Francesca e Donato liberi subito!

dona_libberoFrancesca e Donato, due nostri compagni del collettivo Prendocasa, sono stati arrestati giovedì scorso per aver partecipato alla manifestazione ‪#‎MaiConSalvini‬ del 28 marzo a Torino.

Come accaduto in molte altre città con lo slogan #MaiConSalvini, nelle settimane precedenti il comizio venne convocato un corteo cittadino per respingere la presenza di Salvini e il suo accolito di leghisti e neofascisti.
La manifestazione di studenti, precari e migranti venne violentemente caricata a pochi metri dalla partenza mentre cercava di raggiungere piazza Solferino, luogo del comizio.
Durante la carica 8 persone furono fermate e poi rilasciate in serata con una denuncia a piede libero, con l’eccezione di Daniele, giovane studente antifascista torinese, che venne trattenuto in carcere e poi trasferito agli arresti domiciliari per alcuni mesi.

A cinque mesi di distanza da quella giornata un’operazione di polizia arresta Francesca e Donato – portati al carcere delle Vallette, mentre altri 4 – Mattia, Damiano, Nicola e Luca – si trovano agli arresti domiciliari.

Notizia di queste ore, per Francesca è stata accolta la richiesta per gli arresti domiciliari mentre per Donato il responso, purtroppo, è stato negativo. Donato rimane dunque l’unico compagno ancora detenuto alle Vallette per il corteo antirazzista e antifascista di #MaiConSalvini

Francesca e Donato li avrete sicuramente visti a uno dei tanti picchetti antisfratto, pronti a portare solidarietà alle famiglie, determinati a strappare la proroga all’ufficiale giudiziario, coraggiosi nell’affrontare le divise chiamate per uno sgombero coatto.

Francesca è la compagna che per contrastare lo sgombero del Neruda era salita sul tetto con altri solidali, pronta a mettersi in gioco in prima persona. Effettuando lo sgombero del Neruda, le istituzioni hanno tolto un luogo dove vivere non solo a Donato, ma anche a decine di famiglie.

Convinti che le persone valgono più delle leggi brutali che buttano in mezzo a una strada migliaia di famiglie, questi nostri compagni oggi sono privati della libertà,

Come collettivo Prendocasa insieme alle famiglie con le quali abbiamo intrapreso un percorso di lotta per la casa, vogliamo Donato e Francesca liberi! Scendere in piazza per la loro immediata liberazione vuol dire ribadire che non siamo spettatori di ciò che accade, ma scegliamo da che parte stare, proprio come stanno facendo i migranti in queste settimane.

Partecipare al corteo di domani sera significa dimostrare a chi ci butta fuori di casa, a chi ci nega la dignità, a chi ci priva della libertà, che le brutalità delle istituzioni e la violenza con cui si impongono non ci spaventano!

L’appuntamento è per domani sera alle 20.30 di fronte alla stazione di Porta Nuova.

Francesca e Donato liberi! Liberi tutti/e!

Torino: terza giornata conclusiva di resistenza agli fratti

foto.resizedLe tre giornate di resistenza agli sfratti si concludono oggi ottenendo un ulteriore rinvio per Alì e la sua famiglia. Alì, lavoratore egiziano del Catt che si è battuto durante le lotte per migliorare le condizioni di lavoro all’interno del consorzio alimentare, vive nell’alloggio di C.so Svizzera 72 con suo fratello, le rispettive mogli e tre bambini. L’alloggio è stato pignorato dalla banca perché la sua famiglia non era più in grado di garantire il pagamento del mutuo. Le famiglie, insieme al nutrito picchetto antisfratto, sono riuscite ad ottenere un rinvio fino a settembre. Come per le precedenti giornate di resistenza, l’ufficiale giudiziario non si è presentato davanti all’abitazione di Alì ma ha preferito depositare direttamente negli uffici preposti il suddetto rinvio; in questi giorni si capirà la data esatta della proroga per poter così nuovamente organizzare le resistenze nel mese di settembre.

