismo più spregevole: legalità contro giustizia sociale, manganellate contro la resistenza. Esattamente quello che un rafforzamento del PD renziano significherebbe per chi lotta per i propri diritti..esattamente quello che bisogna respingere attraverso la costruzione di un NO sociale verso e oltre il referendum!

Si contano diversi feriti nelle cariche interne all’occupazione, condite da utilizzo smodato di gas urticanti anche nei confronti di bambini; ma anche all’esterno si contano diversi feriti a causa delle ripetute cariche contro i solidali che volevano raggiungere l’occupazione, prima su via Carracci e poi su via Matteotti.

Ai giornalisti non è stato permesso di documentare le operazioni di sgombero, forse per evitare che si potessero vedere le ruspe in azione a demolire le case tirate su dalla polvere dagli occupanti. Nel frattempo però, Social Log non solo ha resistito allo sgombero, ma ha contemporaneamente effettuato il blocco di uno sfratto a qualche centinaio di metri da via deMaria, simboleggiando l’assoluta determinazione e volontà di proseguire la battaglia per il diritto all’abitare!

La resistenza dentro alla palazzina di via De Maria è tuttora in corso, così come il presidio solidale in via Fioravanti.

Guarda i video della giornata e segui gli aggiornamenti sulla pagina fb di SocialLog

Comitati popolari occupano uffici Atc

madonna_newsDopo una serie di incontri e discussioni sul tema delle case popolari, i Comitati di Vallette-Lucento insieme a quello di Madonna di Campagna hanno deciso di portare le proprie ragioni sotto il palazzo di Atc. Infatti intorno alle 13.30 di oggi, giovedì 29 settembre, una cinquantina di persone si sono radunate sotto gli uffici di Corso Dante a Torino con striscioni e trombette per far sentire la loro voce e le loro rivendicazioni individuando in Atc il responsabile dell’incuria che colpisce le case popolari, soprattutto per quanto riguarda la manutenzione ordinaria inesistente. Ma non solo, i Comitati hanno voluto portare anche una serie di problemi legati al caro bollette e ai conguagli arretrati, chiedendo inoltre di attivare una procedura di regolarizzazione per le famiglie che occupano alloggi lasciati vuoti da anni e non ancora assegnati.

In un primo momento i Comitati hanno formato un presidio sotto gli uffici dell’Agenzia Territoriale per la Casa “addobbando” l’ingresso principale con alcuni striscioni e cartelli fra cui “ C’è chi dice No al caro bollette” e “Basta sfratti e sgomberi”. Inutile l’invito dei Comitati al presidente Mazzù, del PD, di scendere per un confronto e dopo una serie di interventi il presidio si è spostato all’ottavo piano del palazzo, proprio dove si trova l’ufficio del presidente Mazzù.

Decisi a non lasciare il piano senza aver ottenuto una data per un incontro con Atc, i Comitati hanno ribadito le loro ragioni davanti a un presidente che cercava di trincerarsi dietro le solite frasi che in qualche modo lo sollevavano da ogni responsabilità legata alla gestione delle case popolari, ma la determinazione delle persone presenti hanno strappato e ottenuto un incontro per il 13 ottobre alle ore 9.

Leggi il comunicato del Comitato Vallette-Lucento e Madonna di Campagna:

Dopo settimane di incontri e discussioni sulle problematiche legate alle case popolari fatte nei quartieri popolari, come Comitati di Vallette-Lucento e Madonna di Campagna, abbiamo deciso di denunciare le fallimentari politiche di gestione di Atc. Le case popolari nelle quali viviamo sono completamente carenti di lavori di manutenzione ordinaria, paghiamo bollette molto care del riscaldamento oltre ai costi, per noi altissimi, per la gestione delle parti comuni, come il verde all’interno dei cortili.

