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Torino, anno nuovo stessa storia: arresti e misure per aver resistito ad uno sfratto
Nella città vetrina noi veniamo prima! Presidio sotto il tribunale di Torino
Domani, Martedì 13 dicembre, ci riuniremo in presidio davanti al tribunale di Torino per portare solidarietà ad alcune persone, attivisti del collettivo Prendocasa e occupanti della scuola di corso Cirié, inquisite a causa di una contestazione all’ex sindaco di Torino: il democratico Piero Fassino.
Questa vergognosa udienza è un riesame ottenuto grazie ad un ricorso del pm Padalino, il pubblico ministero ha richiesto per alcuni di noi delle misure cautelari che vanno dagli arresti domiciliari all’obbligo di firma quotidiana, misure rifiutate dal gip del procedimento nel luglio scorso.
Non ci viene difficile immaginare come mai queste misure fossero state rigettate: la contestazione all’ex sindaco svoltasi nel mese di febbraio in occasione del decennale dei giochi olimpici invernali era stata tranquilla: si era letto un volantino e si erano pretese delle risposte da chi questa città la governava da tempo e da chi in continuità con i sindaci passati, si era fatto portatore delle politiche dello sfarzo e della città vetrina, a scapito di investimenti in ammortizzatori sociali, in case popolari, in sanità e scuola pubblica.
Fassino non aveva voluto/saputo rispondere alle tante domande della gente senza casa, che con dignità aveva deciso di interrompere un momento di festa superfluo; da una parte vi era il ricordo delle olimpiadi del 2006: il trampolino di lancio della città vetrina; dall’altra le famiglie impoverite da questo tipo di manovre.
Caro Padalino la tua spocchia repressiva ci ha stufato: noi continueremo a metterci in gioco come sempre resistendo agli sfratti (dopo gli accessi dell’iter esecutivo non vengono mai fornite soluzioni dignitose da comune e servizi sociali), scendendo nelle strade, riempendo le aule di tribunale, interrompendo e varcando la soglia dei palazzi del potere, gridando forte nelle sale in cui il potere viene celebrato.
Nella città vetrina noi veniamo prima, l’abbiamo gridato allora e continueremo a gridarlo fino a quando non ci sarà una distribuzione differente delle risorse di cui dobbiamo poter usufruire! Abbiamo diritto ad una casa per tutti, dobbiamo poter sognare e aspirare a delle condizioni di vita più dignitose!
Non si possono misurare i passi di chi continua a camminare con tenacia, di chi porta avanti queste istanze!
L’ex roccaforte PD rimane spaccata, immagine di un voto di classe oltre il sistema dei partiti
A Torino si è riproposta una forte spaccatura nel voto referendario del 4 Dicembre. Se da una parte permangono delle fette sociali ancora legate al PD e a Renzi, queste sono relegate in una ben determinata parte della città, il centro addobbato per i grandi eventi e l’economia del turismo. Ma questa fetta di torinesi ha altro che li accomuna, ovvero la voglia di rimanere legati ad un conservatorismo che oggi ha il volto del PD, esprimendo tramite il SI i voleri di quella classe che riesce ancora a guadagnare e speculare in questo periodo di crisi continua.
Invece, il voto che più ci interessa descrivere e quello che viene dalle periferie dove ieri il NO ha vinto in maniera forte, con un distacco che superava i 20 punti percentuali, palesando un rifiuto al sistema dei partiti e delle lobby che continuano a cambiare volto ma non la quotidianità della crisi. Questa frammentazione netta si era già verificata nelle elezioni di Giugno, ed ora si ripropone, ad evidenziare che quel rifiuto non è cambiato nella sua grandezza a discapito degli enormi investimenti investiti nella campagna “Basta un SI”.
Ovviamente, le istituzioni hanno la volontà di tornare al più presto su nidi stabili e sicuri. Per questo, dopo il referendum si sentono già inneggiare spauracchi come quelli dei mercati, dello spread, e quelli più vicini a noi, ovvero le promesse di Renzi alla città di Torino (i fondi per l’alluvione e quelli per il Parco della Salute). Questo ci fa subito capire la struttura istituzionale e il suo essere satura di promesse durante le campagne elettorali, senza una visione strutturale delle politiche e della ridistribuzione della ricchezza.
