Torino, contro l’arroganza dei palazzinari: resistenza!

Lashad e sua moglie hanno tre figli: uno di due anni, uno di otto e la più grande di dieci, nata con una disabilità mentale. Dopo venti anni di lavoro e vita a Torino, Lashad perde il lavoro e inizia a faticare a pagare regolarmente l’affitto.

Chiede più volte alla proprietaria di poter rateizzare le morosità accumulate. La risposta di colei che vanta la proprietà della maggior parte degli alloggi ed esercizi commerciali dell’intero stabile in cui vive Lashad? SFRATTO.

Da brava palazzinara speculatrice non ci ha pensato due volte.

La risposta delle istituzioni?

Lashad e i suoi bambini non hanno diritto all’emergenza abitativa per i soliti cavillosi pretesti burocratici e attendono da quasi un anno la casa popolare avendo 15 punti.

E i servizi sociali?

Due settimane “di prova” al Sermig oppure una soluzione in un “albergo” a carico quasi interamente di Lashad.

Venerdì 16 settembre saremo al fianco di Lashad e della sua famiglia per impedire che vengano sbattuti in mezzo ad una strada nel silenzio incurante delle Istituzioni.

L’appuntamento per chi vuole impedire con noi questa ennesima brutalità è venerdì 16 dalle ore 8.00 in Via Don Bosco 31.

BASTA GENTE SENZA CASA; BASTA CASE SENZA GENTE

 

A Enzo, combattente fino all’ultimo respiro

Enzo ci ha lasciato, da tempo lottava contro il cancro che inesorabilmente si è portato via un compagno che ci ha sempre supportato nelle occupazioni abitative, durante i momenti di lotta e nei momenti di bisogno.
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Noi lo ricordiamo durante i lavori di autorecupero della palazzina occupata Ex Dazio Pietra Alta, tutt’oggi occupata da nuclei familiari che hanno conosciuto Enzo che da subito si è reso disponibile, insieme a Nadia e a Siria, la loro figlia, per aiutare e condividere percorsi di lotta per il diritto all’abitare.
Sempre pronto ad aiutare il prossimo, convinto che la partecipazione, e non la delega, dovesse essere la base da cui partire per iniziare a condividere il proprio quotidiano con chi ne avesse bisogno.
Enzo era un uomo semplice, ci piaceva per questo. Diretto, a volte poteva sembrare “eccessivo” con il suo linguaggio, ma sincero e leale, diceva quello che pensava senza tanti fronzoli.
Tifoso del Toro da sempre, Enzo portava il suo ottimismo, il suo impegno e la sua allegria dentro l’occupazione, nelle riunioni e nel quartiere popolare nel quale viveva, il villaggio Snia. Qui giustamente cercava sempre di alimentare quel malcontento crescente contro ATC. Ci ricordiamo bene le riunioni tenute con Enzo e gli inquilini per organizzarci per ottenere la riduzione delle bollette e una migliore cura del quartiere.
Vogliamo ricordarlo combattivo come sempre. Enzo fino all’ultimo respiro ha provato a sconfiggere quel maledetto cancro, ci credeva.
Enzo aveva capito sin da subito che ci sono battaglie che si possono vincere e altre no, ma vale sempre la pena provarci.
Questo insegnamento ci portiamo nel cuore.
Ciao Enzo, che la terra ti sia lieve.
I compagni e le compagne dello sportello Prendocasa; Le famiglie occupanti dell’Ex Dazio Pietra Alta

Il vero volto del PD

bologna_sgombero_noteIn tutta Italia è ormai noto il vero volto del Governo Renzi e delle giunte PD, ma oggi si è reso ancora una volta palese ai nostri occhi: un volto fatto di tante promesse mai realizzate e allo stesso tempo un volto sciupato dalla paura delle forze sociali che dal basso rivendicano a gran voce i propri diritti. Infatti, nella giornata di oggi stiamo assistendo ad un ennesimo sgombero di un’occupazione abitativa a Bologna, nata come molte altre per dare un tetto sopra la testa a chi a causa della crisi economica e della disoccupazione non riesce a pagare un affitto.

L’occupazione in questione è il Condominio sociale di via Mura di Porta Galliera, occupato dal giugno 2014, dove hanno trovato casa più di 60 persone. All’alba la neo-eletta giunta PD ha fornito la sua solita soluzione per i casi di riappropriazione: sgombero forzato con fiumi di polizia, tante promesse e nessuna soluzione reale non temporanea. Quello di cui il PD ha paura e per cui costruisce leggi repressive come il reato di intimidazione è una forza reale e organizzata che si è mostrata appena le voci dello sgombero si sono diffuse. Infatti, poco tempo dopo l’allarme degli occupanti si sono radunati in presidio molti solidali, accorsi da tutta la città per richiedere lo stop dello sgombero forzato e assistere gli occupanti che si sono barricati fornendo acqua e beni di prima necessità. La risposta della polizia non si è fatta attendere: cinque cariche hanno tentato invano di disperdere il presidio che tuttora continua.