Per questi motivi oggi siamo andati davanti al palazzo di Atc determinati nel voler portare le nostre ragioni al presidente Mazzù. Visto il nulla di fatto di fronte all’invito che abbiamo fatto al presidente Mazzù di scendere per confrontarsi con noi, abbiamo deciso di salire direttamente noi fino all’ottavo piano. Dopo molte scale, siamo arrivati davanti all’ufficio di Mazzù e abbiamo sollecitato la sua presenza che si è palesata dopo alcuni minuti. Insieme abbiamo denunciato la carenza di manutenzioni, il caro bollette, la difficoltà per molte famiglie nel pagare il piano di rientro per morosità incolpevole (molte famiglie si affidano agli strozzini, indebitandosi, per paura di essere sgomberate dalla propria casa) e le assurde lettere ricattatorie che Atc fa pervenire alle famiglie occupanti con le quali si annuncia che il canone di affitto finora pagato – perché molte famiglie “abusive” pagano l’affitto ad Atc – avrà un rincaro del 130% invitando, inoltre, di sgomberare la propria casa senza nessuna soluzione alternativa da parte delle istituzioni.

Grazie alla nostra determinazione e alla forza delle nostre ragione, abbiamo ottenuto un incontro con Atc per il 13 ottobre alle ore 9.

Per noi questa giornata è stata importante perché abbiamo deciso di mobilitarci insieme, fra famiglie e singoli che vivono le stesse problematiche legate alla casa, dimostrando che insieme possiamo ottenere qualcosa.

Intervista ad Albino, cardiopatico in attesa di sfratto

albino_intervAlbino: 69 anni, cardiopatico, inoccupato, invalido al 75%, in attesa dell’esecuzione dello sfratto. Questo può essere un riassunto verosimile di ciò che appare nel suo modulo di richiesta di contributo economico ai servizi sociali, in quello di richiesta presso gli uffici dell’emergenza abitativa, in quello di richiesta di assegnazione della casa popolare presso ATC. Moduli strutturati e compilati con modalità diverse ma che portano tutti al medesimo esito: NO. Noi però non ci fermiamo al “no” formale, esito programmato e insito nei cavilli burocratici che rendono sempre più arduo accedere all’esercizio dei propri diritti e abbiamo voluto capire con Albino le cause di questo abbandono vergognoso da parte delle Istituzioni.

Albino, come tanti, ha perso il lavoro a causa della crisi economica: lui e sua moglie hanno tentato di sopravvivvere integrando la misera pensione di invalidità di lui con lavori precari di Cinzia, 54 anni. Quando anche questi sono venuti a mancare non sono più riusciti a pagare l’ affitto: la proprietaria di casa ha deciso di procedere allo sfratto.
Eravamo con Albino quando il 21 luglio, in modo abbastanza inusuale per un secondo accesso( fatto che ci ha lasciato non poco perplessi e incuriositi da questo intervento zelante dell’ufficiale giudiziario) gli è stato dato il famoso articolo 610. Non stupisce che sia stato necessario l’intervento di un’ambulanza per soccorrere Albino dopo aver capito la crudeltà che si cela dietro l’esecuzione di questo articolo che, lo ricordiamo, viene applicato quasi esclusivamente a Torino. Lo sfratto a sorpresa ad una persona cardipatica? Questa è stata la risposta che le Istituzioni hanno riservato ad Albino.

L’unica proposta arrivata dai Servizi sociali è stata la casa di riposo per lui con assorbimento completo della pensione di invalidità e il dormitorio pubblico per la moglie e il figlio. Albino ha giustamente rifiutato una soluzione che, oltre a dividere il nucleo familiare, avrebbe portato soprattutto la moglie a dover sopravvivere senza alcun aiuto economico.
Albino e Cinzia vivono ormai segregati in casa, sobbalzano ad ogni rumore, aspettano con terrore che le forze dell’ordine vadano a sbatterli in mezzo alla strada…da due settimane questi due signori di 69 e 54 anni vivono anche senza gas perchè a causa delle morosità accumulate ne è stata interrotta l’erogazione….davanti a questa ennesima brutalità istituzionale, viene da chiedere a Lor Signori, seduti alle scrivanie di ATC e dell’emergenza abitativa, quale senso possa avere che a una persona, che è stata residente a Torino per 30 anni e che si è poi trasferita per otto in provincia per poi fare ritorno definitivamente a Torino, venga negato il diritto all’emergenza abitativa perchè non può contare ad oggi su tre anni di residenza continuativa. I trent’anni precedenti non contano nulla?

