Come muore una città: in risposta a Fassino

torino_presidio_occupLe famiglie dello spazio popolare Neruda si sono recate all’ex caserma De Sonnaz dove si teneva un incontro sulla “Torino che cambia” alla presenza del sindaco Piero Fassino, del governatore della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e dell’ex sindaco Castellani. Un’occasione per portare all’attenzione dell’amministrazione locale la questione del diritto alla casa, ma arrivate sul posto ancora una volta le famiglie occupanti si sono trovate davanti i cordoni della polizia che non hanno esistato ad aggredire il presidio, nel quale c’erano anche molti bimbi dell’occupazione. Di seguito il comunicato dele famiglie dello spazio popolare Neruda in risposta alle dichiarazioni del sindaco Fassino:

Questa è la domanda che vorremmo fare al sindaco Fassino. Oggi in occasione di una pomposa festa per celebrare il trentennale del piano regolatore della città il nostro Piero ha affermato che le tesi e le teorie di chi lotta per il diritto alla casa avrebbero portato alla morte di Torino.

Un affresco della città reale però ci racconta altro, ci racconta dei sussulti di uno stremato tessuto sociale. Ci racconta dei servizi e dei trasporti praticamente ridotti all’osso, alcune aree della città sono raggiungibili solo a piedi, ci racconta di una sanità attaccata duramente dalle politiche regionali e del governo. Ci racconta di una delle metropoli più indebitate d’Italia, costretta a svendere per quattro denari il proprio patrimonio e a privatizzare i diritti. Ci racconta di 4500 sfratti l’anno a fronte di mega speculazioni edilizie e grandi eventi. Ci racconta dell’abbandono in cui versano i quartieri popolari ed i loro abitanti. Ci racconta lo stato continuo di emergenza in cui ci è imposto vivere e l’incertezza a cui le nostre vite sono ridotte.

Fassino ci deve dire quali grandi successi vorrebbe festeggiare, quelli della sua incompetenza o quelli della volontà di riempire le tasche dei soliti noti per mandare la barca avanti, mentre tutti gli altri naufragano nel devasto sociale che opprime questa città?

Noi con umiltà crediamo che nel corpo morente di questa città chi alza la testa per rivendicare la propria dignità sia linfa vitale per alimentare un cambiamento. Solo i grigi burocrati e i loro tecnici chiusi nei buffet e aperitivi alla moda possono credere ancora a una classe politica per lo meno incompetente se non complice.

Se Fassino oppone la vita di migliaia di persone ai profitti di pochi, ci chiediamo chi si sta macchiando realmente dell’omicidio di questa città e dei suoi abitanti…

Noi per conto nostro continueremo a cercare di costruire un’alternativa per i nostri figli e per i molti bambini che vivono nello Spazio Popolare Neruda, per chi vive con vergogna e difficoltà una crisi che di certo non ha provocato, per la città migliore che si sta mettendo in movimento.

Poche righe vanno anche ai media che oggi hanno tratteggiato una giornata diversa da quella che abbiamo realmente vissuto. I video e le foto dimostrano chiaramente che non c’è stato alcun tentativo di entrare nella sala in cui si teneva la festicciola della compagnia di Fassino, ma che la polizia è intervenuta a freddo e senza evidenti motivi di sicurezza. Siamo abituati ormai da anni in questa città a vedere questioni sociali gestite come problemi di ordine pubblico. Lì dove soluzioni non si trovano o non vogliono essere trovate interviene come sempre l’arroganza del manganello e dei caschi blu. A Fassino vogliamo dire che reprimere il dissenso e le questioni sociali è proprio uno dei modi per uccidere questa città e ridurla al silenzio, purtroppo per lui i nostri polmoni sono ancora pieni di aria, il nostro cuore batte forte e la nostra gioia e la nostra rabbia sono vive e vegete.

Le famiglie dello Spazio Popolare Neruda

Torino: assemblea pubblica al Gran Balon

Porta palazzo è uno dei quartiere multietnici della nostra città. Il simbolo di Porta Palazzo è il mercato, il mercato di Porta Palazzo, un’identità per il quartiere dove tanti, fra italiani e migranti, vivono e lavorano in questo spazio urbano. Nel corso degli anni però questa zona urbana ha visto tutta una serie di cambiamenti e riqualificazioni, partendo dal Quadrilatero Romano, zona adiacente a Porta Palazzo, dove nuove attività commerciali, soprattutto locali, si sono insediati fin dagli anni Novanta creando una vera e propria barriera nei confronti di tutta quella fascia di popolazione che non poteva permettersi affitti aumentati per colpa della riqualificazione/gentrificazione, costretti ad abbandonare la loro zona per trasferirsi in altri quartieri della città.