La seconda considerazione che possiamo fare sui dati del voto a Torino riguarda l’affluenza: al referendum costituzionale a Torino ha votato il 71,47% degli aventi diritto; mentre a giugno al primo turno delle elezioni comunali avevano votato il 57,18 degli aventi diritto. Percentuale ancora più bassa quindici giorni dopo quando Appendino aveva battuto Fassino: 54,41% era stato il numero dei torinesi che si erano recati alle urne. Questa affluenza rivela la volontà di esprimersi, anche solo attraverso un voto, ancor più se la posta in gioco è una rottura netta ed il voto può significare la sfiducia nei confronti di un sistema di partiti ormai omogeneo che si sforza solo a perpetuare i privilegi che loro stessi possiedono.
Tuttavia, la presa di posizione netta dei torinesi stufi di vivere la crisi cerca subito di essere affossata dietro il partito che oggi governa la città, il Movimento 5 Stelle. Ma la realtà che esce dalle bocche delle persone è un’altra. Questa realtà ha il volto di una sfiducia più generale che vede nel partito di Grillo l’alternativa meno peggio, rimanendo però consapevole dei vincoli a cui la politica istituzionale si deve conformare appena varca la soglia sedendosi nelle poltrone del potere.
Quindi, questo non è un salto in braccio al partito che comunque forse avrà la meglio nelle prossime elezioni, ma un salto in un vuoto fatto di maggiori speranze rispetto al quotidiano, una reazione di pancia ad un malessere reale. Reazione che ora ha bisogno di essere ascoltata e incanalata per riuscire a creare un forte e compatto Popolo del NO capace di ottenere le rivendicazioni che sul territorio porta avanti, dal diritto alla casa, allo studio, al lavoro ecc…
In questa direzione va letta la mobilitazione che ha portato in piazza 50mila persone a Roma il 27 Novembre, tutte accomunate da un rifiuto al piano politico portato avanti da Renzi. Questo tipo di politiche rimane comunque orizzontale al sistema dei partiti, Renzi e il PD ne è solo il volto ed il promotore in questa specifica fase. Dunque, la posta in gioco ora, dopo il referendum, è quella di rompere definitivamente con questo modus operandi europeo fatto di perpetuamento dello status quo a discapito di chi la crisi la paga realmente, dovendo scegliere se mangiare o pagare l’affitto.
Nella stessa direzione, l’appuntamento di Lunedì 5 Dicembre in piazza Palazzo di Città vuole essere un momento in cui, oltre a festeggiare il risultato referendario per nulla scontato, vista la onnipresente campagna del Si, ricomporre un insieme di persone che ritengono il voto insufficiente e che ora vogliono rivendicare insieme i diritti che si vedono giornalmente negati dalle istituzioni a partire dal ritiro delle riforme approvate dal PD: Jobs Act, Piano Casa e Buona Scuola.
Torino, la marcia popolare dei Comitati nel quartiere Vallette-Lucento
Una prima protesta dei Comitati popolari torinesi si era svolta sotto gli uffici di Atc, agenzia territoriale case popolari, denunciando lo stato di abbandono che l’agenzia ha verso il patrimonio pubblico, la carenza di manutenzione ordinaria e straordinaria e il caro bollette. La richiesta di mobilitazione che arriva dalle periferie ha portato ad una prima attivazione di famiglie e singoli che vivono nelle case popolari ed è proseguita in questi mesi con le assemblee dei comitati, strumento organizzativo di lotta e momento per ritrovarsi e discutere insieme le questioni legate al proprio territorio.
In queste assemblee è nata l’esigenza di creare un momento di visibilità nel quartiere Vallette-Lucento che ha spinto il comitato di quartiere, insieme al comitato Madonna di Campagna e quello di Borgata Paradiso di Grugliasco, a scendere per le vie del quartiere Vallette portando le proprie rivendicazioni legate all’abitare ma non solo: contro il taglio dei servizi pubblici – emblematico è il caso del teatro Isabella, luogo di socialità che per anni ha garantito al quaritere la fruibilità di eventi gratuiti e che il Comune vorrebbe far chiudere per dei cavilli burocratici legati alla mancanza di agibilità del luogo – per la riapertura del supermercato con buoni acquisto per le famiglie in disagio economico e per le assegnazioni delle case popolari tenute vuote ormai da troppo tempo. Altra questione che preme gli abitanti del quartiere Vallette e che ha carattere generale per gli abitanti delle periferie, sono i famosi fondi destinati dal Comune ai quartieri popolari. La richiesta dei comitati è quella di poter prendere parola sulla loro destinazione, proponendo che una parte dei fondi venga investita nella messa a norma delle case Atc e per migliorare i servizi nei vari quartieri periferici della città.