Oltre a esprimere la nostra solidarietà, possiamo trarre alcune conclusioni da questa giornata di autodifesa. Innanzitutto, le istituzioni voltano lo sguardo dall’altra parte rispetto alle occupazioni quando si rende palese che senza di queste molte persone vivrebbero un disagio estremo, per esempio durante l’”emergenza freddo”, se di emergenza si può parlare visto che sia le stagioni sia il disagio abitativo sono questioni strutturali. Invece, quando la lotta si prende una boccata d’aria, la risonanza mediatica è bassa, ma ancor più importante, quando buttare in mezzo alla strada delle persone non viene visto come un rischio per la vita di questi, allora la classe politica da il via alla sua macchina repressiva pensando forse che questi soggetti possano andare a dormire in un parco o in qualche panchina. La seconda conclusione è invece meno digeribile dalle istituzioni, riguardando la forza che negli anni si è venuta a creare dal basso e si contrappone a un governo e a delle giunte sempre più chiuse in loro stesse. Si è resa infatti palese in questa giornata la determinazione degli occupanti, pronti a difendere la casa che si sono conquistati, e la solidarietà creatasi tra i movimenti cittadini, subito accorsi alla chiamata. Quindi, possiamo rimanere convinti del fatto che in mancanza di politiche abitative reali l’occupazione è la via per conquistarsi un tetto sopra la testa, conquista che le istituzioni fanno fatica a togliere data la solidarietà che attorno a questi spazi liberati si crea.

Torino: nuova occupazione abitativa a Porta Palazzo

occupaziome_torino_ppNuova occupazione abitativa questa mattina a Torino. Decine uomini, donne e bambini hanno trovato una nuova casa presso un ex istituto tecnico in Corso Ciriè 7.

Così le famiglie sgomberate dallo spazio Neruda (ex CSE), insieme a nuovi nuclei familiari senza casa, hanno aperto le porte dello stabile e sono entrati rilevando lo stato di degrado in cui era ormai sottoposto da molti anni. Ennesimo esempio di come il comune gestisca le politiche abitative della nostra città in cui solo nel 2014 sono state sfrattate oltre 4500 famiglie senza alcun intervento da parte delle istituzioni alle quali ormai rimane il triste primato di aver creato una situazione sociale disastrata.

In un aria pesante come questa, la nuova occupazione riesce a dare respiro e una dignità a decine e decine di famiglie.

Con queste persone anche numerosi solidali che insieme a loro hanno deciso non solo di riappropriarsi dei bisogni e del proprio presente, ma di dare vita a questo spazio anche con attività utili al quartiere in cui è situato: Porta Palazzo.

In uno dei quartieri più popolari e multietnici di Torino, che ha visto negli anni una serie di cambiamenti e riqualificazioni, troviamo appartamenti di lusso o in costruzione che incentivano solamente gli investimenti di privati. Chi vive il quartiere da tempo si ritrova a vivere in alloggi i cui proprietari speculano sulla testa della gente, proponendo soffitte o piccoli alloggi a prezzi esorbitanti sull’affitto.

Il comune non solo non propone alternative concrete a chi butta fuori di casa ogni giorno, ma è il primo attore nell’incentivazione degli affari dei privati sul piano abitativo. L’amministrazione infatti preferisce lavarsi le mani delegando la questione abitativa alle fondazioni private, o alle grandi agenzie immobiliari o ancora alle banche e, a braccetto con i servizi sociali, propone fumose e finte alternative alle persone che tutti i giorni vivono e pagano il prezzo di una situazione di cui non sono responsabili.

Le responsabilità sono infatti di chi siede sulle poltrone dei palazzi, delle istituzioni tutte che non solo creano situazioni di invivibilità per tutta la popolazione, ma sono assolutamente incapaci di gestirla rapportandosi ad un problema di ordine sociale come un problema di ordine pubblico.

 

Leggi il comunicato delle famiglie occupanti:

La casa è un diritto e ce lo riprendiamo!

Questa mattina in circa 40 famiglie abbiamo deciso di riprenderci questo stabile di Corso Ciriè 7. Una scuola di proprietà del comune lasciata da anni in stato di abbandono, come migliaia di altri edifici in città, all’interno di uno dei quartieri più importanti di Torino: Porta Palazzo.

A Porta Palazzo troviamo appartamenti di lusso o in costruzione che incentivano investimenti di privati mentre chi vive nel quartiere da anni si ritrova a vivere in alloggi i cui proprietari speculano sulla pelle della povera gente, proponendo soffitte o piccoli alloggi a prezzi esorbitanti sull’affitto.
Nel corso degli anni questa zona urbana ha visto una serie di cambiamenti e riqualificazioni, dove nuove attività commerciali, soprattutto locali, si sono insediati.
Si è creata così una vera e propria barriera nei confronti di tutta quella fascia di popolazione che come noi non poteva permettersi affitti aumentati per colpa della riqualificazione, e che è stata costretta nel migliore dei casi ad abbandonare la propria zona per trasferirsi e nel peggiore ha perso la casa.