Il quartiere di Porta Palazzo vive una serie di contraddizioni, una sulla quale ci preme prendere parola è quella delle abitazioni.
A Porta Palazzo troviamo appartamenti di lusso o in costruzione che incentivano investimenti di privati mentre chi vive nel quartiere da anni si ritrova a vivere in alloggi i cui proprietari speculano sulla pelle della povera gente, proponendo soffitte o piccoli alloggi a prezzi esorbitanti sull’affitto, personaggi spregevoli come Giorgio Molino conosciuto con il soprannome di «ras delle soffitte» e proprietario sotto la Mole di circa 1200 alloggi, la maggior parte dei quali affittati a migranti. Seppur coinvolto in vicende giudiziarie legate alle condizioni fatiscenti degli alloggi in affitto ai migranti, sui quali guadagnava circa 600mila euro al mese, il Comune e la Prefettura ancora oggi gli appaltano la fornitura per ” l’accompagnamento sociale” delle famiglie rom sgomberate dal campo di Lungostura Lazio e sempre a lui erano andati i soldi che la Prefettura stanziò nel 2011 per circa duecento profughi arrivati da Lampedusa.

Una piccola ma significante “Mafia Capitale” sotto la Mole.

Mentre le istituzioni locali continuano a legittimare personaggi del calibro di Giorgio Molino e/o favorendo gruppi immobiliari e grandi costruttori, nuclei familiari sfrattati che occupano stabili pubblici abbandonati entrano nel mirino di quelle stesse istituzioni che invece garantiscono e legittimano speculatori e affaristi.

Questa domenica le famiglie sgomberate il 7 luglio scorso dall’ex CSEA di via Bardonecchia si troveranno proprio a Porta Palazzo per un’ assemblea pubblica il cui tema sarà il diritto alla casa. L’intento è di cercare di dare voce a tutte quelle persone che oggi vivono in solitudine il disagio abitativo. Insieme vogliamo provare ad infrangere questo silenzio assordante in cui sembra che a Torino il disagio abitativo non esista, vogliamo smentire la propaganda politica delle istituzioni che narra di soluzioni abitative per famiglie in difficoltà, senza però accennare minimamente a quali soluzioni si fa riferimento, Di solito queste “soluzioni” proposte dalle istituzioni sono tampone, temporanee, in alcuni casi che smembrano il nucleo familiare, le stesse che sono state proposte alle famiglie sgomberate da via Bardonecchia e che oggi si ritrovano senza casa o vivono in alloggi di fortuna.

Quando diciamo istituzioni intendiamo tutti quei luoghi decisionali e di governance del territorio, responsabili della crisi sociale in città: dal Comune a guida PD, alla Prefettura, dai servizi sociali fino ad ATC. Quest’ultimo gestisce un immenso patrimonio pubblico di cui la metà non viene assegnato, il restante viene assegnato a singhiozzo senza riuscire, fra l’altro, a soddisfare le innumerevoli richieste di casa popolare. Di questo e di molto altro vorremo discutere domenica nell’assemblea nella quale saranno presenti famiglie e singoli. La giornata inizierà alle 13 con volantinaggi e consulenza gratuita tramite sportello casa, alle 16 continuerà con un primo momento di socialità e merenda per i più piccoli e a seguire inizierà l’assemblea pubblica. Invitiamo tutte e tutti a partecipare a questo momento di confronto per provare a costruire insieme una vertenza sulla casa in città, per non essere più costretti a vivere in alloggi di fortuna o in macchina.

E’ necessario organizzarsi per ottenere dei risultati: un reale blocco degli sfratti,l’utilizzo del patrimonio immobiliare sfitto.

Partecipa e organizziamoci! Uniti si vince!

Verso la fiaccolata del 10 Ottobre, continuano i blocchi degli sfratti ad Alessandria

alessandria_resifrattiÈ ricominciato l’autunno e con la caduta delle prime foglie tornano ad aumentare le letterine verdi che comunicano a centinaia di famiglie le procedure di sfratto avviate nei loro confronti.

Alessandria è in cima alle classifiche nel rapporto fra numero di abitanti e sfratti esecutivi avviati ed ogni anno i dati sono in crescita; se la crisi, la perdita del lavoro e l’aumento degli affitti hanno gettato migliaia di famiglie nella povertà, la responsabilità reale del problema non può che essere individuata nelle scelte del Governo Renzi e di chi amministra il Comune e l’ATC.