Questo tipo di approccio degli ufficiali giudiziari non è nuovo a Torino: nei mesi scorsi, una serie di resistenze allo sfratto ha ottenuto rinvii come quello di Alì. Questo tipo di gestione degli sfratti in città sembra sia diventata la norma. Se non si intende intervenire con la forza pubblica per effettuare lo sfratto, la questura preferisce, in concerto con il proprietario, evitare qualsiasi confronto pubblico fra l’ufficiale giudiziario e il picchetto resistente. Questo succede perché molto probabilmente oltre al periodo estivo, le istituzioni locali temono che la pratica di resistenza allo sfratto diventi strumento comune per ogni tipo di occasione di sfratto in città mettendo in seria difficoltà la controparte. La questura, quindi, evitando che l’ufficiale giudiziario si presenti, cerca di dare meno visibilità possibile alle giornate di resistenza e si augura che il fenomeno di opposizione agli sfratti non si continui a generalizzare fra le famiglie in difficoltà abitativa.

Con la giornata di oggi, dicevamo, chiudiamo con le resistenze agli sfratti in occasione dell’estate (in agosto, infatti, gli sfratti subiscono uno stop temporaneo in vista della chiusura degli uffici preposti) rimandando l’ulteriore impegno con le famiglie resistenti a settembre. Il dato che ci sembra debba essere valorizzato, oltre hai risultati ottenuti nelle tre giornate di resistenza, è la maggior partecipazione delle famiglie che si aggiungono a quelle che già praticano la resistenza agli sfratti. Questo non solo perché permette di allargare un fronte di contrapposizione reale con le controparti in gioco – proprietà e questura – ma anche e sopratutto perché permette di attivare attori sociali che fra migranti e italiani cominciano a formare un corpo unico di lotta per la casa, disarticolando i discorsi di becero populismo che Lega, Casapound e altri partiti reazionari come Fratelli d’Italia, invece, vorrebbero alimentare fra loro scatenando la cosiddetta guerra fra poveri.

Oggi le fasce impoverite dalla crisi iniziano pian piano a considerarsi una cosa sola e la lotta per la casa diventa strumento di aggregazione sociale e di forza reale per bisogni comuni. Continuare in questa direzione significa anche ostacolare le politiche xenofobe e razziste di una destra reazionaria e fascista.

Siamo ancora qua!

Martedì 7 luglio più di trenta nuclei famigliari, che avevano trovato una soluzione alla propria emergenza abitativa occupando uno stabile pubblico lasciato all’abbandono da anni, sono state sgomberate da una massiccia operazione di polizia da quello che era diventato il loro nuovo tetto. Parliamo di famiglie, di donne, uomini e bambini costretti a una vita precaria sempre più strozzati da una crisi di cui paghiamo i ricatti tutti i giorni e che toglie ogni certezza riguardo il futuro nostro e dei nostri figli. Parliamo di crisi, ma sappiamo bene le che condizioni di vita sempre più povere e incerte che viviamo altro non sono che la conseguenza di precise scelte politiche; è stato il manchevole e colpevole operato di chi amministra Torino a rendere questa città la capitale degli sfratti d’Italia, con i suoi 4500 sfratti solo nel 2014. Il Comune infatti è da anni che si dimostra assolutamente incapace di gestire l’emergenza abitativa sempre più diffusa a Torino e si rifiuta di prendere una posizione in merito a questioni quali moratoria degli sfratti, edilizia popolare pubblica, affitti calmierati, parametri meno esclusivi per le liste delle case popolari. Sono migliaia, di contro, gli alloggi e le case ATC lasciate vuote per interesse. Ci ripetono che i soldi non ci sono, ma vediamo gettarli in opere inutili e speculazioni che arricchiscono sempre e solo le tasche già gonfie di banche, politici, costruttori e palazzinari. Intanto siamo sempre più a non arrivare a fine mese, a perdere il lavoro, non riuscire a pagare l’affitto o la scuola per i figli, mentre ci misurano la miseria in punti per la casa popolare.

Quando abbiamo occupato l’ex c.s.e.a – che abbiamo rinominato Spazio Popolare Neruda – di via Bardonecchia, quartiere Pozzo Strada, alcuni politicanti ci hanno definito ”abusivi” e “illegali” sperando di attirare su di noi l’odio degli abitanti del quartiere: sono accuse queste che non ci spaventano , crediamo nella legittimità del nostro gesto, che speriamo sempre più riproducibile, di riappropriazione diretta di un diritto che dovrebbe esserci garantito, il diritto a una casa e una vita dignitosa. Se la “legalità” si manifesta nello speculare sulla vita delle persone, nel lasciare la gente in mezzo alla strada o nell’autorizzare uno sgombero coatto all’alba di uno stabile in disuso diventato una casa per tanti , questa legalità allora non ci appartiene.

