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Cosa significa essere sfrattati dal palazzinaro Giorgio Molino
Torino Sta con la famiglia di Said: al Referendum votiamo NO!
La vivibilità del territorio in cui abitiamo e cresciamo i nostri figli è una delle questioni che più ci interessa e tocca da vicino gli aspetti più quotidiani delle nostre vite. Le politiche territoriali che si applicano nei nostri quartieri sono influenzate (se non imposte) da un livello più alto, quello nazionale: quello che è successo a Said, Kadija e i loro bimbi ne è la riprova più palese e sconfortante.
Disoccupati a causa della crisi, come tanti nel nostro territorio, aspettavano la casa popolare rispettandone la graduatoria. Nonostante l’emergenzialità della loro situazione (dal 2014 avevano dichiarato all’emergenza abitativa di essere sotto sfratto), l’attesa è rimasta lunga, questione di anni. A fronte di 15mila richieste su circa 500 assegnazioni annue, sono moltissime le case Atc vuote in attesa di ristrutturazione, ma nonostante ciò vengono stanziati sempre meno fondi con il rischio non solo di un peggioramento dello stato di abitabilità degli alloggi, ma anche di dover ricorrere a (s)vendite o donazioni di grandi enti privati che ne sanciscono spesso e volentieri un meccanismo di speculazione immobiliare.
Per risolvere questo stallo di domanda-offerta (comune a tutte le città italiane, non solo a Torino), il “Piano Casa” varato da Renzi e Lupi ha incoraggiato quest’ultima tendenza attraverso l’art. 3, aumentando la svendita del patrimonio di edilizia pubblica e incentivando proprio la speculazione edilizia. Così le politiche nazionali incidono fortemente sul nostro territorio e la nostra quotidianità: la qualità della vita di fette sempre più vaste della società si abbassa, andando ad impoverire sempre di più non solo chi già si trova in una situazione di difficoltà economica, ma anche le classi medie. Come diretta conseguenza di questa tendenza, la ricchezza che tutti contribuiamo a produrre confluisce nelle tasche di sempre meno individui (e sempre gli stessi).
La ripercussione sociale di questo atteggiamento del governo, è stata la sfiducia della popolazione nei confronti della politica, mettendo sempre più distanza tra i cittadini e i politici. Se questo non fosse bastato, la volontà di cambiare la costituzione appellandosi di facciata ai costi della politica, ma evidentemente col fine di rendere i “professionisti” della politica (o della corruzione?) sempre più autonomi (e non eletti), segnerà un abisso ancor più profondo tra noi e loro.
Su questo siamo chiamati a scegliere al Referendum costituzionale del 4 dicembre: creare un varco ancor più profondo tra politica e cittadini per mantenere stretto il legame con le imposizioni dell’economia e la finanza globalizzata, scelta marcata da Renzi come “innovazione”, o mantenere lo status quo. Una scelta piena di dilemmi, che crea grandi spaccature, perché nessuna delle possibilità è realmente positiva.
Bisogna votare NO, ma solo il voto non basta. Bisogna fare in modo che questo voto sia solo il primo passo di un percorso contro il governo Renzi come simbolo di una politica nociva per i territori, una lotta capace di riempire le piazze e far arrivare la propria voce laddove il referendum non è sufficiente.
Dobbiamo renderci padroni delle nostre scelte, è finito il tempo di delegare e partecipare solo con il voto, senza alcun partito che ci rappresenta e con un governo nemmeno eletto, c’è chi dice NO con il voto e scende nelle strade di Roma il 27 Novembre per una grande manifestazione nazionale. In quella data, il popolo del NO avrà l’opportunità di urlare a gran voce il perché del suo voto e fermare la deriva autoritaria del governo Renzi.
Pagina Facebook: C’è Chi Dice No
Torino, Molino chiede i danni
Non c’è mai limite al peggio…è quanto si potrebbe dire di questa storia tutta italiana dove chi si trova a dover fare i conti con la crisi e la perdita della casa, con un brillante colpo “giudiziario” diventa il carnefice.
Ma andiamo con ordine..