Il continuo aumento di iscrizioni alle graduatorie per case popolari e le richieste di intervento per venire a capo dell’emergenza abitativa sembrano essere inversamente proporzionali alla volontà della giunta Rossa di affrontare il problema e ormai il silenzio dei palazzi è interrotto solo da brevi sfuriate in cui si inneggia alla legalità e si condannano le famiglie che, di fronte alla mancanza di risposte, hanno scelto di trovare soluzioni dal basso e autonomamente.

Quel che è peggio è che alle sfuriate si accompagnano sempre più spesso gli unici fatti concreti messi in campo dall’alto, primo fra tutti il tentativo di sgomberare le tante case di proprietà dell’ATC occupate: a partire dall’inizio di quest’anno sono molte le famiglie occupanti per necessità che si sono rivolte allo sportello del Movimento per la Casa con l’obiettivo di costruire rete e impedire agli ufficiali giudiziari di commettere l’ennesima ingiustizia effettuando gli sgomberi.

Intanto i tentativi di sfratto di famiglie che non riescono a pagare gli affitti esorbitanti imposti negli alloggi privati sono ormai diventati una quotidianità.

Nel corso dell’ultima settimana le donne e gli uomini del Movimento per la Casa sono intervenuti due volte per evitare che altre famiglie finissero in mezzo a una strada. Lo sfratto previsto questa mattina in Via Tiziano, dove vivono Dino con sua moglie e la loro bambina di appena 9 mesi, è stato rimandato al 19 Novembre, mentre lunedì scorso un altro sfratto ha avuto una proroga al 7 Luglio.

Di fronte alla scelta di affrontare il tema dell’emergenza abitativa con sgomberi e sfratti vince la determinazione di chi decide di creare solidarietà e rete con chi vive la stessa situazione, di chi rivendica la propria esistenza difendendo la propria casa, una casa in cui vive da anni e che altrimenti sarebbe rimasta vuota.

L’unica strada possibile per rispondere alla violenza di chi governa questa città è una strada collettiva, fatta di relazioni, dignità, condivisione e resistenza; è la strada che percorreranno insieme sabato 10 ottobre tutti gli uomini, le donne e i bambini di Alessandria determinati a difendere le proprie case e stanchi di aspettare le sempre più improbabili soluzioni promesse dall’alto dei palazzi.

La fiaccolata si svolgerà sabato 10 Ottobre, con ritrovo ore 20.30 presso le palazzine occupate di Corso Acqui 289 (piazzale LIDL, quartiere Cristo).

Movimento per la Casa

www.alessandriainmovimento.info
www.abitarenellacrisi.org

Sportello per il diritto all’abitare tutti i martedì dalle 18 alle 21,30 presso il Laboratorio Sociale di via Piave 63

Tante parole pochi fatti

lastampa_sfrattiAl contrario di quanto viene scritto sulla cronaca locale, agli sfratti in città non si da un freno. Continuiamo a ripeterlo perchè ci sembra importante contrastare la narrazione tossica della stampa mainstream che utilizza un linguaggio pieno di speranza e di buoni propositi atto ad evocare una soluzione in tempi brevi.

Renzi docet…

All’articolo di ieri, uscito sulla Stampa, che dava spazio ad un clamoroso calo degli sfratti, poniamo un dato di realtà che ben diverge dalla solita propaganda istituzionale: in una giornata due gli sfratti difesi dalle famiglie dell’ex spazio Neruda che insieme agli sfrattati sono riusciti ad ottenere entrambi i rinvii.

Questo è un fatto. Ma tornando all’articolo di ieri, qui non si tratta di fare le pulci ad un 5% di calo degli sfratti ma di entrare nel merito dell’emergenza casa. Resta comunque insufficiente un calo di questa portata a fronte di migliaia di famiglie sotto ricatto dall’incubo sfratto. E poi ci chiediamo come si possa sbandierare un dato di questo genere (nei primi sei mesi sono calati del 5% rispetto all’anno scorso) senza tenere conto delle tante famiglie sfrattate nei mesi e negli anni precedenti e che oggi si trovano sparsi per la città in angusti box riutilizzati come alloggi di fortuna o assistiti per un tempo limitato da associazioni o enti religiosi (ultima trovata del comune pur di non dare soluzioni concrete e definitive al disagio abitativo).

Anche qui, non ci interessa discutere la filantropia, quando questa si manifesta, degli enti religiosi, ma invece mettiamo a critica le politiche abitative promosse dalle istituzioni che producono solo sfratti e sgomberi.

Questo è un altro fatto. Il resto, sono solo chiacchiere e propaganda istituzionale.