Sono più importanti i conti, gli anni, i mesi, i cavilli costruiti ad hoc per poter dire no, per poter negare il diritto, per poter schiacciare la dignità di chi, fiducioso, si era rivolto alle Istituzioni per avere un sostegno in un momento di difficoltà.
Noi continuiamo ad essere insieme ad Albino e alla sua famiglia che ogni mattina si chiedono se sarà il giorno in cui le Istituzioni e le forze dell’ordine li sbatteranno in mezzo alla strada.

Davanti alla latitanza delle istituzioni Albino sta imparando che quello che ci viene tolto, noi ce lo riprendiamo! La lotta è l’unica strada possibile: casa, reddito, dignità per tutti!

Video intervista ad Albino, cardiopatico in attesa di sfratto

Il muro popolare vince!

foto articoloCome promesso, venerdì 16 settembre ci siamo ritrovati in molti davanti al portone della casa di Lashad in Via don Bosco, determinati ad impedire lo sfratto dell’ennesima famiglia vittima della crisi economica, delle speculazioni degli avidi palazzinari e della sordità delle Istituzioni.

Lashad e sua moglie hanno vissuto per vent’anni in un alloggio in affitto dove, grazie al lavoro di lui nell’edilizia, sono riusciti a costruire una famiglia con tre bambini: una di dieci anni, con una disabilità mentale, uno di sette e una di due. A causa della crisi economica, Lashad, come molti, ha perso la sua unica fonte di reddito e per evitare di accumulare troppe morosità ha chiesto alla proprietaria di casa di poter rateizzare il debito.

La proprietaria di casa (proprietaria, tra l’altro, della maggior parte degli alloggi e degli esercizi commerciali del condominio) si è mostrata sorda davanti alle sue richieste e da “brava palazzinara” non ha esitato a richiedere lo sfratto di Lashad e della sua famiglia.

Lashad ha cercato immediatamente l’aiuto delle istituzioni e altrettanto immediatamente ne ha sperimentato la totale latitanza ed inadeguatezza: le porte dell’emergenza abitative gli sono state sbattute in faccia a causa dei soliti cavilli burocratici, costruiti e pensati ad hoc per diminuire sempre di più il numero delle persone che possono accedere a tale diritto.

I servizi sociali, dopo aver visionato la richiesta per la casa popolare con un punteggio di 15 punti assegnato da più di un anno, non hanno trovato altro da offrire a Lashad che due settimane di prova al Sermig. A giugno vicino a via Don Bosco Lashad si è imbattuto in uno dei nostri muri popolari a difesa di un suo conoscente: è cosi che abbiamo iniziato insieme un percorso che già a luglio ci aveva portato al suo fianco per impedire lo sfratto, rinviato al 16 settembre, tra le grida offensive della proprietaria di casa, la mortificazione della bimba di Lashad che ha dovuto subire la visita di un medico legale dell’Asl che verificasse le sue condizioni di salute, e la presenza delle Forze dell’ordine sempre più massiccia, si sa, quando c’è da andare a braccetto con gli interessi di qualche avido palazzinaro.

Nella prima metà di settembre Lashad si è recato più volte ai servizi sociali cercando un aiuto, ma la risposta è sempre stata unica: due settimane di prova al Sermig. Prendere o lasciare.

Così nei giorni precedenti lo sfratto abbiamo tentato di diffondere il più possibile la storia di Lashad mettendo in risalto la vacuità istituzionale che circonda tutte le vicende simili alla sua. Così, come per magia, a metà della mattinata di resistenza allo sfratto, Lashad e la sua famiglia ricevono una telefonata da parte della stessa assistente sociale che, non più tardi del giorno prima, “non sapeva proprio cosa farci” che tira fuori per loro dal cappello una sistemazione abitativa gratuita fino all’assegnazione della casa popolare.

Ma grazie: grazie per aver sbattuto la porta in faccia per un anno a questa famiglia, grazie per esservi nascosti per mesi dietro a mille cavilli burocratici e alle menzogne. Quante famiglie in difficoltà si sentono dire “non sappiamo cosa farci”, “non possiamo fare altro”??