A seguito dello sgombero le soluzioni che sono state proposte dal Comune per le famiglie che avevano trovato un tetto all’ex c.s.e.a. sono state del tutto insufficienti: qualche giorno, al massimo un mese o due in casa famiglia o dormitori, spesso spaccando il nucleo famigliare. Per questo in tanti hanno rifiutato e sono determinati a continuare questa battaglia per riprendersi il diritto ad avere una casa.
Lo Spazio Popolare Neruda si stava attrezzando anche per diventare uno spazio a disposizione del quartiere per andare incontro ai bisogni espressi da chi abita in Pozzo Strada: dal sopperire ai servizi mancanti( biblioteca, ludoteca..) al poter diventare un punto di ritrovo e socialità che potesse creare aggregazione tra e per chi vive il territorio.

Ma il Comune e la Prefettura hanno preferito sgomberare uno stabile già simbolo della più becera speculazione edilizia, parliamo infatti di decine di milioni di euro sottratti alla collettività, per uno spazio poi fatto fallire a causa dell’incuria dell’amministrazione pubblica e privata, e che ora rimarrà chiuso per chissà quanti altri anni a venire, di nuovo sottratto alla collettività e ai suoi bisogni.

Questa mattina abbiamo deciso di tornare qui, con tutte le famiglie che avevano occupato l’ex C.S.E.A. per confrontarci con chi vive questo quartiere, che già si era mostrato aperto e solidale e con cui abbiamo tutta l’intenzione di continuare ad avere a che fare, perché crediamo che la dignità, come la solidarietà, non si sgombera.

Le famiglie sgomberate dall’ex C.S.E.A

Rilanciamo la battaglia contro il Piano casa! Ci vediamo il 24 luglio in Val di Susa

stop-evictionsIn tutta Italia continuano a susseguirsi episodi drammatici sul fronte abitativo. L’ultimo ieri [ 9 luglio, N.d.E.] a Cologno Monzese, dove il sostegno alla resistenza a uno sfratto per morosità è stato represso con 6 arresti.

Negli ultimi giorni a Bologna c’è stato l’ennesimo suicidio di una persona sotto sfratto, mentre la magistratura ha emesso un provvedimento contro l’ingiunzione del comune per il legittimo riallaccio della fornitura idrica all’occupazione dello stabile ex Telecom e ai due palazzi di via Mario de Maria.

Proseguono anche gli sgomberi in varie città di spazi abitativi e sociali, come lo spazio popolare Neruda a Torino.

Una stagione estiva sempre più costellata di segnali negativi e di rinnovata aggressività contro i movimenti sociali che provano a produrre resistenze e conflitto, mentre mancano completamente iniziative di sostegno alla povertà e di welfare. Anzi, sia i diritti che le tutele sociali minime vengono lentamente e inesorabilmente attaccati o completamente soppressi.

L’appuntamento del 24 luglio prossimo di Abitare nella Crisi in Val di Susa deve necessariamente assumere il connotato che serve. Il confronto che abbiamo avuto a Firenze è stato sicuramente utile e le iniziative che in diverse città si sono prodotte testimoniano una buona e diffusa vitalità sul piano territoriale. Ma l’articolo 5, le minacce e gli sgomberi delle case popolari, gli sfratti, l’assoluta assenza di politiche abitative pubbliche rimangono una necessità da affrontare come questione nazionale.

Il cosiddetto “piano casa” dell’ex ministro Lupi, l’utilizzo delle risorse, il tema del reddito e dell’organizzazione delle lotte contro carovita/bollette/affitti sono l’orizzonte con il quale da tempo proviamo a misurarci e quindi riteniamo utile rivederci in uno spazio del conflitto come la Val di Susa per condividere ipotesi e percorsi di mobilitazione prossimi futuri.

Facciamo in modo che l’attivismo impegnato sul fronte dell’abitare, dalle lotte contro gli sfratti alle battaglie contro le devastazioni ambientali, si incontri numeroso e si confronti sulle pratiche, sui bisogni e sui desideri.