Riprendono le resistenze in città

prendocasa_stellaSono riprese le resistenze agli sfratti. La tanto decantata proroga annunciata dal comune ancora non si vede ma soprattutto non ne sortiscono gli effetti. Molte famiglie torinesi continuano a rivolgersi agli sportelli casa sparsi in città continuando a fidarsi sempre più di compagn*, attivist* e solidali per cercare di strappare insieme a loro una proroga che possa permettergli di avere del tempo necessario per potersi organizzare di fronte all’imminente sfratto.

Anche oggi la resistenza della famiglia di Joy è riuscita ad ottenere un rinvio. Al contrario di quello che vorrebbero farci credere le istituzioni, gli sfratti non si fermano e le famiglie continuano a ricevere risposte negative dagli enti preposti per la casa popolare (sempre meno, pronta a scomparire per dare spazio alla truffa del housing sociale): la richiesta di emergenza abitativa ormai è pura formalità. È un ufficio nel quale vieni inserito in una lunghissima lista in attesa di poter accedere (per i più fortunati) ad una casa popolare. Ad oggi questa lunghissima lista rimane tale, i requisiti per accedervi diventano sempre più irraggiungibili dai più. Insomma, uno strumento reso inutile dalle politiche fallimentari sulla casa che crea sconforto e isolamento nelle persone che cercano di ottenere delle soluzioni concrete al disagio abitativo dilagante in città.

Rompere l’isolamento delle famiglie e/o dei singoli si può. Potrà sembrare uno slogan ma non è così: la lotta per la casa rompe l’isolamento; non solo regala piccole soddisfazioni (o vittorie fate voi) riuscendo ad ottenere le proroghe ma permette anche di creare comunità, gruppi di persone che si aiutano reciprocamente.

Questo permette l’unica vera moratoria sugli sfratti in città. La ripresa della dignità ridà ossigeno e vitalità alle famiglie che intraprendono questo percorso. Incontrare la solidarietà della gente comune che magari non ha il tuo problema ma ne condivide le ragioni rimette in moto quella fiducia in se stessi persa o abbandonata.

Per questo facciamo appello a quanti vogliono contribuire ad aiutare le famiglie che in questi giorni scenderanno in strada per difendere la propria casa. I prossimi appuntamenti sono: 17/9 via bergamo 11; 17/9 via vanchiglia 41; 18/9 via rocciamelone 16.

In tempo di crisi, creare spazi di solidarietà attiva e costruire comunità in lotta sono modi per uscire dall’apatia e dall’individualismo nelle quali le istituzioni ci vorrebbero relegare.

Ci vediamo nelle strade! Per tutti l’appuntamento è alle ore 8

Torino: terza giornata conclusiva di resistenza agli fratti

foto.resizedLe tre giornate di resistenza agli sfratti si concludono oggi ottenendo un ulteriore rinvio per Alì e la sua famiglia. Alì, lavoratore egiziano del Catt che si è battuto durante le lotte per migliorare le condizioni di lavoro all’interno del consorzio alimentare, vive nell’alloggio di C.so Svizzera 72 con suo fratello, le rispettive mogli e tre bambini. L’alloggio è stato pignorato dalla banca perché la sua famiglia non era più in grado di garantire il pagamento del mutuo. Le famiglie, insieme al nutrito picchetto antisfratto, sono riuscite ad ottenere un rinvio fino a settembre. Come per le precedenti giornate di resistenza, l’ufficiale giudiziario non si è presentato davanti all’abitazione di Alì ma ha preferito depositare direttamente negli uffici preposti il suddetto rinvio; in questi giorni si capirà la data esatta della proroga per poter così nuovamente organizzare le resistenze nel mese di settembre.

Questo tipo di approccio degli ufficiali giudiziari non è nuovo a Torino: nei mesi scorsi, una serie di resistenze allo sfratto ha ottenuto rinvii come quello di Alì. Questo tipo di gestione degli sfratti in città sembra sia diventata la norma. Se non si intende intervenire con la forza pubblica per effettuare lo sfratto, la questura preferisce, in concerto con il proprietario, evitare qualsiasi confronto pubblico fra l’ufficiale giudiziario e il picchetto resistente. Questo succede perché molto probabilmente oltre al periodo estivo, le istituzioni locali temono che la pratica di resistenza allo sfratto diventi strumento comune per ogni tipo di occasione di sfratto in città mettendo in seria difficoltà la controparte. La questura, quindi, evitando che l’ufficiale giudiziario si presenti, cerca di dare meno visibilità possibile alle giornate di resistenza e si augura che il fenomeno di opposizione agli sfratti non si continui a generalizzare fra le famiglie in difficoltà abitativa.