Siamo consapevoli che ormai le storie quotidiane di sfratti e di famiglie costrette a vivere in situazioni di disagio e precarietà quando non in strada non fanno più notizia, come se ormai fossero parte della vita normale di questa città.
Noi, famiglie, uomini e donne che abbiamo vissuto sulla nostra pelle la perdita del lavoro, uno sfratto, la perdita della nostra casa ed ancora l’indifferenza e l’arroganza dei rappresentanti del comune e delle assistenti sociali abbiamo però deciso di non rassegnarci. Insieme, abbiamo deciso di non restare in silenzio, di non continuare ad ascoltare passivamente le false promesse e le velate minacce, ma soprattutto abbiamo deciso di non fare calpestare la nostra dignità.

A giugno abbiamo deciso di trovare una soluzione, che oltre a ridarci una casa ci permettesse di riaffermare il nostro diritto a vivere in modo degno. Abbiamo occupato una palazzina in via Bardonecchia 151, diventato lo Spazio Neruda, di proprietà della cassa depositi e prestiti e come molte altre vuota e destinata a rimanere tale. In pochi giorni quello spazio era tornato a vivere e noi a costruire un presente diverso per noi e per i nostri figli.

Il comune e la prefettura, gli stessi che dichiarano di non avere risorse e soluzioni per tutti quelli che come noi sono in emergenza abitativa, ma che poi improvvisamente trovano milioni per costruire grattacieli regionali e opere inutili, hanno ordinato ed eseguito lo sgombero. Ma questo non ci ha fermati. Siamo ancora qua. E siamo sempre di più.

Non abbiamo ceduto alle minacce, non abbiamo accettato le proposte indegne di dormitori e di dividere le nostre famiglie.

Con l’occupazione a scopo abitativo dello stabile di Corso Ciriè 7, vogliamo oltre ad una casa denunciare non solo gli affari speculativi dei privati con la complicità delle amministrazioni pubbliche, ma anche i continui fallimenti delle politiche socio-abitative del Comune.

Oggi ci riconquistano quella dignità che meritiamo e fin dai prossimi giorni costruiremo con il quartiere nuovi spazi di aggregazione e di discussione.

Invitiamo tutti e tutte a raggiungerci in Corso Ciriè 7.

La casa è un diritto!

Le famiglie dello Spazio Popolare Neruda

Centinaia di fiaccole in marcia ad Alessandria per il diritto all’abitare

alessandria_fiaccolataSabato sera il Movimento per la Casa ha attraversato le strade di Alessandria con fiaccole e striscioni per riportare il tema dell’emergenza abitativa al centro dell’attenzione cittadina e per ribadire, ancora una volta, che la casa è un diritto che deve essere garantito a tutti. Più di trecento persone si sono date appuntamento al Cristo, sotto l’occupazione abitativa di Corso Acqui 289, per poi raggiungere insieme Piazza Santo Stefano. Gli alloggi di Corso Acqui, che Rita Rossa (proprietaria dello stabile in quanto presidente della Provincia) vorrebbe vedere sgomberati in nome di una legalità cieca e disumana, rappresentano oggi una soluzione reale per 12 famiglie che altrimenti sarebbero sotto sfratto o in mezzo ad una strada. A poche centinaia di metri di distanza un altro stabile abbandonato da anni, questa volta di proprietà del demanio militare, ha ridato dignità e riparo ad altre 17 famiglie che, dopo averlo ristrutturato e messo a posto, ne hanno fatto le loro case. Tra le due occupazioni il Villaggio Profughi, uno dei luoghi simbolo della malagestione del patrimonio pubblico, in cui decine di alloggi dimenticati e lasciati vuoti dall’ATC sono stati occupati da chi, stanco di attendere i tempi eterni delle assegnazioni e delle graduatorie, ha deciso di riprendersi da solo una casa in cui vivere.

La scelta di indire il concentramento della fiaccolata al Cristo ha voluto rappresentare una risposta chiara e diretta alle politiche abitative messe in campo dal governo Renzi e dal PD, che con l’approvazione del Piano Casa e dell’Articolo 5 hanno pensato di poter fermare le migliaia di occupazioni abitative che ogni giorno nascono nelle città italiane. Se Renzi pensava che una legge scritta su un pezzo di carta avrebbe fermato il bisogno e la dignità di chi non ha una casa in cui vivere, beh, la quotidianità del mondo reale dimostra che l’obiettivo non è stato raggiunto e che le occupazioni abitative rimangono oggi l’unica risposta concreta ad un dramma che ogni anno coinvolge sempre più persone e a cui le istituzioni non sanno dare risposte.