Ci vediamo in Valle!

Abitare nella Crisi

Elide Tisi: sapevamo dello sgombero di via Bardonecchia

fass_tisiLa mobilitazione delle famiglie sgomberate dallo Spazio Popolare Neruda si è conclusa dopo una lunga giornata. Sin dal mattino, con un presidio davanti all’emergenza abitativa, l’iniziativa è proseguita per tutto il pomeriggio dove, grazie alla determinazione delle famiglie, si è riuscito ad ottenere un incontro con il vice-sindaco Elide Tisi. Durante questo incontro la Tisi si è posta sulla difensiva per poi dover ammettere che il Comune era a conoscenza dello sgombero, in concerto con Prefettura e Questura, dello stabile occupato di via Bardonecchia. Non solo, il Comune era anche a conoscenza della mancanza dell’acqua all’interno dello stabile, privando coscientemente di un bisogno fondamentale e assetando, per ben due settimane, intere famiglie con bambini.

Durante l’incontro la Tis cercava di salvarsi in corner, affermando che le soluzioni temporanee concesse alle famiglie sgomberate, sono appunto temporanee per poter trovare il tempo e cercare soluzioni diverse, ma non definitive.

L’ipocrisia politica della Tisi anche oggi è andata in scena: le responsabilità delle politiche fallimentari sulla casa vengono tramutate, attraverso una logica perversa della gestione dell’emergenza casa, in soluzioni necessarie (leggi temporanee) affinché si possa avere il tempo per trovarne di migliori, giocando sull’opinione pubblica attraverso gli articoli dei giornali che, nei giorni successivi allo sgombero, vendevano come ottimali.

Operazione che non riesce però con la gente comune, che oggi tocca con mano il disastro sociale creato dalle politiche fallimentari del Comune in piena sintonia con le direttive del governo Renzi che attraverso il Piano casa criminalizza chi occupa e taglia le utenze nelle occupazioni.

Solo personaggi come Stefano Bolognesi, arrivista politico di Forza Italia e consigliere di Circoscrizione del quartiere di Pozzo Strada, in modo sfrontato e ipocrita, sosteneva le menzogne del Comune, affermando nella sua pagina fb: “La Stampa del 08.07.2015 “Occupazione terminata ,L’ex Csea sgomberato all’ alba”Il Comune offre sistemazioni alle famiglie allontanate, ma è polemica”
Questa volta devo fare i complimenti al giornalista per aver raccontato i fatti in modo reale….Sostengo sempre che le bugie hanno le gambe corte,e anche in questo caso sveleremo la Verità,mi dispiace solo per chi “CREDE ANCORA CHE GLI ASINI VOLINO”….In alcuni casi certi personaggi non richiedono neanche la documentazione, ma si fanno andare bene le parole…E A PARLARE SIAMO BRAVI TUTTI….SI VUOLE ANANRCHIA O GIUSTIZIA,INFORMIAMOCI E POI SE NE RIPARLERà!

La realtà sotto il sole è ben diversa e come al solito viene manipolata dai politicanti che sulle false promesse costruiscono la propria carriera.

Guarda il video dell’incontro

Elide Tisi ha mentito? Retroscena da via Bardonecchia

tisiL’assessore alle politiche sociali Elide Tisi non ha mancato di intervenire sullo sgombero delle trenta famiglie che avevano occupato l’ex Csea di via Bardonecchia, ribattezzandolo Spazio Sociale Neruda. Ha sostenuto che, all’evidente dramma dell’emergenza abitativa (Torino, in cui sono state cacciate 4.500 famiglie dalle case dove abitavano nel solo 2014, è una sorta di capitale degli sfratti), occorre rispondere “senza atteggiamenti ideologici” e con percorsi “che restino all’interno della legalità”. Una contraddizione in termini, visto che (a netto degli scopi speculativi e di controllo sociale che ha la politica istituzionale sulla casa) se l’ordinamento non soltanto non risolve, ma produce le sofferenze sociali che causano il dramma abitativo, è evidente che l’unico possibile atteggiamento non ideologico è sposare un’attiva indifferenza rispetto al carattere legale o illegale, ossia interno o esterno all’ordinamento, di questo o quel comportamento che rappresenti una soluzione al problema abitativo, ponendosi semmai l’obiettivo dell’efficacia dei percorsi volti a dare una casa a chi non ce l’ha.