Con la giornata di oggi, dicevamo, chiudiamo con le resistenze agli sfratti in occasione dell’estate (in agosto, infatti, gli sfratti subiscono uno stop temporaneo in vista della chiusura degli uffici preposti) rimandando l’ulteriore impegno con le famiglie resistenti a settembre. Il dato che ci sembra debba essere valorizzato, oltre hai risultati ottenuti nelle tre giornate di resistenza, è la maggior partecipazione delle famiglie che si aggiungono a quelle che già praticano la resistenza agli sfratti. Questo non solo perché permette di allargare un fronte di contrapposizione reale con le controparti in gioco – proprietà e questura – ma anche e sopratutto perché permette di attivare attori sociali che fra migranti e italiani cominciano a formare un corpo unico di lotta per la casa, disarticolando i discorsi di becero populismo che Lega, Casapound e altri partiti reazionari come Fratelli d’Italia, invece, vorrebbero alimentare fra loro scatenando la cosiddetta guerra fra poveri.

Oggi le fasce impoverite dalla crisi iniziano pian piano a considerarsi una cosa sola e la lotta per la casa diventa strumento di aggregazione sociale e di forza reale per bisogni comuni. Continuare in questa direzione significa anche ostacolare le politiche xenofobe e razziste di una destra reazionaria e fascista.

Siamo ancora qua!

Martedì 7 luglio più di trenta nuclei famigliari, che avevano trovato una soluzione alla propria emergenza abitativa occupando uno stabile pubblico lasciato all’abbandono da anni, sono state sgomberate da una massiccia operazione di polizia da quello che era diventato il loro nuovo tetto. Parliamo di famiglie, di donne, uomini e bambini costretti a una vita precaria sempre più strozzati da una crisi di cui paghiamo i ricatti tutti i giorni e che toglie ogni certezza riguardo il futuro nostro e dei nostri figli. Parliamo di crisi, ma sappiamo bene le che condizioni di vita sempre più povere e incerte che viviamo altro non sono che la conseguenza di precise scelte politiche; è stato il manchevole e colpevole operato di chi amministra Torino a rendere questa città la capitale degli sfratti d’Italia, con i suoi 4500 sfratti solo nel 2014. Il Comune infatti è da anni che si dimostra assolutamente incapace di gestire l’emergenza abitativa sempre più diffusa a Torino e si rifiuta di prendere una posizione in merito a questioni quali moratoria degli sfratti, edilizia popolare pubblica, affitti calmierati, parametri meno esclusivi per le liste delle case popolari. Sono migliaia, di contro, gli alloggi e le case ATC lasciate vuote per interesse. Ci ripetono che i soldi non ci sono, ma vediamo gettarli in opere inutili e speculazioni che arricchiscono sempre e solo le tasche già gonfie di banche, politici, costruttori e palazzinari. Intanto siamo sempre più a non arrivare a fine mese, a perdere il lavoro, non riuscire a pagare l’affitto o la scuola per i figli, mentre ci misurano la miseria in punti per la casa popolare.

Quando abbiamo occupato l’ex c.s.e.a – che abbiamo rinominato Spazio Popolare Neruda – di via Bardonecchia, quartiere Pozzo Strada, alcuni politicanti ci hanno definito ”abusivi” e “illegali” sperando di attirare su di noi l’odio degli abitanti del quartiere: sono accuse queste che non ci spaventano , crediamo nella legittimità del nostro gesto, che speriamo sempre più riproducibile, di riappropriazione diretta di un diritto che dovrebbe esserci garantito, il diritto a una casa e una vita dignitosa. Se la “legalità” si manifesta nello speculare sulla vita delle persone, nel lasciare la gente in mezzo alla strada o nell’autorizzare uno sgombero coatto all’alba di uno stabile in disuso diventato una casa per tanti , questa legalità allora non ci appartiene.

A seguito dello sgombero le soluzioni che sono state proposte dal Comune per le famiglie che avevano trovato un tetto all’ex c.s.e.a. sono state del tutto insufficienti: qualche giorno, al massimo un mese o due in casa famiglia o dormitori, spesso spaccando il nucleo famigliare. Per questo in tanti hanno rifiutato e sono determinati a continuare questa battaglia per riprendersi il diritto ad avere una casa.
Lo Spazio Popolare Neruda si stava attrezzando anche per diventare uno spazio a disposizione del quartiere per andare incontro ai bisogni espressi da chi abita in Pozzo Strada: dal sopperire ai servizi mancanti( biblioteca, ludoteca..) al poter diventare un punto di ritrovo e socialità che potesse creare aggregazione tra e per chi vive il territorio.