Sullo striscione di apertura del corteo la scritta “Prima i poveri” – scelta in risposta allo slogan del “Prima gli italiani” con cui partiti come la Lega Nord spingono razzismo e guerra tra poveri – ha voluto mettere in primo piano la dignità di chi, per colpa della crisi e del malgoverno, ha perso il lavoro e non riesce più a sostenere i prezzi degli affitti e delle bollette. Nessuna vergogna, ma solo desiderio di riscatto per chi è povero e sceglie di uscire dalla solitudine e dall’invisibilità per iniziare a camminare a testa alta insieme a tanti altri per riconquistare i propri diritti. Insieme alle donne e agli uomini del Movimento per la Casa erano in piazza anche delegazioni delle famiglie occupanti e sotto sfratto di Asti e Torino e del Presidio Permanente di Castelnuovo che hanno voluto portare la loro solidarietà e che venerdì prossimo, insieme al Movimento alessandrino e a tutte le altre realtà italiane che da anni portano avanti nei propri territori percorsi sul diritto all’abitare, saranno a Roma sotto Palazzo Chigi per chiedere un volta per tutte la cancellazione dell’articolo 5.

La fiaccolata di sabato era aperta dai bambini e dalle bambine delle occupazioni, che hanno voluto contribuire alla costruzione dell’iniziativa con disegni e cartelloni preparati insieme alle loro mamme nei giorni scorsi; sono loro i veri protagonisti della battaglia che i loro genitori hanno intrapreso per ottenere una casa, perché tutti i bambini hanno diritto di essere felici e un tetto sopra la testa è la condizione necessaria perché questo possa avvenire. Ancora una volta, nonostante le tante parole gonfie di legalità e ordine di cui gli adulti che governano si riempiono la bocca, gli sguardi e i sorrisi di quei bambini non lasciano dubbi su quale sia la parte giusta da cui stare.

Ogni sfratto sarà una barricata, ogni struttura vuota una nuova occupazione!

Casa, diritti, dignità!

Movimento per la Casa Alessandria

Sportello per il diritto all’abitare tutti i martedì dalle ore 18 alle ore 21,30 presso il Laboratorio Sociale di via Piave 65

Le foto della fiaccolata

Francesca e Donato liberi subito!

dona_libberoFrancesca e Donato, due nostri compagni del collettivo Prendocasa, sono stati arrestati giovedì scorso per aver partecipato alla manifestazione ‪#‎MaiConSalvini‬ del 28 marzo a Torino.

Come accaduto in molte altre città con lo slogan #MaiConSalvini, nelle settimane precedenti il comizio venne convocato un corteo cittadino per respingere la presenza di Salvini e il suo accolito di leghisti e neofascisti.
La manifestazione di studenti, precari e migranti venne violentemente caricata a pochi metri dalla partenza mentre cercava di raggiungere piazza Solferino, luogo del comizio.
Durante la carica 8 persone furono fermate e poi rilasciate in serata con una denuncia a piede libero, con l’eccezione di Daniele, giovane studente antifascista torinese, che venne trattenuto in carcere e poi trasferito agli arresti domiciliari per alcuni mesi.

A cinque mesi di distanza da quella giornata un’operazione di polizia arresta Francesca e Donato – portati al carcere delle Vallette, mentre altri 4 – Mattia, Damiano, Nicola e Luca – si trovano agli arresti domiciliari.

Notizia di queste ore, per Francesca è stata accolta la richiesta per gli arresti domiciliari mentre per Donato il responso, purtroppo, è stato negativo. Donato rimane dunque l’unico compagno ancora detenuto alle Vallette per il corteo antirazzista e antifascista di #MaiConSalvini

Francesca e Donato li avrete sicuramente visti a uno dei tanti picchetti antisfratto, pronti a portare solidarietà alle famiglie, determinati a strappare la proroga all’ufficiale giudiziario, coraggiosi nell’affrontare le divise chiamate per uno sgombero coatto.

Francesca è la compagna che per contrastare lo sgombero del Neruda era salita sul tetto con altri solidali, pronta a mettersi in gioco in prima persona. Effettuando lo sgombero del Neruda, le istituzioni hanno tolto un luogo dove vivere non solo a Donato, ma anche a decine di famiglie.

Convinti che le persone valgono più delle leggi brutali che buttano in mezzo a una strada migliaia di famiglie, questi nostri compagni oggi sono privati della libertà,

Come collettivo Prendocasa insieme alle famiglie con le quali abbiamo intrapreso un percorso di lotta per la casa, vogliamo Donato e Francesca liberi! Scendere in piazza per la loro immediata liberazione vuol dire ribadire che non siamo spettatori di ciò che accade, ma scegliamo da che parte stare, proprio come stanno facendo i migranti in queste settimane.