Le dichiarazioni di Elide Tisi, tuttavia, contengono qualcosa di peggio di una mera contraddizione. L’assessore (e vicesindaco nella giunta Fassino) ha infatti dichiarato al periodico on line Nuova Società di non esser stata al corrente dello sgombero fino a martedì mattina, ossia fino all’intervento manu militari della polizia. Ha aggiunto testualmente, a riprova di ciò: “Lo sgombero di via Bardonecchia non dipende da noi ma da chi è proprietario dell’immobile, che chiede di intervenire alla Prefettura”. Povera Elide: tipica politicante magicamente all’oscuro di ciò che le accade intorno, abituata dal mestiere che fa a scaricare su livelli istituzionali diversi dal suo le responsabilità dirette o indirette non soltanto dei drammi sociali che non può risolvere (perché causati dall’ordinamento che difende con la sua appartenenza istituzionale, la sua ideologia della legalità e le sue false promesse), ma anche della repressione scomposta che le istituzioni oppongono alle soluzioni che autonomamente la gente è in grado di trovare (il Neruda, e molti altri edifici occupati a Torino, lo dimostrano).

Occorre, in ogni caso, verificare se la professione di estraneità e ignoranza dell’assessore reggano all’analisi di alcune circostanze. In primo luogo non è chiaro perché, se il comune era all’oscuro dello sgombero, non soltanto la polizia municipale, ma anche una folta schiera di assistenti sociali (che risponde alla Tisi sul piano gerarchico) si trovava all’interno della struttura immediatamente dopo l’ingresso delle forze dell’ordine, sostanzialmente per accompagnare il loro operato (che ha compreso la distruzione vandalica di tutti i sanitari presenti nella struttura per impedire un’eventuale rioccupazione: complimenti…). A coordinarli è stato avvistato, fin dal primo mattino, Uberto Moreggia, responsabile (sempre per conto dell’assessorato di Tisi) del settore Famiglie e Adulti in difficoltà. Coincidenza? Tutt’altro: diversi elementi lasciano pensare che l’assessorato non soltanto fosse al corrente della preparazione dello sgombero, ma abbia attivamente collaborato con la polizia, e in particolare con l’ufficio politico della questura (Digos), anche nei giorni precedenti, nella fase dei sopralluoghi che hanno permesso di organizzare l’operazione.

Di cosa stiamo parlando? Di un episodio che abbiamo potuto ricostruire grazie ad alcune testimonianze. Due occupanti hanno dichiarato a chi scrive che il 29 giugno, verso le 23.00, alcuni utenti del dormitorio di via Marsigli, adiacente all’ex Csea, hanno avvicinato i ragazzi che presidiavano l’occupazione presso i cancelli della stessa, riferendo che “gente di merda” (leggi: agenti in borghese) era entrata nel dormitorio e stava colloquiando con alcuni operatori. Il giorno successivo, 30 giugno, due poliziotti, indicati dagli occupanti come appartenenti all’ufficio politico (Digos), sono stati avvistati dall’ex Csea mentre erano intenti ad osservare e fotografare l’edificio da una finestra situata al primo piano del dormitorio. Se ne potrebbe dedurre che la polizia abbia utilizzato una struttura di competenza comunale, che opera sotto la responsabilità dell’assessorato alle politiche sociali, per spiare l’occupazione in previsione dell’irruzione di alcuni giorni dopo, senza che la sua presenza fosse ignota agli operatori del dormitorio. Alla faccia dell’“estraneità” dell’assessorato alla dinamica dello sgombero! Come poteva l’assessore/vicesindaco ignorare che la polizia stava preparando l’operazione, quando all’interno di una realtà di sua diretta competenza si svolgevano indagini finalizzate a monitorare le caratteristiche dell’edificio e ciò che vi accadeva all’interno, in vista dello sgombero?