Nel caso in cui, però, ci si organizzi per essere in tanti pronti a resistere e stufi di farsi prendere in giro da Lor Signori, le cose iniziano a cambiare e le soluzioni sbocciano improvvisamente.

La storia di Lashad è l’ennesima dimostrazione che se si esce dalla solitudine in cui le istituzioni ci confinano e ci si auto-organizza le risposte non tardano ad arrivare: la lotta dal basso è l’unica strada possibile! Casa, reddito, dignità per tutti!

Torino, contro l’arroganza dei palazzinari: resistenza!

Lashad e sua moglie hanno tre figli: uno di due anni, uno di otto e la più grande di dieci, nata con una disabilità mentale. Dopo venti anni di lavoro e vita a Torino, Lashad perde il lavoro e inizia a faticare a pagare regolarmente l’affitto.

Chiede più volte alla proprietaria di poter rateizzare le morosità accumulate. La risposta di colei che vanta la proprietà della maggior parte degli alloggi ed esercizi commerciali dell’intero stabile in cui vive Lashad? SFRATTO.

Da brava palazzinara speculatrice non ci ha pensato due volte.

La risposta delle istituzioni?

Lashad e i suoi bambini non hanno diritto all’emergenza abitativa per i soliti cavillosi pretesti burocratici e attendono da quasi un anno la casa popolare avendo 15 punti.

E i servizi sociali?

Due settimane “di prova” al Sermig oppure una soluzione in un “albergo” a carico quasi interamente di Lashad.

Venerdì 16 settembre saremo al fianco di Lashad e della sua famiglia per impedire che vengano sbattuti in mezzo ad una strada nel silenzio incurante delle Istituzioni.

L’appuntamento per chi vuole impedire con noi questa ennesima brutalità è venerdì 16 dalle ore 8.00 in Via Don Bosco 31.

BASTA GENTE SENZA CASA; BASTA CASE SENZA GENTE

 

A Enzo, combattente fino all’ultimo respiro

Enzo ci ha lasciato, da tempo lottava contro il cancro che inesorabilmente si è portato via un compagno che ci ha sempre supportato nelle occupazioni abitative, durante i momenti di lotta e nei momenti di bisogno.
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Noi lo ricordiamo durante i lavori di autorecupero della palazzina occupata Ex Dazio Pietra Alta, tutt’oggi occupata da nuclei familiari che hanno conosciuto Enzo che da subito si è reso disponibile, insieme a Nadia e a Siria, la loro figlia, per aiutare e condividere percorsi di lotta per il diritto all’abitare.
Sempre pronto ad aiutare il prossimo, convinto che la partecipazione, e non la delega, dovesse essere la base da cui partire per iniziare a condividere il proprio quotidiano con chi ne avesse bisogno.
Enzo era un uomo semplice, ci piaceva per questo. Diretto, a volte poteva sembrare “eccessivo” con il suo linguaggio, ma sincero e leale, diceva quello che pensava senza tanti fronzoli.
Tifoso del Toro da sempre, Enzo portava il suo ottimismo, il suo impegno e la sua allegria dentro l’occupazione, nelle riunioni e nel quartiere popolare nel quale viveva, il villaggio Snia. Qui giustamente cercava sempre di alimentare quel malcontento crescente contro ATC. Ci ricordiamo bene le riunioni tenute con Enzo e gli inquilini per organizzarci per ottenere la riduzione delle bollette e una migliore cura del quartiere.
Vogliamo ricordarlo combattivo come sempre. Enzo fino all’ultimo respiro ha provato a sconfiggere quel maledetto cancro, ci credeva.
Enzo aveva capito sin da subito che ci sono battaglie che si possono vincere e altre no, ma vale sempre la pena provarci.
Questo insegnamento ci portiamo nel cuore.
Ciao Enzo, che la terra ti sia lieve.
I compagni e le compagne dello sportello Prendocasa; Le famiglie occupanti dell’Ex Dazio Pietra Alta