Partecipare al corteo di domani sera significa dimostrare a chi ci butta fuori di casa, a chi ci nega la dignità, a chi ci priva della libertà, che le brutalità delle istituzioni e la violenza con cui si impongono non ci spaventano!

L’appuntamento è per domani sera alle 20.30 di fronte alla stazione di Porta Nuova.

Francesca e Donato liberi! Liberi tutti/e!

Contro l’uso dell’art. 610, lo “sfratto a sorpresa”

stop_610I picchetti antisfratto nascono a Torino ormai 4 anni fa, nei primi mesi del 2010. Da allora centinaia sono le famiglie che si sono rivolte agli sportelli casa sorti in città e molteplici sono le occupazioni abitative che si sono susseguite nella metropoli. Sempre più famiglie e singoli decidono di resistere, di organizzarsi, di alzare la testa e di non accettare di essere sbattuti in mezzo ad una strada senza ricevere alcun aiuto da parte delle istituzioni.

La crisi ha messo in ginocchio migliaia di famiglie: 4000 sono gli sfratti eseguiti lo scorso anno nella nostra città nella più totale indifferenza di Comune e Regione.

La risposta delle istituzioni cittadine sulla questione dell’abitare è stata la progressiva abolizione di tutti gli strumenti destinati alle famiglie che affrontano questa situazione emergenziale.

Ottenere una casa popolate mediante emergenza abitativa è ormai un miraggio. I cavilli burocratici studiati dal comune fanno sì che nessuna famiglia possa soddisfare contemporaneamente tutti i requisiti: è di fatto sempre troppo povera o troppo ricca o comunque inadeguata.

Negli ultimi mesi, per sottrarsi alle proteste sempre più frequenti di coloro che vivono sulla propria pelle il problema abitativo, il comune ha eliminato gli sportelli dedicati alle famiglie e sulle scale degli uffici di via corte d’appello sono comparsi solerti vigili per impedire agli utenti di rivolgersi direttamente ai responsabili del servizio. Sembra quindi chiara la volontà delle istituzioni cittadine di sottrarsi al confronto con coloro che hanno perso o stanno perdendo la casa.

Lo stesso atteggiamento si riscontra nella gestione degli sfratti. Le istituzioni ormai incapaci di proporre soluzioni reali alle famiglie che vivono il disagio abitativo delegano e legittimano la questura a trattare il problema politico e sociale dell’abitare come un mero problema di ordine pubblico.

Per evitare il clamore mediatico derivato dallo sgombero di nuclei familiari con bambini piccoli o con storie che possano suscitare attenzione da parte dell’opinione pubblica, comune e questura hanno elaborato ormai da tempo un nuovo strumento: l’articolo 610.

Ciò rappresenta una conferma in più della non volontà del comune di confrontarsi con l’emergenza che sta colpendo la nostra città. Strategia che prevede la chiusura degli spazi di dialogo con le famiglie e demanda la gestione degli sfratti alla questura e rende chiara la volontà di non assumersi la responsabilità politica di quanto sta accadendo.

Assistiamo all’applicazione di nuovi strumenti destinati da una parte a colpire quelle famiglie che attivano percorsi di resistenza, siano essi picchetti antisfratto o riappropriazioni di edifici pubblici abbandonati ormai al degrado. Nell’ultimo anno si è vista la negazione della residenza a coloro che hanno scelto il percorso dell’occupazione e l’applicazione del 610 alle famiglie che hanno organizzato picchetti.

L’articolo in questione permette all’ufficiale giudiziario di presentarsi senza preavviso per eseguire lo sfratto. Questa disposizione mira ad aggiungere precarietà alla precarietà di quanti sono già gravati dal peso di uno sfratto, potendo l’ufficiale giudiziario presentarsi ad eseguirlo in qualunque data, in qualunque momento.

Il 610 permette soprattutto al comune di non prendersi le proprie responsabilità neanche di fronte all’esecuzione materiale dello sfratto. Si evita infatti in tal modo il clamore mediatico derivato dagli sgomberi coatti, mascherandosi dietro un articolo infame e trincerandosi dietro questura e tribunali.

Siamo invece convinti che la situazione attuale sia frutto delle politiche attuate dalle istituzioni cittadine, prime fra tutte le decisioni inerenti l’utilizzo delle risorse pubbliche. Si sponsorizzano progetti inutili e devastanti come le grandi opere; si svende patrimonio pubblico senza una reale redistribuzione degli introiti sul territorio; si sperperano soldi per costruire il grattacielo della Regione, che non verrà utilizzato, mentre si distrugge sistematicamente il welfare.

Emblematici sono i casi di Hassan e Ahmed, che hanno sperimentato prima la lotta sul posto di lavoro contro lo sfruttamento al quale erano soggetti e dopo quella per l’affermazione del diritto ad una casa. Il primo denunciando il datore di lavoro che non lo ha mai regolarizzato, il secondo al CAAT contro le condizioni disumane di lavoro.