La marcia popolare di Vallette -Lucento si inserisce all’interno delle indicazioni nata dalla rete nazionale di Abitare nella crisi che in queste settimana ha vista mobilitarsi una serie di città per il diritto all’abitare. Infatti durante la marcia popolare occupanti dello Spazio Popolare Neruda, insieme ad occupanti “senza titolo” di case Atc e famiglie sotto sfratto, hanno rivendicato il diritto alla casa per tutti e a una moratoria sugli sfratti, ormai non più situazione emergenziale ma sistemica non solo per la città di Torino. Di fatto, una denuncia pubblica di presa di posizione verso la nuova giunta pentastellata che dovrà rispondere all’esigenze di molte famiglie che chiedono di esercitare una pressione verso le politiche nazionali e regionali sulla casa e il cambiamento dei parametri di assegnazione, troppo rigide ed escludenti per tanti che fanno richiesta di casa popolare.
Una prima marcia delle periferie che contava un centinaio di persone partecipanti che si sono mosse in corteo da Piazza Montale verso il mercato di via Cincinnato, passando vicino all’Istituto Padre Gemelli che oggi attende il ripristino della palestra per poter nuovamente avviare l’attività fisica per gli alunni e le alunne della scuola.
Durante la marcia popolare è stata letta e consegnata alla consigliera del M5stelle, Deborah Montalbano, una lettera indirizzata alla sindaca Chiara Appendino nella quale i comitati rivendicano le proprie ragioni e prendono parola sulle questioni che animano le periferie della città.
Un primo momento importante per i quartieri popolari che, passo dopo passo, cominciano ad inserirsi nell’ agenda politica della città, manifestando una voglia di attivazione di fasce sociali non più disposte ad essere semplici spettatori ma che rivendicno protagonismo e spazi di decisionalità nelle politiche che riguardano i territori.
Dalla pagina Fb del Comitato Popolare Vallette-Lucento, il resoconto sulla marcia popolare di sabato 19 novembre:
È appena finita una grande giornata! In più di cento abitanti delle Vallette e di Lucento oggi abbiamo attraversato il nostro quartiere trovando tantissima solidarietà. BASTA SUBIRE È L’ORA DI REAGIRE è quello che abbiamo scritto sullo striscione, basta subire i ricatti di atc, le minacce di sfratto, i disagi dei disservizi e l’abbandono delle nostre periferie. UNIAMOCI E LOTTIAMO è il modo in cui tante persone, a partire dalla marcia di oggi, hanno deciso di ripensare al proprio futuro. Ivestimenti per l’edilizia pubblica, per la sanità, per i trasporti e per i servizi di quartiere è quello che vogliamo. Abbiamo scritto una lettera aperta alla sindaca Appendino e l’abbiamo consegnata alla consigliera Deborah Montalbano che si è impegnata a consegnargliela personalmente. Non c’è più tempo, abbiamo scritto alla Sindaca. Non possiamo più aspettare, le periferie non possono più aspettare. No carobollette, no sfratti e ricatti da parte di Atc, no alla divisione tra abitanti con e senza titolo.
vediamoci giovedì in piazza montale alle 18 per decidere tutti insieme come proseguire la lotta!
#noicontiamo #bastasubire #vallette #lucento #comitatipopolari
Il vero cambiamento: il 4 dicembre C’è chi dice No! Renzi a casa, manifestazione il 27/11 a Roma
Il territorio dove viviamo e cresciamo i nostri figli è l’ambito che più ci interessa, ma le situazioni che lì si manifestano sono spesso dirette emanazioni di un piano politico nazionale che all’oggi è rappresentato da Renzi e il suo partito , il PD. Quindi, quali sono le politiche riformiste di questo governo? Indebolimento delle tutele sul lavoro, ad opera del Jobs Act; investimenti in grandi opere inutili, tra le quali addirittura il famoso ponte di Messina; aumento del costo della sanità, sempre più per pochi; sempre meno risorse alle scuole, quindi tetti che crollano. Non ultimo, la svendita dell’edilizia pubblica, stabilita dall’art.3 del Piano Casa.