Ma il Comune e la Prefettura hanno preferito sgomberare uno stabile già simbolo della più becera speculazione edilizia, parliamo infatti di decine di milioni di euro sottratti alla collettività, per uno spazio poi fatto fallire a causa dell’incuria dell’amministrazione pubblica e privata, e che ora rimarrà chiuso per chissà quanti altri anni a venire, di nuovo sottratto alla collettività e ai suoi bisogni.

Questa mattina abbiamo deciso di tornare qui, con tutte le famiglie che avevano occupato l’ex C.S.E.A. per confrontarci con chi vive questo quartiere, che già si era mostrato aperto e solidale e con cui abbiamo tutta l’intenzione di continuare ad avere a che fare, perché crediamo che la dignità, come la solidarietà, non si sgombera.

Le famiglie sgomberate dall’ex C.S.E.A

Genova: uomo si uccide prima dello sfratto

tribuEnnesimo suicido a causa di uno sfratto. Questa volta è successo nel quartiere di Sestri a Genova, dove un ex carrozziere di 66 anni si è buttato nel vuoto dall’ultimo piano di una casa popolare di proprietà del Comune nella quale viveva da cinquanta anni. Da tempo gli avevano staccato le utenze e come ultimo atto le istituzioni locali avevano deciso di sfrattarlo. Poco prima dell’arrivo dell’ufficiale giudiziario l’uomo anziano è salito fino all’ultimo piano, ha aperto la finestra della tromba delle scale e si è lanciato nel vuoto.

A Staglieno, un mese fa, una storia simile: un disoccupato si era impiccato nella casa nel giorno in cui anche a lui avrebbero notificato lo sfratto.

Gesti estremi, sempre meno inconsueti, indotti dalle fallimentari politiche abitative e dai continui sfratti: a Genova sono 815 le ingiunzioni di sfratto nel primo semestre 2014, di cui 492 quelle eseguite, per un totale di quasi mille sfratti all’anno.

Le violenti politiche abitative creano isolamento e disperazione. Rompere questi meccanismi di esclusione sociale, delegittimare le istituzioni del loro potere decisionale sulle nostre vite, oggi diventa la priorità per tutti coloro che non vogliono più pagare la crisi.

Ai processi di impoverimento in atto, si affianca la logica dell’esclusione sociale realizzata dalle istituzioni attraverso la gerarchizzazione dei requisiti per accedere ai servizi pubblici di un welfare ormai spinto verso la privatizzazione. Questo strumento permette alle amministrazioni di applicare una “selezione naturale” fra gli individui, dividendo fra chi oggi può sperare nell’elargizione di qualche servizio e fra chi invece viene completamente abbandonato dalle istituzioni.

Il caso di Genova è emblematico proprio per questo motivo: proprietario della casa popolare è il Comune e questo poteva intervenire sicuramente in altro modo, invece di continuare con il solito ricatto “o paghi o ti buttiamo fuori in strada”.

D fronte a questo tipo di attacco – con il quale le istituzioni sapendo di non riuscire più a garantire i diritti sociali, soprattutto per le classi impoverite dalla crisi e dall’effetto delle politiche di austerità – la lotta per la casa deve diventare uno spazio di contrapposizione politica e rivendicazione sociale per tutti coloro che oggi vivono condizioni di precarietà e sfruttamento, affinché non ci siano più casi di suicidio per sfratto.

Elide Tisi ha mentito? Retroscena da via Bardonecchia

tisiL’assessore alle politiche sociali Elide Tisi non ha mancato di intervenire sullo sgombero delle trenta famiglie che avevano occupato l’ex Csea di via Bardonecchia, ribattezzandolo Spazio Sociale Neruda. Ha sostenuto che, all’evidente dramma dell’emergenza abitativa (Torino, in cui sono state cacciate 4.500 famiglie dalle case dove abitavano nel solo 2014, è una sorta di capitale degli sfratti), occorre rispondere “senza atteggiamenti ideologici” e con percorsi “che restino all’interno della legalità”. Una contraddizione in termini, visto che (a netto degli scopi speculativi e di controllo sociale che ha la politica istituzionale sulla casa) se l’ordinamento non soltanto non risolve, ma produce le sofferenze sociali che causano il dramma abitativo, è evidente che l’unico possibile atteggiamento non ideologico è sposare un’attiva indifferenza rispetto al carattere legale o illegale, ossia interno o esterno all’ordinamento, di questo o quel comportamento che rappresenti una soluzione al problema abitativo, ponendosi semmai l’obiettivo dell’efficacia dei percorsi volti a dare una casa a chi non ce l’ha.