Il 5 e 6 novembre di fronte ai picchetti per la resistenza al loro sfratto gli ufficiali giudiziari in accordo con proprietà e questura hanno dato l’infame 610 ed il comune ha così trasformato una responsabilità istituzionale in un cavillo giuridico.

Ad oggi le due famiglie, nonostante le domande di casa popolare ed emergenza abitativa, l’essersi rivolti a lo.ca.re e all’ assistenza sociale non hanno ottenuto nessuna risposta.

Crediamo non sia più tollerabile la totale assenza delle istituzioni incapaci di proporre politiche socio abitative in grado di dare soluzioni reali, l’assoluta mancanza di presa di responsabilità in merito alla situazione attuale e l’applicazione di norme inaccettabili come l’art.610.

L’utilizzo dell’art. 610 non può essere infatti un ulteriore strumento in mano alle istituzioni incapaci di intervenire con soluzioni reali all’emergenza abitativa. A partire dalla situazione di Hassan e Ahmed pretendiamo che il comune trovi soluzioni concrete e prenda posizione sul dilagare dell’utilizzo dell’art. 610 applicando la moratoria per gli sfratti!

Nel frattempo per rispondere ai bisogni reali delle famiglie riteniamo l’occupazione abitativa l’unico e immediato strumento per garantire il diritto all’abitare, nonché una legittimazione politica dello strumento della riappropriazione.

Appuntamenti resistenti

Torino_Due gli appuntamenti di resistenza agli sfratti di questa settimana, il primo il 5 e il secondo il 6 di novembre. Due date nelle quali le famiglie sotto sfratto si contrapporranno alla Questura, se questa deciderà di intervenire con la forza, che ormai ha il mandato del Comune di Torino sulla gestione degli sfratti in città. Una questione politica, visto i numerosi sfratti per morosità nella nostra città, ma che le istituzioni continuano a  delegare alle forze dell’ordine trattando il diritto all’abitare come una mera questione di ordine pubblico. Le responsabilità delle istituzioni locali e del Governo Renzi, sono quelle di non garantire il diritto alla casa ma anzi passano all’attacco, con il piano casa, contro le occupazioni abitative nelle quali molte famiglie trovano riparo dopo gli sgomberi coatti. Notizia di qualche giorno fa è che il ministro Lupi incoraggiava le prefetture a staccare le utenze basilari, luce e acqua, alle occupazioni abitative. Una presa di posizione arrogante pur sapendo che il Governo nulla sta facendo per risolvere l’emergenza abitativa nel paese. Le resistenze agli sfratti, le occupazioni di stabili lasciati vuoti insieme alle mobilitazioni sulla casa sono gli unici strumenti che abbiamo per rispondere alle politiche degli sgomberi, al business della speculazione edilizia, alla mala gestione delle case popolari che continuano a rimanere chiuse e non assegnate, a un intero sistema politico che attraverso il rigore e l’austerità porta molte  famiglie e singoli al limite della sopravvivenza. L’emergenza casa è solo un anello della catena di impoverimento che le istituzioni stanno attuando contro di noi: la disoccupazione, la ristrutturazione del mondo del lavoro sempre più precario e sfruttato grazie al Jobs Act, gli aumenti delle tasse, i tagli dei servizi primari, lo spreco di denaro pubblico (che viene dirottato nelle grandi opere invece di essere investito in politiche sociali per far fronte ai bisogni e necessità di tutti e tutte), sono consequenziali alla perdita della propria casa (e quando non ci sono le istituzioni e/o i palazzinari a sgomberarci ci pensano le banche attraverso i pignoramenti).  A tutto questo noi dobbiamo opporci con forza affinché le nostre vite riconquistino quella dignità che le istituzioni ci stanno togliendo.

Qui sotto le storie delle famiglie che resisteranno agli sgomberi del 5 e 6 novembre. Per tutti l’appuntamento è alle le ore 8 del mattino sotto le abitazioni delle famiglie

 

Lyazil vive in quest’appartamento insieme alla moglie e ai 2 figli. Lyazil ha sempre regolarmente pagato l’affitto fino a quando l’unico sostentamento dovuto al suo lavoro e’ venuto a mancare. Lyazil ha lavorato per tanti anni in nero in una fabbrica alle porte di Torino, e quando ha richiesto al suo datore di lavoro la regolarizzazione ha ottenuto in cambio il licenziamento in tronco!. La causa di lavoro portata avanti e vinta ha permesso a Lyazil di continuare a pagare l’affitto fino a quando i soldi ricevuti dal datore di lavoro sono finiti e Lyazil e’ diventato moroso incolpevole.
Il proprietario di casa, che come spesso avviene possiede numerosi appartamenti in Torino, ha celermente provveduto a inviare lo sfratto per morosità’.
Proprietario di casa che affittava l’appartamento in cui Lyazil vive in condizioni che superavano l’agibilita’ e, proprio per le condizioni di degrado in cui sono stati costretti a vivere, la figlia piu’ piccola di Lyazil ha avuto dei seri problemi di salute tanto da doversi recare piu’ volte all’ospedale per sottoporsi a delle cure mediche piuttosto serie!!
Anche Lyazil, come tutte le famiglie che si trovano sotto sfratto, ha provato a seguire le vie istituzionali rivolgendosi all’emergenza abitativa che, come ormai prassi consolidata, ha respinto la sua domanda. Lyazil ha provato anche a fare ricorso e a tutt’oggi e’ ancora in attesa di una risposta dall’emergenza abitativa.