Le politiche nazionali parlano chiaro, perseguono una direzione che è quella che ogni giorno si traduce in abbassamento della qualità della vita per fasce sempre più ampie di popolazione, mentre la ricchezza è trattenuta nelle mani di pochi. Tuttavia al governo Renzi serve concentrare maggiormente il potere nelle proprie mani e avere maggiore facilità di manovra per promuovere le politiche di austerità che le leggi del mercato e dell’economia globale vorrebbero imporci.
Vogliono cambiare la costituzione per staccarsi ulteriormente dai cittadini, rendendo i “professionisti” della politica (o della corruzione?) sempre più autonomi e sempre meno espressione della volontà popolare. A questo proposito siamo chiamati a votare al referendum del 4 dicembre: la scelta è tra un Sì che porta con sé la conferma alle politiche promulgate dal governo Renzi in questi anni e l’assenso a quelle che potrà varare in futuro, o un No di rifiuto a questa strumentale modifica della costituzione e a questo sistema di governance che ci vuole sempre più poveri, soli, precari, flessibili e silenziosi di fronte alle scelte della politica istituzionale. Ma quello che possiamo fare non è poco: votare NO sarà il primo passo, ma non basta. Bisogna fare in modo che questo voto sia solo l’inizio di una lotta contro il governo Renzi, una lotta capace di far arrivare la propria voce fin dentro ai palazzi dove i politici stanno bene attaccati alle loro poltrone. Sulle nostre vite vogliamo essere noi a decidere. Per questo, senza alcun partito che ci rappresenti e sotto un governo nemmeno eletto che ci fa pagare la crisi, c’è chi dice NO andando a votare ma anche scendendo nelle strade di Roma il 27 Novembre, per una grande manifestazione nazionale.
In quella data orecchie abituate a essere sorde di fronte alla voce di chi in questo Paese ci vive e ha deciso che così non si può più andare avanti saranno obbligate ad ascoltarci.
Pagina Facebook: C’èChiDiceNo
Cosa significa essere sfrattati dal palazzinaro Giorgio Molino
Torino Sta con la famiglia di Said: al Referendum votiamo NO!
La vivibilità del territorio in cui abitiamo e cresciamo i nostri figli è una delle questioni che più ci interessa e tocca da vicino gli aspetti più quotidiani delle nostre vite. Le politiche territoriali che si applicano nei nostri quartieri sono influenzate (se non imposte) da un livello più alto, quello nazionale: quello che è successo a Said, Kadija e i loro bimbi ne è la riprova più palese e sconfortante.
Disoccupati a causa della crisi, come tanti nel nostro territorio, aspettavano la casa popolare rispettandone la graduatoria. Nonostante l’emergenzialità della loro situazione (dal 2014 avevano dichiarato all’emergenza abitativa di essere sotto sfratto), l’attesa è rimasta lunga, questione di anni. A fronte di 15mila richieste su circa 500 assegnazioni annue, sono moltissime le case Atc vuote in attesa di ristrutturazione, ma nonostante ciò vengono stanziati sempre meno fondi con il rischio non solo di un peggioramento dello stato di abitabilità degli alloggi, ma anche di dover ricorrere a (s)vendite o donazioni di grandi enti privati che ne sanciscono spesso e volentieri un meccanismo di speculazione immobiliare.
Per risolvere questo stallo di domanda-offerta (comune a tutte le città italiane, non solo a Torino), il “Piano Casa” varato da Renzi e Lupi ha incoraggiato quest’ultima tendenza attraverso l’art. 3, aumentando la svendita del patrimonio di edilizia pubblica e incentivando proprio la speculazione edilizia. Così le politiche nazionali incidono fortemente sul nostro territorio e la nostra quotidianità: la qualità della vita di fette sempre più vaste della società si abbassa, andando ad impoverire sempre di più non solo chi già si trova in una situazione di difficoltà economica, ma anche le classi medie. Come diretta conseguenza di questa tendenza, la ricchezza che tutti contribuiamo a produrre confluisce nelle tasche di sempre meno individui (e sempre gli stessi).
La ripercussione sociale di questo atteggiamento del governo, è stata la sfiducia della popolazione nei confronti della politica, mettendo sempre più distanza tra i cittadini e i politici. Se questo non fosse bastato, la volontà di cambiare la costituzione appellandosi di facciata ai costi della politica, ma evidentemente col fine di rendere i “professionisti” della politica (o della corruzione?) sempre più autonomi (e non eletti), segnerà un abisso ancor più profondo tra noi e loro.