Le dichiarazioni di Elide Tisi, tuttavia, contengono qualcosa di peggio di una mera contraddizione. L’assessore (e vicesindaco nella giunta Fassino) ha infatti dichiarato al periodico on line Nuova Società di non esser stata al corrente dello sgombero fino a martedì mattina, ossia fino all’intervento manu militari della polizia. Ha aggiunto testualmente, a riprova di ciò: “Lo sgombero di via Bardonecchia non dipende da noi ma da chi è proprietario dell’immobile, che chiede di intervenire alla Prefettura”. Povera Elide: tipica politicante magicamente all’oscuro di ciò che le accade intorno, abituata dal mestiere che fa a scaricare su livelli istituzionali diversi dal suo le responsabilità dirette o indirette non soltanto dei drammi sociali che non può risolvere (perché causati dall’ordinamento che difende con la sua appartenenza istituzionale, la sua ideologia della legalità e le sue false promesse), ma anche della repressione scomposta che le istituzioni oppongono alle soluzioni che autonomamente la gente è in grado di trovare (il Neruda, e molti altri edifici occupati a Torino, lo dimostrano).

Occorre, in ogni caso, verificare se la professione di estraneità e ignoranza dell’assessore reggano all’analisi di alcune circostanze. In primo luogo non è chiaro perché, se il comune era all’oscuro dello sgombero, non soltanto la polizia municipale, ma anche una folta schiera di assistenti sociali (che risponde alla Tisi sul piano gerarchico) si trovava all’interno della struttura immediatamente dopo l’ingresso delle forze dell’ordine, sostanzialmente per accompagnare il loro operato (che ha compreso la distruzione vandalica di tutti i sanitari presenti nella struttura per impedire un’eventuale rioccupazione: complimenti…). A coordinarli è stato avvistato, fin dal primo mattino, Uberto Moreggia, responsabile (sempre per conto dell’assessorato di Tisi) del settore Famiglie e Adulti in difficoltà. Coincidenza? Tutt’altro: diversi elementi lasciano pensare che l’assessorato non soltanto fosse al corrente della preparazione dello sgombero, ma abbia attivamente collaborato con la polizia, e in particolare con l’ufficio politico della questura (Digos), anche nei giorni precedenti, nella fase dei sopralluoghi che hanno permesso di organizzare l’operazione.

Di cosa stiamo parlando? Di un episodio che abbiamo potuto ricostruire grazie ad alcune testimonianze. Due occupanti hanno dichiarato a chi scrive che il 29 giugno, verso le 23.00, alcuni utenti del dormitorio di via Marsigli, adiacente all’ex Csea, hanno avvicinato i ragazzi che presidiavano l’occupazione presso i cancelli della stessa, riferendo che “gente di merda” (leggi: agenti in borghese) era entrata nel dormitorio e stava colloquiando con alcuni operatori. Il giorno successivo, 30 giugno, due poliziotti, indicati dagli occupanti come appartenenti all’ufficio politico (Digos), sono stati avvistati dall’ex Csea mentre erano intenti ad osservare e fotografare l’edificio da una finestra situata al primo piano del dormitorio. Se ne potrebbe dedurre che la polizia abbia utilizzato una struttura di competenza comunale, che opera sotto la responsabilità dell’assessorato alle politiche sociali, per spiare l’occupazione in previsione dell’irruzione di alcuni giorni dopo, senza che la sua presenza fosse ignota agli operatori del dormitorio. Alla faccia dell’“estraneità” dell’assessorato alla dinamica dello sgombero! Come poteva l’assessore/vicesindaco ignorare che la polizia stava preparando l’operazione, quando all’interno di una realtà di sua diretta competenza si svolgevano indagini finalizzate a monitorare le caratteristiche dell’edificio e ciò che vi accadeva all’interno, in vista dello sgombero?

Il proprietario dell’ex Csea è Cassa Depositi e Prestiti, ed è del tutto verosimile che sia stato questo ente a chiedere formalmente lo sgombero al prefetto. Questo non significa però in alcun modo che Elide Tisi fosse all’oscuro dell’operazione e della sua preparazione, né che avesse negato il suo assenso alle procedure necessarie, tenuto conto di tutte le circostanze appena elencate. Si affaccia, allora, una domanda: perché la Tisi, intervistata da Giulia Zanotti per Nuova Società, ha lasciato intendere di non saperne nulla? I casi sono due: o nel suo assessorato vige il caos, e quindi tanto i dirigenti degli uffici quanto gli operatori agiscono a sua totale insaputa su materie così delicate, oppure il vicesindaco ha voluto scaricare ogni responsabilità su attori apparentemente esterni, come la proprietà dell’edificio e la prefettura, per uscire “pulita” da una vicenda in cui decine di famiglie con bambini in condizioni di povertà, che avevano risolto insieme il problema abitativo, sono state sbattute nuovamente in una situazione di precarietà da un’istituzione da lei diretta e formalmente deputata a trovare una soluzione per le persone a basso reddito che finiscono in mezzo a una strada.