Il proprietario dell’ex Csea è Cassa Depositi e Prestiti, ed è del tutto verosimile che sia stato questo ente a chiedere formalmente lo sgombero al prefetto. Questo non significa però in alcun modo che Elide Tisi fosse all’oscuro dell’operazione e della sua preparazione, né che avesse negato il suo assenso alle procedure necessarie, tenuto conto di tutte le circostanze appena elencate. Si affaccia, allora, una domanda: perché la Tisi, intervistata da Giulia Zanotti per Nuova Società, ha lasciato intendere di non saperne nulla? I casi sono due: o nel suo assessorato vige il caos, e quindi tanto i dirigenti degli uffici quanto gli operatori agiscono a sua totale insaputa su materie così delicate, oppure il vicesindaco ha voluto scaricare ogni responsabilità su attori apparentemente esterni, come la proprietà dell’edificio e la prefettura, per uscire “pulita” da una vicenda in cui decine di famiglie con bambini in condizioni di povertà, che avevano risolto insieme il problema abitativo, sono state sbattute nuovamente in una situazione di precarietà da un’istituzione da lei diretta e formalmente deputata a trovare una soluzione per le persone a basso reddito che finiscono in mezzo a una strada.

Ai contemporanei la sentenza tutt’altro che ardua, ma urgente come tutte quelle che permettono di distinguere i bugiardi dalle persone che, quando si alzano, non hanno motivo di vergognarsi guardandosi allo specchio.

da Quiete o tempesta

Mors tua vita mea

Stefano Bolognesi, consigliere di Circoscrizione del quartiere Pozzo Strada, nella sua pagina fb si dice soddisfatto dello sgombero dello Spazio Popolare Neruda e continua la sua litania su quante famiglie erano presenti nell’occupazione, quante hanno diritto ad avere una casa ecc ecc.

Sulla legalità e sul diritto abbiamo già detto che oggi non si può fare politica sulla pelle della gente: la verità sotto gli occhi di tutti è che la politica oggi non è in grado di dare soluzioni reali e definitive a chi finisce in mezzo a una strada. La politica oggi non è in grado di garantire il diritto alla casa.

Cosa bisogna fare per sottrarsi dalla strada? Perché l’occupazione di stabili pubblici, svenduti per fare cassa senza che i guadagni siano stati redistribuiti sul territorio, dovrebbe essere un atto illegale?

Legalità si trasforma in legittimità per le famiglie senza casa che, pur avendo fatto i percorsi dell’emergenza abitativa, le lunghe code in via Corte d’Appello, ricevono una risposta negativa alla domanda: “Avete una casa per la mia famiglia?”

Con l’aumentare della povertà, oggi parlare di legalità dalla propria poltrona in ufficio o dal divano della propria casa è facile. Meno facile è vivere situazioni di disagio, vivere in macchina o gestire una quotidianità con l’incubo dello sfratto. Diciamo queste cose non “per far colpo” su chi leggerà questo post ma riportiamo la realtà così come la conosciamo.

L’opportunismo politico del consigliere è vergognoso. L’abbiamo visto quando si presentò all’occupazione con la sua camicia bella nuova e stirata mentre le famiglie spostavano cumuli di immondizia lasciati lì dalle istituzioni per cui il consigliere lavora e che fino al nostro arrivo non aveva mosso un dito per migliorare quel posto o per denunciarne la speculazione in atto. Né prima e né dopo lo scandalo delle tangenti al CSEA.

Noi, al contrario del consigliere, con la gente del quartiere di Pozzo Strada ci confrontavamo. In tanti sono passati a portarci sostegno e solidarietà…molti, fra cui due panettieri del quartiere, portavano l’invenduto alle famiglie, come gesto di solidarietà e aiuto verso il prossimo. Nella raccolta firme per il riallaccio dell’acqua, abbiamo ricevuto più di 500 adesioni. Molti giovani ci avevano chiesto se era possibile riutilizzare spazi per il quartiere per una biblioteca (ad oggi chiusa), stanze con internet gratuito, una ludoteca e altri laboratori. Perché in quel luogo occupato, lontano dagli intrallazzi della politica ci si sentiva a proprio agio.

La verità taciuta nella vicenda dello sgombero del Neruda è che quel rapporto che si andava a creare con la gente di Pozzo Strada risultava scomodo ai politicanti “appassionati del loro lavoro” che fanno “politica per passione” come Bolognesi. Dava fastidio quel legame di solidarietà instaurato con le famiglie, dava fastidio quando le persone, gli ex insegnanti CSEA ci riportavamo il loro giudizio favorevole all’occupazione e il tentativo da parte degli occupanti di restituire uno stabile di proprietà pubblica al quartiere.