Su questo siamo chiamati a scegliere al Referendum costituzionale del 4 dicembre: creare un varco ancor più profondo tra politica e cittadini per mantenere stretto il legame con le imposizioni dell’economia e la finanza globalizzata, scelta marcata da Renzi come “innovazione”, o mantenere lo status quo. Una scelta piena di dilemmi, che crea grandi spaccature, perché nessuna delle possibilità è realmente positiva.
Bisogna votare NO, ma solo il voto non basta. Bisogna fare in modo che questo voto sia solo il primo passo di un percorso contro il governo Renzi come simbolo di una politica nociva per i territori, una lotta capace di riempire le piazze e far arrivare la propria voce laddove il referendum non è sufficiente.
Dobbiamo renderci padroni delle nostre scelte, è finito il tempo di delegare e partecipare solo con il voto, senza alcun partito che ci rappresenta e con un governo nemmeno eletto, c’è chi dice NO con il voto e scende nelle strade di Roma il 27 Novembre per una grande manifestazione nazionale. In quella data, il popolo del NO avrà l’opportunità di urlare a gran voce il perché del suo voto e fermare la deriva autoritaria del governo Renzi.
Pagina Facebook: C’è Chi Dice No
Said e la sua famiglia interrompono il consiglio Comunale
“Pezzo di merda!” così è stato appellato Said da un funzionario della digos. Questo è successo oggi durante l’interruzione del Consiglio Comunale da parte di Said e il collettivo Prendocasa Torino.
Venerdì Said e la sua famiglia (la moglie Kadija e i tre figli) sono stati sfrattati a seguito della sospensioe dello sfratto (art. 610 c.p.c.) con una brutalità sconcertante dagli sgherri di Molino, il proprietario di casa, e dalla polizia.
Dopo il clamore suscitato sui giornali e le televisioni locali, il Consiglio Comunale, il cui presidente era presente nei momenti seguenti allo sfratto, avrebbe dovuto aprire una discussione, vista la gravità dell’atto di sgombero, in sala rossa sulle brutalità d’intervento utilizzate dal palazzinaro Molino e trovare una soluzione abitativa per la famiglia sfrattata.
Per questo motivo si è lanciato un presidio in Piazza Palazzo di Città per esercitare pressione a chi in quel palazzo pensa di poter decidere delle nostre vite. Appreso che il consiglio non avrebbe discusso della situazione di Said e della sua famiglia, si è deciso di salire e interrompere il dibattimento. Nel momento in cui si stava denunciando la nostra perplessità sul mutismo della giunta sulla gravità degli avvenimenti di venerdì, Said e un attivista del collettivo Prendocasa sono stati spintonati in malo modo da vigili e digos (qui video). Da qui la frase “Pezzo di merda” che l’agente della digos ha rivolto ad un uomo che non faceva altro che reclamare i suoi diritti.
Si è riusciti, prima di essere sbattuti fuori dal consiglio comunale, a denunciare la brutalità dei fatti, reclamare una presa di posizione netta nei confronti l’infame articolo 610 e pretendere una soluzione abitativa per la famiglia di Said. Presi di forza e portati fuori si è denunciato pubblicamente ai presidianti quanto successo in sala rossa. Con la giusta rabbia di chi si è visto nuovamente chiudere la porta in faccia da parte delle istituzioni che dovrebbero garantire il diritto all’abitare, in un centinaio di persone si è bloccato il traffico per più di 3 ore e al presidio si è aggiunta una tenda nella quale Said e la sua famiglia pernotterranno fino a quando il comune non intenderà confrontarsi e dare una soluzione dignitosa.
Quanto successo oggi è la dimostrazione che esiste una incolmabile distanza da chi lotta per i suoi diritti e le istituzioni che latitano di fronte all’ingiustizia sociale.
Ciò che è successo in questi giorni ci da ragione sulla nostra determinazione a continuare a lottare, non solo per Said ma per tutte quelle persone che fra comitati di quartiere e occupanti si mobilitano per risolvere il problema abitativo attraverso la partecipazione e la lotta.
Ci vediamo DOMANI 18 OTTOBRE ALLE ORE 13 SOTTO IL COMUNE per accompagnare Said e la sua famiglia dagli assistenti sociali e pretendere una soluzione dignitosa!