Said, sua moglie e i suoi 3 figli minori vivono in un appartamento di proprietà del signor Giorgio Molino (il famoso “ras delle soffitte” proprietario di più di 1850 appartamenti in Torino e provincia, di 200 ettari di terreno agricolo, palazzi, negozi e perfino una caserma).
La famiglia di Said ha sempre pagato regolarmente l’affitto per più di 10 anni e, nel 2014, a causa della perdita del lavoro di Said, le difficoltà ad arrivare a fine mese e a pagare l’affitto sono diventate sempre più evidenti fino ad arrivare allo sfratto per morosità diventato esecutivo nell’estate del 2015.
A giugno e luglio del 2015 Said e la sua famiglia non si sono trovati soli ad affrontare la paura di essere mandati in mezzo ad una strada (ovviamente hanno tentato il percorso istituzionale attraverso l’emergenza abitativa che prontamente ha dato esito negativo) e, in entrambi gli accessi, un “muro popolare” di solidali e abitanti del quartiere Vanchiglia si sono ritrovati sotto casa di Said per cercare di bloccare lo sfratto.
E’ proprio per la “paura della resistenza e della solidarietà” che il signor Molino ha prontamente richiesto l’applicazione dell’art. 610 (sfratto a sorpresa) che a Torino è diventata pratica abituale da ormai 3 anni quando ci sono i picchetti di solidali ad impedire lo sfratto.
Diversamente dalle altre volte in cui è riuscito ad ottenere che lo sfratto a sorpresa fosse eseguito in tempi rapidissimi (in un caso addirittura è riuscito a farlo eseguire a neanche un mese di distanza), questa volta è passato quasi un anno dall’ultimo accesso.
Stamattina si presenta a casa di Said l’ufficiale giudiziario non per eseguire lo sfratto a sorpresa ma per notificargli un ricorso al TAR (tribunale amministrativo regionale) nel quale il signor Molino chiama in causa Said, il Ministero degli Interni e il Ministero di Grazia e Giustizia per richiedere i danni a lui causati dalla resistenza allo sfratto.
Si legge infatti nel lunghissimo ricorso che, per ben due volte la mattina degli accessi l’ufficiale giudiziario non ha potuto eseguire lo sfratto perché presenti numerosi soggetti appartenenti al centro sociale limitrofo all’abitazione e che proprio per questo motivo veniva richiesta l’applicazione dell’articolo 610 da eseguirsi entro e non oltre settembre 2015.
Siccome gli sfratti non vanno in vacanza, ad agosto un solerte giudice acconsente alle richieste di Molino e autorizza lo sfratto a sorpresa da eseguire entro settembre.
E, visto che questo non è avvenuto ora il signor Molino chiede i danni economici per le sue mancate entrate per non aver liberato il suo alloggio. Affitti che per lui ammontano a circa 420 euro mensili.
Vogliamo ricordare al signor Molino, che forse ha la memoria corta, che l’appartamento di Said che per lui ha un introito di 420 euro al mese non è a norma di legge, come la maggior parte degli alloggi di sua proprietà, e che più volte è stato segnalato il fatto che deve eseguire dei lavori di ripristino delle tubature dell’acqua che hanno danneggiato l’appartamento già fatiscente di Said e che se non eseguiti potrebbero portare a delle conseguenze ben più gravi anche per l’incolumità della famiglia.
Non ci interessa seguire l’operato degli “organi giudiziari” che, soprattutto quando si tratta di reprimere le lotte sociali, si siedono sempre dalla parte del “più forte”, quello che più appare evidente in tutta questa “kafkiana storia” è che la lotta paga (non in termini economici sia chiaro) e non ci sono tribunali, Molino o ufficiali giudiziari che possano frapporsi tra chi vede negarsi un diritto fondamentale come la casa e chi della lotta ha fatto una scelta di vita quotidiana.
Staremo a vedere come andrà a finire, per adesso Said e la sua famiglia continuano ad avere un tetto sopra la testa mentre Molino, calcolatrice alla mano, fa i conti con i suoi mancati guadagni.