MERCOLEDÌ 5  NOVEMBRE, VIA CAPUA 30 Torino

 

 

Da sette anni Ahmed vive con sua moglie e le tre figlie, di nove, sei e tre anni nell’appartamento di Lungo Dora Siena 18.
La storia di Ahmed, è come quella di tanti, fatta di sacrifici sul lavoro in cui si viene sfruttati e dell’aumento costante del costo della vita aggravato dalle spese mediche sostenute per la bambina più grande invalida.
La storia di Ahmed, è però soprattutto una storia di lotta e dignità: sul lavoro dove è stato tra i promotori delle battaglie per la regolarizzazione dei contratti – per la casa contro istituzioni che non sono in grado di dare nessuna risposta e palazzinari pronti a qualsiasi cosa per entrare nel business dell’affitto agli studenti – e contro il sistema dell’assistenza sociale che ad oggi non ha fornito nessun aiuto per la figlia invalida.
Per sette anni Ahmed, con lo stipendio di facchino al CAAT (Centro Agroalimentare di Torino) ha infatti sempre pagato puntualmente affitto e spese condominiali.
Nel 2012 è stato tra i promotori della lotta al CAAT contro le condizioni di lavoro inumane imposte dalle cooperative del centro di smistamento: turni di 14 ore, paga spesso inferiore ai 3 euro/ora, nessun diritto alla mutua ed alla retribuzione delle ferie. Per questo lo stesso anno, nonostante le nottate di lavoro, non gli sono stati versati molti stipendi e non è riuscito a pagare la rata esorbitante, di 1.700 euro di riscaldamento, richiesto dalla proprietaria.
Ahmed ha subito cercato di trovare un accordo con la proprietaria, proponendo di saldare il debito a rate e continuando a pagare puntualmente l’affitto.
La proprietaria ha invece deciso di cogliere la palla al balzo per sfrattare la famiglia di Ahmed, in modo da destinare l’appartamento, come gli altri di sua proprietà al ben più lucroso business di affitto agli studenti.
Ahmedha provato a seguire le vie istituzionali rivolgendosi all’emergenza abitativa che, come ormai prassi consolidata, ha respinto la sua domanda.
Ahmed ha diritto con le sue tre figlie ad una casa popolare, è cinquantasettesimo in graduatoria ed ha 17 punti, ma il Comune ha risposto che fino a gennaio non se ne parla
Il 6 Novembre, Ahmed resisterà allo sfratto rivendicando il diritto ad una vita dignitosa per se e le sue figlie.
Con determinazione non piegherà la testa di fronte ad un Comune, che ha cancellato il diritto all’abitare trasformando con le sue politiche Torino nella capitale degli sfratti.
Perché la situazione attuale è frutto delle politiche scellerate di Comune e Regione che sottraggono costantemente le risorse al welfare per destinarle alla costruzione di una città vetrina inesistente ed a progetti di devasto ambientale come il TAV.
Assistiamo al progressivo disfacimento dei palazzi costruiti per le Olimpiadi 2006, ad oggi abbandonati o gestiti da palazzinari senza scrupoli ed allo smantellamento dell’edilizia popolare.
Le case ATC vengono affittate a prezzi di mercato con LOCARE, le risorse per la casa vengono investite per promuovere contributi per i costruttori in una città che ha più di 30.000 alloggi vuoti.
Per tutti questi motivi Ahmed ha deciso di continuare a lottare con determinazione e non uscirà di casa fino a che il Comune di Torino non gli assegni la casa popolare o gli garantisca una soluzione alternativa adatta alla sua famiglia.

GIOVEDÌ 6 NOVEMBRE, LUNGO DORA SIENA 18 Torino

 

#21G Ottenuta proroga grazie al picchetto anti-sfratto in una casa A.t.c. a Settimo Torinese

stop_sfrattiSfratto evitato oggi a Settimo Torinese alle case A.t.c. di via Primo Levi.