Oggi Bolognesi continua la sua crociata contro le occupazioni ma continua a ritenersi solidale con le famiglie: fa finta di preoccuparsi se queste famiglie hanno ottenuto una soluzione…peccato che le soluzioni sono temporanee, precarie e che fra qualche mese il problema della casa si ripresenterà.

Ovviamente il Bolognesi questo tipo di soluzioni tampone le conosce bene.

Quindi, in conclusione, quando la smetterà di nascondersi dietro quel buonismo da politicante di professione che cerca solo consensi per il suo partito?

Noi, a differenza del Bolognesi che elargisce consigli e avvertimenti, siamo più umili e diciamo solo di non credere alle panzane di questi loschi personaggi ma di toccare con mano le situazioni.

La gente del quartiere Pozzo Strada lo faceva e si sporcava le mani con noi, il Bolognesi costruisce le sue “verità” a tavolino a suon di interpellanze per giustificare uno stipendio che molte famiglie si sognano.

Ecco cosa fanno quando sgomberano un luogo occupato dalle famiglie

Questo è lo spettacolo indegno, e che vi invitiamo a far girare, che si sono lasciati dietro gli “eroici” tutori dell’ordine intervenuti questa mattina all’alba per sgomberare lo Spazio Popolare Neruda.
Il progetto che era stato avviato in queste settimane in via Bardonecchia, quello di costruire assieme uno spazio comune, aperto a tutti, un luogo di incontro e socialità per il quartiere e non solo una casa per famiglie in difficoltà, è stato brutalmente calpestato da anfibi, caschi e manganelli, dalla violenza arrogante di chi ha a cuore solo il perseguimento dei propri interessi, ad ogni costo.
Viviamo in una città in cui da anni l’amministrazione preferisce mandare avanti la forza pubblica piuttosto che cercare soluzioni degne di fronte a un’emergenza abitativa dai numeri impressionanti. Una città in cui, piuttosto che aprire le porte dei tantissimi spazi abbandonati che ci sono, si preferisce far sfasciare e demolire sanitari praticamente nuovi, in perfetto stato, per evitare nuove occupazioni e restituire un luogo all’abbandono per chissà quanto tempo, fino a quando qualcuno non ci metterà sopra le mani per l’ennesima speculazione.
Oggi ci hanno buttato fuori con la forza dal Neruda, ma presto o tardi una nuova occupazione tornerà ad opporsi a questa gestione vergognosa dell’emergenza abitativa. Gli sgomberi non ci fermano: CASA PER TUTTI/E, SFRATTI PER NESSUNO!

sgombero_neruda_bagni05

sgombero_neruda_bagni04

sgombero_neruda_bagni03

sgombero_neruda_bagni02

sgombero_neruda_bagni01

sgombero_neruda_bagni00

Torino: Sgomberato lo Spazio Popolare Neruda

neruda_nerudaOre 15,30: le quattro compagne sono scese dal tetto alla fine delle “trattative” accompagnate dalle famiglie sgomberate tra gli applausi dei solidali accorsi sul posto. Il virgolettato è d’obbligo perché anche oggi, durante i colloqui con gli assistenti sociali convocati in fretta e furia, si sono sprecati i ricattini per accettare pseudo-soluzioni provvisorie (mamme e bambini mandati via con una pacca sulla spalla e l’indirizzo di qualche istituto caritativo…). Pochi sono in realtà i nuclei familiari che hanno accettato le offerte del comune capendo bene dove va a parare chi è più interessato a nascondere la polvere sotto il tappeto che a trovare soluzioni dignitose e stabili. Le famiglie restanti saranno invece accolte in altre occupazioni torinesi, perché la lotta non lascia nessuno indietro. Casa per tutti, sfratti per nessuno! Alla prossima!