Ai contemporanei la sentenza tutt’altro che ardua, ma urgente come tutte quelle che permettono di distinguere i bugiardi dalle persone che, quando si alzano, non hanno motivo di vergognarsi guardandosi allo specchio.

da Quiete o tempesta

Mors tua vita mea

Stefano Bolognesi, consigliere di Circoscrizione del quartiere Pozzo Strada, nella sua pagina fb si dice soddisfatto dello sgombero dello Spazio Popolare Neruda e continua la sua litania su quante famiglie erano presenti nell’occupazione, quante hanno diritto ad avere una casa ecc ecc.

Sulla legalità e sul diritto abbiamo già detto che oggi non si può fare politica sulla pelle della gente: la verità sotto gli occhi di tutti è che la politica oggi non è in grado di dare soluzioni reali e definitive a chi finisce in mezzo a una strada. La politica oggi non è in grado di garantire il diritto alla casa.

Cosa bisogna fare per sottrarsi dalla strada? Perché l’occupazione di stabili pubblici, svenduti per fare cassa senza che i guadagni siano stati redistribuiti sul territorio, dovrebbe essere un atto illegale?

Legalità si trasforma in legittimità per le famiglie senza casa che, pur avendo fatto i percorsi dell’emergenza abitativa, le lunghe code in via Corte d’Appello, ricevono una risposta negativa alla domanda: “Avete una casa per la mia famiglia?”

Con l’aumentare della povertà, oggi parlare di legalità dalla propria poltrona in ufficio o dal divano della propria casa è facile. Meno facile è vivere situazioni di disagio, vivere in macchina o gestire una quotidianità con l’incubo dello sfratto. Diciamo queste cose non “per far colpo” su chi leggerà questo post ma riportiamo la realtà così come la conosciamo.

L’opportunismo politico del consigliere è vergognoso. L’abbiamo visto quando si presentò all’occupazione con la sua camicia bella nuova e stirata mentre le famiglie spostavano cumuli di immondizia lasciati lì dalle istituzioni per cui il consigliere lavora e che fino al nostro arrivo non aveva mosso un dito per migliorare quel posto o per denunciarne la speculazione in atto. Né prima e né dopo lo scandalo delle tangenti al CSEA.

Noi, al contrario del consigliere, con la gente del quartiere di Pozzo Strada ci confrontavamo. In tanti sono passati a portarci sostegno e solidarietà…molti, fra cui due panettieri del quartiere, portavano l’invenduto alle famiglie, come gesto di solidarietà e aiuto verso il prossimo. Nella raccolta firme per il riallaccio dell’acqua, abbiamo ricevuto più di 500 adesioni. Molti giovani ci avevano chiesto se era possibile riutilizzare spazi per il quartiere per una biblioteca (ad oggi chiusa), stanze con internet gratuito, una ludoteca e altri laboratori. Perché in quel luogo occupato, lontano dagli intrallazzi della politica ci si sentiva a proprio agio.

La verità taciuta nella vicenda dello sgombero del Neruda è che quel rapporto che si andava a creare con la gente di Pozzo Strada risultava scomodo ai politicanti “appassionati del loro lavoro” che fanno “politica per passione” come Bolognesi. Dava fastidio quel legame di solidarietà instaurato con le famiglie, dava fastidio quando le persone, gli ex insegnanti CSEA ci riportavamo il loro giudizio favorevole all’occupazione e il tentativo da parte degli occupanti di restituire uno stabile di proprietà pubblica al quartiere.

Oggi Bolognesi continua la sua crociata contro le occupazioni ma continua a ritenersi solidale con le famiglie: fa finta di preoccuparsi se queste famiglie hanno ottenuto una soluzione…peccato che le soluzioni sono temporanee, precarie e che fra qualche mese il problema della casa si ripresenterà.

Ovviamente il Bolognesi questo tipo di soluzioni tampone le conosce bene.

Quindi, in conclusione, quando la smetterà di nascondersi dietro quel buonismo da politicante di professione che cerca solo consensi per il suo partito?

Noi, a differenza del Bolognesi che elargisce consigli e avvertimenti, siamo più umili e diciamo solo di non credere alle panzane di questi loschi personaggi ma di toccare con mano le situazioni.

La gente del quartiere Pozzo Strada lo faceva e si sporcava le mani con noi, il Bolognesi costruisce le sue “verità” a tavolino a suon di interpellanze per giustificare uno stipendio che molte famiglie si sognano.