Distruggono un appartamento per eseguire uno sfratto. Scontri su corso Regina Margherita
Succede a Torino che uno sfratto si trasformi in un momento di resistenza collettiva.
Said, la moglie e i loro tre figli abitavano da anni in corso regina margherita, al n. 51. Succede che, un po’ per la crisi, un po’ per il lavoro che non c’è, si rinunci a pagare un affitto esoso per continuare a mangiare. Tanto più se si vive in uno dei tanti alloggi del palazzinaro torinese Molino, proprietario di stabili fatiscenti perlopiù affittati ad immigrati, più ricattabili e con uno scarso rapporto di forze a loro favore, o a studenti fuori-sede che vivono quegli alloggi come abitazioni di passaggio.
Dopo numerosi rinvii, Said si è visto comminare un 610, infame dispositivo che permette agli ufficiali giudiziari di eseguire in qualsiasi momento, senza preavviso. Said questa mattina è uscito per fare la spesa, i figli erano a scuola, la moglie impegnata in altre incombenze. Gli sgherri del palazzinaro – noto anche come “il Ras delle soffitte” – gli hanno cambiato la serratura e, non contenti, hanno distrutto sanitari e pavimentazione per impedire la rioccupazione dell’alloggio.
Da quel momento si è formato un cospicuo presidio che dal primo pomeriggio si è andato via via ingrandendosi, col sopraggiungere di compagni e compagne del vicino centro sociale askatasuna, del comitato di quartiere, genitori dei compagni di classe dei figli di Said, abitanti del quartiere, solidali di passaggio.
E’ stato subito evidente che nessuna valida alternativa veniva posta sul tappeto: una imbelle Questura, scavalcata nel solerte e infame lavoro di sfratto dai tirapiedi-sgherri del palazzinaro – si limitava a proporre come ospitalità il Sermig – centro di accoglienza per poveri legato alla Chiesa. La famigia non intendeva accettare questa elemosina, gettata lì per disfarsi di una situazione imbarazzante e scandalosa. Perché si è trattato non solo di uno sfratto schifoso, come tutti, ma di uno sfratto eseguito da squadracce pagate dal boss Molino!
A giudicare da come si sono svolte le cose non si capisce se sia stata peggiore la collusione imbarazzata di poliziotti, carabinieri e digos o l’incapacità politica di trovare una soluzione decente da parte dell’amministrazione dei 5 Stelle… Certo, pare che la Questura abbia posto in essere in questa mattina una sequenza di sfratti del medesimo tenore. Con l’obiettivo, già altre volte osservato, di accumularli l’ultimo giorno della settimana per impedire di trovare soluzioni decenti nel weekend. Resta il fatto che chi è salito in Sala Rossa coi voti consistenti delle periferie perché non ne poteva più del modello-Fassino deve sforzarsi di segnare una discontinuità anche nelle politiche sociali. E invece, si continua ad osservare un misto di incapacità e poco coraggio! Il problema, specifichiamo, non è “trovare soluzioni”, il problema è iniziare a rompere le catene di potere, interessi e complicità – tra cui l’immobiliare – su cui si è retto negli utimi due decenni il Sistema-Torino tragato PD!
I Presidianti e solidali accorsi non hanno comunque accettato di restare con le mani in mano e dopo aver bloccato i furgoni pieni dei mobili della famiglia di Said hanno cominciato a riportarli nell’appartamento per ricostruirlo. Per oltre un’ora la Polizia è stata a guardare.. poi, forse sollecitati dal palazzinaro – la proprietà privata è sacra nella nostra società – hanno iniziato a caricare pesantemente l’assembramento per liberare l’entrata dell’alloggio e sono susseguiti alcuni minuti di duri scontri nelle strade antistanti.
Al momento, l’angolo del centro sociale askatasuna, distante due soli numeri civici dal palazzo in cui è avvenuto lo sgombero, è protetto da una barricata e da decine di compagni e compagne. La famiglia e i solidali ancora nell’alloggio sono stati fatti uscire e, dopo l’ennesima inicua proposta “di soluzione”, la famiglia ha contnuato a rifiutare ed è ora ospitata da una signora italiana residente nel palazzo vicino.
Dopo quanto avvenuto stasera è chiaro che questa storia non finisce qui!
Domani, sabato 15 ottobre, alle h 16 è stata convocata una conferenza stampa sul marciapiede antistante casa di Said, in corso regina margherita 51