Luigi, cassa integrato, stretto dalla morsa della crisi, rimane indietro nei pagamenti; per colpa del comune che non comunicava all’A.t.c. che il signore è in cassa integrazione l’istituto ci ha messo un anno per adeguare il canone al suo redditto che si è ridotto; comune che, veniamo a scoprire dalla stessa A.t.c., non ha ancora versato la sua quota del fondo regionale degli scorsi 3 anni

Alla sua disponibilità di dargli intanto i 300€ che tirando la cinghia era riuscito a mettere da parte per loro l’istituto ha rifiutato e la soluzione da loro proposta è stata di prelevargli direttamente dalla sua busta paga 200€ ogni mese per 120 mesi per ridargli molto di più del debito che gli deve, quando lui già con lo stipendio ridotto per finanziamenti e cassa integrazione dovrà pur mangiare.

Lui ha anche chiesto di fare cambio con un alloggio più piccolo per pagare meno e riuscire più facilmente a rientrare degli arretati ma l’A.t.c., contro anche i suoi stessi interessi, non gli viene incontro con la solita motivazione del fatto che lui risulta moroso.

L’unico “aiuto” invece degli assistenti sociali è stato di togliergli il figlio di 17 anni per darlo in affidamento!

Come al solito per le mancanze delle istituzioni preposte una persona rischiava di venire privata del diritto di avere un tetto sulla testa.

Si sono dunque presentati il funzionario A.t.c. con ufficiale giudiziario, fabbro e 2 furgoni già pronti per portargli via i mobili, alla loro intransigenza di effettuare lo sfratto il picchetto ha risposto con fermezza e nonostante loro chiamassero una pattuglia dei carabinieri e minacciassero l’intervento della forza pubblica ribadiva che sarebbe rimasto fino a che non si fosse data una soluzione al signor Luigi.

Grazie alla determinazione del picchetto anti-sfratto si é quindi riusciti a venire a un accordo per evitare che Luigi perda la casa e a un piano di rientro più “umano” e più compatibile col suo redditto di cassa integrato; hanno anche accettato di cambiargli la casa troppo grande e onerosa con una più piccola e più compatibile con i suoi bisogni.

Come sempre la lotta paga e alle minacce di sfratti saremo sempre pronti a rispondere con un picchetto per difendere il diritto all’abitare.

Torino #15G #Ribaltiamo l’austerity con…il blocco degli sfratti! pt.3

sfrattoGiornata di resistenza agli sfratti oggi a Torino. Giornata che rientra appieno nella settimana di mobilitazione, lanciata da Abitare nella crisi, da oggi 15 a mercoledì 22 gennaio.

Roberto 62 anni ha perso il lavoro già da diversi anni ma per un pò è riuscito ad arrangiarsi tra il tirare la cinghia e aiuti di vicini ma a un certo punto non ce l’ha più fatta a far fronte all’affitto di 500€ dell’alloggio dove vive da solo; troppo giovane per andare in pensione coi criteri attuali, troppo vecchio anche solo per sperare di rientrare nel mondo lavorativo si è trovato sfrattato, e nessuna risposta degna ha avuto da quelle istituzioni che dovrebbero aiutare i casi come il suo: emergenza abitativa servizi sociali comune.

Già dal mattino molto presto i militanti dello sportello Prendocasa e molte persone solidali si sono trovati per dar vita a un picchetto anti-sfratto per aiutare Roberto a resistere al tentativo di buttarlo per strada. All’arrivo dell’ufficiale giudiziario, grazie al supporto di tutti e tutte, si è riusciti ad ottenere, dopo che gli si voleva dare solo 2 settimane “giusto per portare via i mobili”, un rinvio fino al 18 marzo dove, se nel frattempo non sarà stata data da chi “dovrebbe” occuparsene una sistemazione adeguata al signor Roberto, saremo ancora una volta lì a ribadire che la casa è un diritto e un bisogno primario!

Una settimana di mobilitazione accennavamo prima quella che parte oggi che, in continuità con l’assedio ai ministeri e l’accampada di Porta Pia del 19-20 ottobre di Roma, tocca il tema della resistenza agli sfratti ma non solo; anche le bollette di luce e gas che ormai sempre più persone e famiglie fanno fatica o non riescono proprio a pagare, fino a dover vivere senza luce in casa, rientra nei bisogni che sono primari e dovrebbero esserlo anche per chi è senza redditto.

Anche il tema della riappropriazione è centrale quando a fronte di case sia private che pubbliche lasciate vuote ci sono sempre più persone che vivono per strada, o che ci stanno finendo a causa degli sfratti, sopratutto per morosità incolpevole, che sono in continua crescita, e in questo senso Torino è la capitale degli sfratti con il più alto rapporto di sfratto in rapporto alla popolazione.

La logica del profitto, le privatizzazioni, le dismissioni del patrimonio pubblico, i tagli al già poco welfare che c’era stanno lasciando nella precarietà più assoluta milioni di persone, in Italia come negli altri paesi del bacino del Mediterraneo.

La rabbia per questi diritti negati dovrebbe esprimersi con forza e dovrebbe farlo subito per fronteggiare un’offensiva fatta di sfratti, distacchi delle utenze, pignoramenti e sgomberi.

Le giornate di lotta, di resistenza e di riappropriazione continuano…