Ore 13,20: Continua la resistenza sul tetto dello stabile, nonostante la continua pressione delle forze dell’ordine che poco fa hanno impedito ai solidali in presidio di fare arrivare l’acqua ai compagni. Proseguono anche le trattative per trovare una soluzione abitativa immediata agli occupanti, ma a quanto sembra il Comune sembra pronto a rinviare la decisione ad un incontro con l’assessore alle politiche sociali, comunque non prima di giovedì. L’eventuale soluzione riguarderebbe, inoltre, i soli nuclei famigliari lasciando senza un tetto i singoli che avevano trovato casa nello Spazio Popolare Neruda. Ancora tante le persone accorse al presidio sotto l’occupazione abitativa che rinnovano l’invito a recarsi all’incrocio tra via Marsigli e corso Peschiera.

***

Alle prime ore del giorno la polizia ha circondato lo spazio popolare Neruda, la palazzina occupata un paio di settimane fa da una trentina di famiglie sotto sfratto, per procedere allo sgombero.

All’interno dell’edificio, un’ex scuola che il Comune nel 2013 ha ceduto alla Cassa Deposito e Prestiti, una trentina di persone, tra cui una decina di bambini piccoli. Alcuni compagn* stanno resistendo sul tetto sventolando la bandiera Stop Sfratti, ostacolando l’operazione e chiedendo la garanzia che tutte le famiglie sotto sgombero ottengano una soluzione reale e dignitosa.

All’esterno del Neruda un gruppo di compagni e solidali sta sostenendo gli occupanti e bloccando la strada per impedire l’arrivo dei pompieri con l’autoscala.

La minaccia di uno sgombero era già stata paventata nei giorni scorsi da Questura e Prefettura, mandate ancora una volta avanti da un’amministrazione incapace di far fronte a un’emergenza abitativa dilagante.

Solo tre giorni fa le famiglie occupanti avevano percorso in corteo le strade del quartiere Pozzo Strada, per opporsi all’eventualita’ dello sgombero e dichiarandosi pronte a resistere.

Un’occupante si è sentita male durante lo sgombero ed è stato necessario l’intervento di un’ambulanza.

Torino: 200 in corteo per sostenere il Neruda contro le minacce di sgombero

neruda_corteo A circa due settimane dall’occupazione, quest’oggi le famiglie dello Spazio Popolare Neruda si sono mosse in corteo per le vie del quartiere Pozzo Strada.

Un corteo nato dalla volontà di presentarsi al quartiere, che in questi giorni di occupazione si è dimostrato solidale e interessato alla nascita di questa nuova esperienza, ma anche per respingere con determinazione le minacce di sgombero che Questura e Prefettura hanno avanzato negli ultimi giorni, proponendosi così di affrontare ancora una volta l’emergenza abitativa nei termini di un problema di ordine pubblico, strada, questa, privilegiata dall’amministrazione comunale in questi anni di crisi.

Nei giorni scorsi la minaccia di rimettere per strada decine di famiglie, molte delle quali con bambini piccoli, aveva fatto nascere da parte degli occupanti e dei compagni dello Sportello Prendocasa un appello alla solidarietà e alla mobilitazione, che è culminato nel corteo di oggi dopo tre giorni di attività e momenti di socialità. Un corteo festoso e determinato, aperto dai bimbi dell’occupazione e composto da circa 200 persone tra occupanti e solidali, che intorno alle 17 è partito dal Neruda per snodarsi per le vie del quartiere. La manifestazione si è più volte fermata lungo il percorso per spiegare le ragioni dell’occupazione, presentandosi agli abitanti e invitandoli a sostenere e attraversare il nuovo spazio per costruirlo assieme e farne non solo una casa per decine di famiglie ma anche un luogo di incontro e socialità, in uno dei tanti quartieri torinesi che da questo punto di vista soffrono la mancanza di spazi adibiti a questo scopo.

Un corteo che ha chiarito l’intenzione di non fare nessun passo indietro rispetto all’occupazione, rivendicando una casa per tutti e tutte e pretendendo soprattutto l’immediato riallaccio dell’acqua corrente nella palazzina da parte dell’amministrazione comunale, che finora ha invece sfruttato la mancanza di acqua come pretesto per richiedere lo sgombero. La manifestazione è stata anche l’occasione per sottolineare l’importanza di esperienze di occupazione e rioccupazione come strumento per riprendersi diritti e dignità quotidianamente negati, respingendo al tempo stesso le retoriche razziste della guerra tra poveri.

Il corteo si è concluso ritornando al Neruda e rilanciando l’invito a sostenere lo spazio nei prossimi giorni.

da infoaut